Cap. 13 L'emetico
Ho con me un emetico, tra le diverse altre cose che ho chiesto a mio padre di procurarmi prima di lasciare il castello. Ne ho usato generosamente con il piatto della donna che pulisce la mia casa e nel pomeriggio la poveretta, ignara, si è sentita male. Eppure abbiamo mangiato le stesse cose! La accudisco alla meglio, aspetto un po', infine mi precipito dallo speziale, che ha la bottega di fronte alla fucina. Faccio apposta un bel po' di rumore, non mi si è mai vista in giro in disordine e di fretta!
Inalbero un'aria preoccupata, confesso di non intendermi di malattie, prego che qualcuno venga. Insomma, faccio un po' di scena e mi ingrazio la simpatia dello speziale e molto meno della di lui moglie, che decide, a scanso equivoci, di accompagnarlo.
Ho così i miei primi ospiti. Preparo una tisana per l'infortunata con le erbe che lo speziale mi consiglia, dopo averla visitata e grossolanamente valutata; poi offro qualcosa a lui e alla moglie per ringraziarli della premura. Ho impastato per tempo un sorta di focaccia dolce, a cui ho unito della frutta e, a cottura ultimata, del miele. Ne ho ricavato delle minuscole porzioni, disposte su un largo piatto di terracotta, e lo speziale si sdilinquisce in complimenti, nonostante le occhiatacce della moglie. Che non disdegna di servirsi generosamente anche lei, comunque.
Alla sera la mia dama di compagnia, poveretta, smette di vomitare e, svuotata, si addormenta.
"Finalmente sta meglio!", commento con il mio miglior tono tenero, e congedo gli ospiti ringraziandoli con sentimento del soccorso. "Ma so che non dormirò", affermo, "resterò di guardia, mi sono troppo preoccupata!", e dopo aver chiuso la porta alle loro spalle lascio la lanterna accesa e le tende aperte: la cittadinanza, di lontano, deve sapere che sono sveglia.
Un bussare discreto, sul tardi, mi fa sospirare. Vediamo se le acque si son smosse a sufficienza, e se chi spero ha abboccato. Apro con i capelli volutamente un po' in disordine, che sfuggono chiari dalle trecce ordinate che normalmente avvolgo al capo. Mi sono studiata a lungo allo specchio per ottenere che i capelli sfuggano ribelli, mossi, a incorniciarmi il viso, come un'aureola. Mi sono avvolta in uno scialle, sull'abito leggero che ho in casa, ben più scollato e chiaro di quelli severi che indosso uscendo. Faccio per coprirmi sorpresa, e col gesto evidenzio che ci sia da guardare, come infatti c'è. Il giovane fabbro mi sta davanti, e mi chiede sottovoce se tutto è a posto.
"Ho visto la lanterna ancora accesa", si giustifica.
Mi passo una mano sul viso, come sia affaticata.
"Sì, tutto bene. Dorme, finalmente!", poi entro nella stanza, con naturalezza, e tiro le tende. "Mi spiace si sia preoccupato, lo speziale e sua moglie sono rimasti con noi fino a non molto tempo fa", aggiungo tornando verso di lui, "posso offrire qualcosa?"
Lo faccio senza far pesare che sia un'offerta sconveniente, come se io sia superiore alla regole ipocrite di questa società. Il giovane entra senza esitare.
"No, grazie volevo solo accertarmi non servisse nulla".
Poi lancia uno sguardo in giro. Più forte di lui. D'altro canto, è quel che faremmo tutti, farci un'idea di chi abbiamo di fronte guardando la sua casa, o comunque il luogo in cui vive.
Ho preparato con cura il palcoscenico. C'è pulizia, un buon ordine. Qualche tocco di gentilezza. Dei fiori di campo in un vaso. Il calore di un braciere. Uno scranno vicino quello, con qualche cuscino e una copertina di lana, dove visibilmente tentavo di riposare; lasciato ad arte, aperto sul bracciolo, un libro.
Un oggetto estremamente raro e prezioso come un libro, in mano a una donna! Ovviamente non può, non può fare a meno di sbirciarlo con stupore. Si tratta d'un poemetto cavalleresco, pagine logore e manoscritte.
Voglio che mi veda come un'anima sensibile, chiusa in una corazza di cinismo. Inoltre credo sia bene che sappia che ho una cultura; anche se quella che il libro mi attribuisce potrebbe scandalizzare, in una donna.
"Posso offrire?", ripeto indicando il piatto con i bocconi dolci che è sul tavolo, e il contenitore in vetro dal colore ambrato, un distillato alle erbe che lo speziale ha voluto lasciarmi per ogni evenienza. Un sorso, ha sostenuto, combatte gli svenimenti delle donne.
Il giovane rifiuta nuovamente, ma sento il suo sguardo addosso, insistente. Mi passo la mano fra i capelli, come improvvisamente nervosa, e col gesto scosto lo scialle, lasciando che la scollatura mostri più che celare, quel che in genere gli uomini apprezzano molto.
"Se non volete nulla...", dico, lasciando intendere che comincio a essere a disagio, per una presenza che non ha motivo d'esserci.
