Cap. 1 Gli scudi
Il martello colpì il punzone, l'effige sulla punta dell'attrezzo si incise nella lastra: un segno pulito, preciso.
Il giovane depose con cura gli arnesi rituali, e rigirò la lastra. Quarantanove. Ancora una incisione e lo scudo sarebbe stato completo. E forse, anzi, avrebbe già dovuto imprimere anche quello, l'ultimo nodo.
Un grave dubbio lo tormentava, circa l'opportunità di tale scelta. La sua incertezza era appesantita dal pensiero che non c'erano istruzioni, su quello che colui che avesse inciso il cinquantesimo segno avrebbe dovuto fare, dopo.
Accarezzò con un tremito il rilievo del motivo intrecciato che il punzone aveva lasciato nel metallo, antico di circa mille anni: con esso si testimoniava che un'altra generazione si era aggiunta alla storia della loro stirpe.
Non veniva incisa alla nascita, no, quell'impronta. Non era ancora nulla, nascere. Occorreva crescere, apprendere le arti che il sangue disponeva a praticare. Un sangue a volte muto, perché troppe volte mescolato a quello di chi era privo di poteri: e allora di due fratelli, spesso, uno nasceva erede, l'altro no.
E poi, quand'anche il nuovo nato possedesse la fiamma degli antichi, non sempre la vita era benevola. Tanto spesso eventi nefasti spazzavano via troppo presto colui o colei che avrebbero potuto trasmettere il dono. Troppe incognite, quindi, per incidere il metallo ai primi vagiti di un bambino.
Solo alla morte si dava tale testimonianza, e a darla doveva essere un successore, egli pure iniziato ai riti. Con cordoglio per la vita ormai in braccio agli antichi, ma con legittimo e commosso orgoglio, si confermava che un altro di loro aveva ben vissuto. La stirpe si era perpetuata e i cacciatori, ancora, non avevano potuto sterminati. La speranza era stata protetta e spostata in avanti: la speranza che, infine, fiorissero tempi nuovi. Tempi in cui tornare a essere amati, benedetti e considerati creature di luce; e non, come erano accusati di essere dai diffamatori che li perseguitavano, demoni capaci di praticare malefici.
Abbassò il capo dolente. In realtà la speranza non era mai stata così fioca, simile alla fiamma d'una candela ormai consunta, agli ultimi bagliori dello stoppino che annega. Dispersi, sopraffatti dall'ignoranza e dalla paura, le famiglie in cui l'antica sapienza era custodita si erano perse di vista, e nulla sapeva più, ciascuna, delle altre. Nella grotta il suo era lo scudo con più incisioni. Il lupo ancora percorreva la foresta ed era tornato alla tana, ma era ormai un solitario. L'orso giaceva muto, come pure lo scudo con l'insegna dell'albero e quello della luna. Sembrava che nessuno degli altri venisse più dalla generazione di suo nonno, a testimoniare che un erede aveva sepolto il penultimo appartenente alla stirpe.
E dunque, sono davvero io, l'ultimo? Non solo dei miei, ma di tutti loro?
Rabbrividì. Se mi catturassero oggi, e se morissi, nessuno verrebbe a incidere lo scudo, confermando di me che ho vissuto. Si passò una mano sugli occhi, come a strapparsi un velo di angoscia dal viso. Ma gli antichi tacciono, non mi gridano che tutto è perduto, e quindi forse ultimo non sono. Lo sentirei. O almeno voglio disperatamente crederlo, anche se l'ostilità con cui mi sono scontrato è tale che mi sento perduto. Potrebbe essere che altri appartenenti alle famiglie antiche, ancora vivi, abbiano scelto di lasciare queste terre e per questo non siano potuti tornare presso l'albero sacro.
Alzò lo sguardo, che aveva fissato sull'ultimo sigillo che le sue stesse mani avevano inciso sullo scudo. Anche io, in fondo, sto pensando di abbandonare questi luoghi ormai troppo ostili.
L'antro sembrò vibrare nella luce incostante della torcia, che a tratti bruciava più vigorosa in uno sbuffo di faville. Scavato sotto le radici di una monumentale quercia, la più antica della foresta, il rifugio era rinforzato con muri di pietre massicce e travi trasversali, affiancate l'una all'altra a sorreggere il soffitto. Un ambiente piccolo, che aveva sfidato inviolato i secoli. Ma il mondo, sopra... quello era cambiato così tanto da soffocarli.
Qui non c'è più spazio per noi, ma ho sentito che altrove esistono terre vaste e poco abitate. Un mondo dove forse potrei essere ciò che sono, senza più nascondermi. Se lo facessi lo scudo resterebbe qui, mai più toccato da mani d'uomo. E forse chi lo forgiò vide nel futuro, vide che cinquanta generazioni avrebbero calcato questo suolo, e non di più. In effetti forse dovrei imprimere anche il sigillo per mio padre: anch'egli è vissuto e doveva possedere il dono, benché non abbia fatto in tempo a maturarlo. Come, altrimenti, avrebbe potuto trasmettermelo? E così, così lo scudo sarebbe appunto completo: dieci file di nodi, impressi a disegnare cinque colonne. Dopo di che andrebbe forgiato uno scudo nuovo, io credo. Un nuovo scudo, in un luogo anch'esso nuovo.
Abbracciò con lo sguardo, un'ultima volta, la grotta; chinò il ginocchio dinanzi ai quattro simulacri. Si immerse nel pensiero di quante voci gli parlassero da quelle piastre: ogni generazione, cioè ogni marchio sugli scudi impresso, valeva almeno venti anni. Cinquanta generazioni portavano il conto a un millennio e più, mille anni di lotta per non essere cancellati! E per tutti loro antenati, aveva il dovere di resistere. Si rialzò, volse le spalle e risalì con la torcia il cunicolo in cui suo nonno l'aveva guidato ancora bambino.
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