3 - cuore bianco
16 febbraio 2023
Tre giorni che sono qui e ancora non l'ho vista questa cavolo di coinquilina. Sta tutto il giorno chiusa in camera e non fa il minimo rumore, tanto che a volte faccio fatica a capire se è in casa o meno.
A volte ho paura di usare la cucina o il bagno perché potrei darle fastidio, ma ho ancora più paura di bussarle sulla porta per chiederglielo di persona, perché non voglio interromperla.
Chiara ci ha tenuto a sottolineare che sta lavorando seriamente alla sua tesi e non vuole distrazioni, e per questo io devo essere un coinquilino silenzioso al massimo.
E mi sta anche bene, non sono qui per fare amicizia, però... che ansia.
In più, a non parlarmi di recente è anche Anna. Si aspettava un messaggio o un invito per San Valentino, ma sono stato talmente preso dal trasloco e da tutte le cose da fare che mi sono dimenticato di che giorno fosse.
Sbuffo, e appoggio il telefono sul tavolo della cucina mentre armeggio tra frigorifero e armadietti e vado alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.
Ho una confezione di hamburger aperta ieri e quella di verdure bollite da far saltare in padella con un po' di olio. Non è molta roba, forse ci sta tutto in una padella sola. Così non dovrò lavarne due.
Prendo un piatto, una forchetta, e mi verso un bicchiere di succo. Tengo guardato il telefono, in attesa di una notifica che forse non arriverà per le prossime due settimane.
Riapro la chat con Anna. L'ultimo messaggio è il mio «Scusa» che lei non ha ancora neanche visualizzato. Eppure il suo ultimo accesso è recente.
Sospiro.
Odio questo gioco del silenzio, e anche se da un lato penso di meritarmelo – perché sono stato effettivamente coglione a dimenticarmi di San Valentino, sapendo che lei ci teneva – dall'altro lato quello di Anna mi sembra un modo infantile di reagire.
Ma la conosco, ormai. Prima o poi le passerà. Tornerà, e accetterà le mie scuse, e non ne parleremo più.
Spero.
Mi distraggo aprendo altri cassetti, alla sempre più disperata ricerca di una padella.
Qui ci sono solo pentole e casseruole, oltre a uno scolapasta di una plastica di un verde smorto e bruttissimo.
Apro lo scolapiatti, e trovo delle tazze impilate le une sulle altre, un pentolino, dei bicchieri, e per fortuna anche una padella, anche se forse è un po' grande.
Quando la prendo in mano, però, la mia soddisfazione si trasforma in frustrazione. È tutta rigata, rovinata da una qualche forchetta o forse addirittura da un coltello. E non mi va di mangiarmi anche il rivestimento antiaderente oltre all'hamburger e alle verdure.
Con l'ennesimo sospiro, la rimetto al suo posto.
Ed è allora che sento il telefono vibrare.
Ci spero. Ci spero davvero. Vedo da lontano lo schermo che si illumina, e leggo a malapena l'iniziale del contatto che mi ha appena mandato un messaggio su Telegram.
Sblocco lo schermo e abbasso la tapparella delle notifiche, per leggere per intero il nome del contatto. Nome breve che inizia per A seguito da un cuore... blu.
Colore sbagliato.
È Andrea. Ha risposto al mio meme di qualche ora fa e basta. Un cuore come reazione e un «uwu dai dai resisti che arrivo a fine marzo» in risposta all'immagine di due gatti che dormono insieme e la scritta «send this to someone you want to hug rn but can't bc they are far away».
Sorrido.
Non mi vedo con Andrea da quando è partita per la Svezia, a settembre. Si è laureata in fretta verso la fine del mese, e quelle sono le nostre ultime foto insieme, gli ultimi selfie in cui fa la linguaccia, con la corona di alloro in testa, i capelli piastrati, e il pidigozzo del Polimi stretto tra le mani ed esibito come un trofeo.
Mi manca.
Metto anch'io un semplice cuore rosso come reazione al suo messaggio, e chiudo Telegram. Spengo lo schermo per tornare a concentrarmi sulla mia cena.
Soprattutto sulla ricerca di una padella decente.