A questo punto deve pur decidersi, o dentro o fuori. O andarsene o fare una qualche mossa.
"Mi chiamo Villhelm". Il mio ospite decide di svelarmi il suo nome, per farsi appena un po' più vicino. Vicino metaforicamente, resta ben fermo al centro della stanza.
"Jeanne", rispondo, con cortesia, studiando di prendere un'aria di vago stupore.
"Vedo che amate leggere", dice facendo un altro discreto passo avanti col passare a un tono confidenziale. Guardo il libro fingendo stupore che sia lì, e lo tolgo un po' affrettatamente come infastidita.
"Sì, la lettura mi distrae", affermo rigida.
"Ha ricevuto una educazione raffinata", osserva, e a questo punto lo fisso ben dritto negli occhi. Voglio che mi giudichi orgogliosa, e francamente contrariata. Stringo appena gli occhi, e adotto una mimica studiata allo specchio, con cura. Un'espressione che mi è parso esprima dolore e aggressività. Mica facile, ma sto tentando di irretirlo, impietosirlo con una sventura e intrigarlo parendogli tutt'altro che remissiva. Credo che una donna remissiva non sarebbe una sfida adeguata, per uno così.
"Sì, sono cresciuta in una prigione dorata che chiunque mi invidierebbe e sono stata venduta con un ottimo guadagno. Che sappia leggere da scandalo?"
Villhelm riflette sulle mie parole. "No, mai pensato che le donne debbano restare ignoranti", afferma cauto.
"Ipocrita!", gli rispondo aspra. "Gli uomini non sopportano che una donna capisca quanto loro e osi pensare. Quello che so ho dovuto impararlo di nascosto, spiando le lezioni dei miei fratelli. Che per inciso erano teste vuote più di questo bicchiere", gli mostro quello rimasto al tavolo presso la bottiglia.
Villhelm scoppia a ridere, come se la cosa gli sia parsa comica, poi recupera in fretta l'aria seria. "Perdonate, Jeanne, ma temo che molti uomini normali parrebbero teste vuote, al vostro confronto".
Poi mi spiazza sedendosi tranquillo, senza che l'abbia invitato. "Da quanto è morto, il vostro valoroso sposo?"
Rimango a guardarlo accigliata. Speravo in un corteggiamento più elegante, non stava andando proprio come intendevo, ma almeno non è andato via. Decido di dargli corda. Mi siedo, lasciando andare l'aria torva.
"Pare parecchio tempo fa. Ma la notizia ha impiegato molti mesi ad arrivare fino a me", rispondo.
"Non sembra la sua dipartita vi abbia troppo sorpresa", osserva.
Non era una cosa delicata da dire, ma non voglio fingere più di tanto un dolore inesistente.
"Il mestiere del soldato non è troppo sicuro, direi. Aveva promesso di tornare, ma non ha avuto la spina dorsale di rispettare l'impegno".
"Non è amorevole parlare del marito defunto come di uno smidollato infingardo" esclama, e questa volta sono riuscita, pare, nell'intento di provocargli una qualche reazione, ha un'espressione meno indifferente. "Direi che non si è dimenticato di tornare... lo hanno ucciso!"
Mi mordo un labbro, come non voglia lasciarmi scappare altro. Subito dopo, però, come non mi sia proprio possibile contenere l'astio, aggiungo: "Forse delle parole amorevoli si devono meritare. Forse una donna non si dovrebbe comprare come un animale da fiera!"
"Questo potrebbe essere giusto", ammette, ammansito da ciò che lascio intuire: una qualche grave ragione mi rende feroce verso la memoria del fantomatico sposo. Ma è ancora poco, devo ottenere la sua solidarietà, lasciandogli scoprire quanto sia stata una povera vittima.
Fingo di essere quindi ferita e suscettibile, e al suo dire replico: "Potrebbe?"
"Forse occorrerebbe saper guadagnare il rispetto di una donna, prima di portarla in un letto", concede guardandomi dritto negli occhi, "ma una donna dovrebbe essere disposta a provarlo, il rispetto, e non essere prevenuta nei confronti di qualsiasi uomo, solo perché ha quello che a lei manca".
Non devo fingere di aver preso fuoco, e penso che sia anche evidente nel sangue che mi monta alle guance, le sento calde come sia china sul focolare a rivoltare le braci.
"Forse gli uomini non dovrebbero abusare d'un potere di cui si sono impossessati con violenza ingiusta", lo rimbecco. "Forse quello che essi credono di avere in più, manca da qualche altra parte. Forse essere prevenute significa solo avere gli occhi aperti, e aver visto tanto da non sopportare più delusioni".
E stringo le labbra, offesa.
Villhelm sospira appena.
"Direi che gli uomini vi hanno veramente delusa", dice sottovoce.
"Delusa? Si, Villhelm, assolutamente. In fondo, quello che meno mi ha sorpresa, quello che almeno si è dimostrato sempre coerente, è stato mio padre. Ed è tutto dire, questo, se considerate che lui si è sempre sentito in diritto di prendere qualunque cosa gli piacesse, e che per sfuggire al suo potere l'unica strada che mia madre ha potuto trovare è stato impiccarsi".
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