5 - per farmi perdonare
20 febbraio 2023
Un po' avevo le aspettative alte, lo ammetto, ma dopo aver sentito come il primo prof parla inglese mi fanno male le orecchie.
La prima lezione della magistrale al Politecnico di Milano è stata un fallimento sotto questo punto di vista, ma almeno gli argomenti sembrano interessanti. Immagino che capirò di più dalle slide e basta che da quello che dice a parole, ma almeno ci sono le registrazioni...
Mi perdo in ragionamenti tutti uguali mentre raggiungo la seconda aula dove avrò lezione oggi – T.2.3. Dopo due rampe di scale che sembrano progettate in Minecraft vado alla ricerca della porta corretta, e la trovo alla mia destra.
Entro nella moderna aula anfiteatro, e salgo qualche gradino per valutare da dove si ha la vista ottimale della lavagna. Quasi tutti i posti sono liberi. Sono stato tra i primi ad arrivare.
Ciò che mi stupisce di più è la vista piscina, quando sbircio da una delle finestre di destra. È l'ultima cosa che mi aspettavo di vedere fuori da un'aula universitaria.
Sorrido a me stesso, e trovo un posto a sedere in uno dei posti centrali della quarta fila.
E non sono l'unico ad aver avuto quest'idea, a quanto pare. Un paio di persone sono già sedute alla mia destra, tra cui una delle rarissime ragazze di ingegneria informatica.
Tiene i capelli abbastanza corti – le arrivano a malapena alle spalle – biondi decolorati. La ricrescita castana scura è appena iniziata.
Indossa una semplice maglietta bianca con una scritta per metà indecifrabile, e sopra di essa una giacca di pelle nera con delle borchie sulle spalline.
Non le ho ancora chiesto neanche come si chiama, ma mi sono già perso a contare tutti i piercing diversi che ha sull'orecchio sinistro. Scorgo anche la punta di un tatuaggio alla base del collo. Immagino che sia un disegno che prosegue lungo la schiena, o che abbracci la spalla.
Ha stile. È la prima cosa che penso.
È carina, rifletto subito dopo.
Il rumore di una borsa sbattuta sulla cattedra mi fa quasi sobbalzare, o forse dovrei dire che mi sveglia da quel sogno a occhi aperti. Il prof è arrivato, e dato uno sguardo all'orologio prende subito a spiegare, quasi dimenticando di presentarsi mentre armeggia con il proiettore.
Estraggo controvoglia un quaderno dallo zaino, impugno una penna blu, e sospiro.
Ricominciano a farmi male le orecchie.
C'è pausa, finalmente. L'unica cosa che posso dire con certezza è che di Advanced Computers Architectures non ci sto capendo una sega, e già mi pento di essermi iscritto.
Appoggio la testa sul banco. Sono già stanco morto. Non ce la farò per altre due ore così... voglio tornare a casa, farmi una pasta con un sugo pronto preso al Carrefour e poi andare subito a dormire. Ma dov'è finito tutto l'entusiasmo che avevo quando da ragazzino iniziavo un nuovo anno scolastico?
Forse è perché è febbraio...
«Ehi, scusa, posso passare?» chiede una voce femminile.
Alzo la testa di scatto, e mi giro in direzione di chi ha appena parlato. All'inizio mi sembra di vedere una silhouette di una strana tonalità di grigio, o forse d'argento, dietro la quale splende il sole di mezzogiorno. Non riesco a tenere gli occhi aperti.
Ma dev'essere solo la luce dell'aula.
Sbatto le palpebre un paio di volte, per allontanare tutti i fosfeni residui.
«Ah, certo, scusa...» Mi alzo e mi faccio da parte, lasciando la via libera.
«Grazie» dice lei. Procede di lato, a piccoli passi, mentre tiene stretto un borsellino nero in una mano e un cellulare nell'altra.
La seguo con lo sguardo. Non mi risiedo subito. Mi soffermo sul suo viso. La matita nera leggera incornicia gli occhi grigioverdi, donando loro una forma più sottile e allungata di quella che avrebbero altrimenti. Ha un nasino piccolo, e la bocca dalle labbra piene è appena dischiusa dopo le ultime parole che ha pronunciato.
Mentre mi passa accanto, quasi pestandomi un piede con quegli scarponcini da battaglia, sento per la prima volta il suo profumo. È allegro, giallo, nonostante l'apparenza da metallara mi avesse fatto pensare a un colore totalmente diverso.
«Ti serve un caffè?» mi chiede, subito dopo.
Mi sono imbambolato a fissarla per troppo tempo o ho solo gli occhi stanchi? Oppure mi ha visto dormire sul banco?
Sorrido, e mi strofino un occhio, facendo però attenzione alle lenti. «Decisamente.»
Lei ricambia la curva delle mie labbra. «Allora andiamo.» Mi offre di venire con lei, facendo un cenno con la testa e incamminandosi verso la porta, verificando se la sto seguendo solo quando ha già sfiorato la maniglia.
Controllo di avere il portafoglio in tasca, e mi affretto a raggiungerla.
«Ah, ehm... Alessandro, comunque» tento di presentarmi porgendole una mano, non appena siamo fuori dall'aula.
Lei si volta, e la stringe. Sorride di nuovo.
«Gaia.»
«Ah, beh, è grande come camera» commenta Anna, non appena mette piede nella mia stanza. «Un po' spoglia, giustamente.»
«Sì, magari appenderò qualcosa sul muro.» Faccio cenno alla parete sopra il letto, di un bianco vuoto.
Chiudo la porta alle mie spalle, poi mi volto per sorriderle. È da troppo tempo che non ci vediamo.
Lei si è già seduta sul letto, a gambe incrociate. Fa dei piccoli saltelli. Poi mi guarda, con un sorrisetto malizioso. «Non fa rumore.»
Non provo neanche a far finta di trattenermi. La raggiungo in un attimo, buttandomi sul letto e spingendola all'indietro, mettendomi a cavalcioni su di lei.
I suoi occhi castani si spalancano, e le sue labbra si incurvano in un sorriso dolce, che divoro con un bacio.
Lei non ricambia. Non subito. E so il perché.
Vuole che mi faccia perdonare.
«Scusami» inizio a dire, passando a baciare il suo collo.
Scosto una ciocca dei suoi capelli, che ha tinto di rosa ormai quasi un mese fa, ma che hanno ancora un bellissimo colore, e un profumo che mi ricorda quello delle fragole.
«Mmh, per cosa?» Fa la finta tonta.
Mordicchio la catenina d'oro che ha al collo, prima di passare alla sua guancia, e poi di nuovo alle labbra.
Mi sostengo con entrambe le mani ai lati della sua testa, e la guardo negli occhi. Il suo viso è sereno, pacifico. Un angioletto stronzo, ecco cos'è. Ecco perché mi fa impazzire.
«Scusami se non ti ho fatto gli auguri per San Valentino» ripeto quello che ho già detto nei messaggi. «Ero impegnato con—»
«Ah-ah» mi blocca dal giustificarmi, spingendo contro le mie labbra. L'unghia finta dell'indice mi solletica appena sotto il naso. Vorrei mangiarglielo, cazzo.
Poi la sua mano accarezza il mio viso, le sue dita si perdono tra i miei capelli. E tirano.
Non ha neanche bisogno di chiederlo. So cosa vuole da me. Sto già armeggiando con il dannato bottone dei suoi jeans.
Infilo una mano sotto il suo maglione, beccandomi un insulto per quanto le mie dita sono fredde. Prendo un po' di tempo accarezzando il suo seno, ma se non è il bottone di questi pantaloni allora è la zip a darmi problemi. Vorrei strapparglieli e basta.
Alla fine è lei a toglierseli, mentre ridacchia.
Mi faccio da parte per non più di quattro secondi, per lasciare che spogli anche l'intimo.
E poi sono di nuovo su di lei.
Sono di nuovo qui, a leccare per farmi perdonare.
Sfioro l'interno della sua coscia con la mano, e la sento rabbrividire. Mi sembra di sentire l'elettricità scorrere sotto la sua pelle.
Continuo ad alternare baci a piccoli cerchi fatti con la lingua. Mantengo un ritmo stabile, almeno finché non la sento ansimare più forte.
E poi mi blocco, quando sento un cigolio assurdo venire da dietro le mie spalle.
Spalanco gli occhi, e cerco lo sguardo di Anna, che ha alzato a sua volta la testa. Il panico iniziale è che sia la porta, e che Chiara ci veda così, con la mia faccia in mezzo alle cosce di una ragazza che non le ho neanche presentato.
Ma poi Anna scoppia a ridere, e anch'io mi tranquillizzo.
Mi tiro indietro, puntando i gomiti, e poi mi volto per vedere cos'è stato.
Ed è solo l'armadio. Un'anta si è aperta, e ora è del tutto spalancata. Eppure ero sicuro di aver chiuso per bene. Forse la chiave gira a vuoto?
«Ok, il letto non cigola ma l'armadio sì» commenta Anna, senza smettere di ridacchiare.
Sospiro di sollievo, ma non riesco a prenderla sul ridere. Soprattutto quando anche la seconda anta si apre.
Anna ride ancora di più, ma io sento qualcosa di diverso. Una sorta di irritazione, o di frustrazione.
La stessa che ho avvertito il primo giorno che ho messo piede in questa stanza, quando la finestra era aperta e il treno strideva sulle rotaie.
Tutte le mie domande meschine, la mia voglia di trovare difetti, il mio essere così prevenuto nei confronti di questo posto, di questa città intera. È la stessa sensazione che sto provando ora, mentre Anna ride. Vorrei dirle di smetterla.
Non sono sensazioni che sto provando io. Non era colpa di tutto quel grigio, allora, e non è colpa di Anna, adesso.
È colpa di questa stanza.
Ha senso?
Può avere senso?
Cerco di scacciare il pensiero. Non vedo nessun colore, macchia di luce, o roba simile. Eppure sono sicuro che ci sia qualcosa.
«Ehi.» La voce di Anna richiama la mia attenzione. Tiene le gambe incrociate, ora, ma si morde il labbro inferiore mentre cerca il mio sguardo.
Mi sposto appena, per essere rivolto verso di lei.
Faccio fatica a non fissare le sue cosce, a non gettarmi di nuovo su di lei, tra le sue braccia, sulle sue labbra.
Lei lo capisce. Ma ha deciso che deve farmi penare ancora per qualche secondo.
Lascio che mi osservi, che si avvicini, che mi accarezzi. Mi sento un condannato a morte graziato da una dea dispettosa e inappagabile quando finalmente mi bacia.
«Vieni qui» mi ordina, prendendomi di nuovo per i capelli. E sorride, mentre mi spinge giù. «Non ti ho ancora perdonato.»
Spazio autrice
Rieccomi qui, fantasmini!
Il nostro Ale è un po' in imbarazzo, però dai, si sta divertendo almeno. :3
Ebbene sì, sembra proprio canon che Anna sia la sua ragazza. Opinioni su di lei o sul suo rapporto con Ale?
Nel prossimo capitolo andremo a vedere come sta un'altra coppietta (spoiler: male).
F. D. Flames
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