Ho trovato il cassetto in cui sembra che ci siano tutte le altre, ma sono tutte rovinate, alcune più e alcune meno. Le ho sparse per tutta la cucina, per riordinarle per dimensione anziché tenerle ammassate a caso dentro quel maledetto cassetto.
E Chiara decide che questo è un ottimo momento per entrare in cucina.
«Tutto bene?» mi chiede, alternando lo sguardo tra il pentolame con cui ho tappezzato tavolo e piano di cottura. Tra le mani stringe una tazza viola. Oltre al pigiama che le ho visto addosso la settimana scorsa, oggi ha anche una copertina di flanella ad avvolgerle le spalle.
«Oh, ciao» la saluto io, ma è impossibile non sentire il tono passivo-aggressivo dall'intonazione della mia voce. «E sei tu l'artista o le hai comprate così?» Prendo una padella a caso e la agito appena, in modo che Chiara possa notare i graffi.
Lei si stringe nella coperta, e alza il mento. «Tanto non sono mie.» Si avvicina al lavabo, ci posa dentro la tazza, e fa un passo indietro. «E tra un paio di mesi al massimo me ne vado.»
Mi mordo la lingua per non risponderle male – mi sbologna la sua tazza sporca e non la riempie neanche d'acqua prima di lasciarla lì?
«Ok, senti, facciamo così» inizio a dire io. «Questa è mia. Ok?» Le agito davanti alla faccia una delle padelle più piccole. L'unica non rigata. L'unica che sembra nuova, in effetti. Forse l'unica che lei non ha mai usato.
Noto i suoi occhi spalancarsi, e per un attimo un'aura di un blu elettrico freddo si diffonde dalla sua figura, si irradia nella stanza fino a scomparire nel bianco grigiastro dei muri.
Chiara ha avuto un minuscolo attacco d'ansia. Quasi un infarto, forse.
Aggrotto le sopracciglia, ma non le chiedo spiegazioni. Non ho voglia di darne, soprattutto. Non mi sembra il momento migliore per raccontarle i dettagli della mia sinestesia. E penso che la spaventerei soltanto.
«Va bene» risponde, con ostentata noncuranza.
Annuisco.
Riordino le altre padelle, mentre lei scompare di nuovo nella sua stanza.
Metto un filo d'olio in padella – la mia padella – e finalmente accendo il gas. Bevo un sorso di succo, constatando che è troppo freddo, e che farò meglio a non tenerlo in frigo se non voglio rischiare una congestione a ogni pasto.
Faccio partire prima l'hamburger, che sfrigola non appena entra in contatto con la padella. Cerco tra le poche spezie qualcosa che vada bene per la carne di manzo, e decido che sale e pepe sono un'accoppiata semplice ma efficace. Non che abbia molta scelta. Magari andrò a comprare qualcosa uno di questi giorni.
Mi piace sperimentare con dei sapori diversi dal solito. Trovare combinazioni inusuali ma in qualche modo complementari. Andrea ha supposto che fosse un altro dei miei superpoteri dati dalla sinestesia, ma io credo che sia solo dato dal fatto che mi sono ritrovato costretto a cucinare per me stesso molto spesso, e che non ho mai avuto paura di sperimentare.
Aspetto ancora qualche minuto prima di girare l'hamburger sull'altro lato, e solo dopo mi permetto di aggiungere le verdure. Giusto per far prendere un po' di sapore.
E poi il telefono vibra di nuovo.
Mi getto sul tavolo. Prendo un altro sorso di succo, svuotando il bicchiere, e quando apro le notifiche il mio cuore prende a battere fortissimo.
«Posso chiamarti?»
Anna. Cuore bianco.
È partito come una cretinata, quasi una presa in giro, perché lei di cognome fa Bianchi, ma ormai è davvero il colore che associo a lei.
Anche se so già che, non appena risponderò, sentirò solo quella rabbia verde e acida stringermi e punzecchiarmi lo stomaco.
La chiamo io.
Lei risponde dopo tre squilli. Come se non avesse già il cellulare in mano.
«Ehi» dice la voce dall'altro capo. Piatta. Vuota. Bianca.
«Ehi» rispondo io, cercando di suonare un po' più solare, un po' più allegro.
Cerco di concentrarmi sia sulla conversazione che sull'hamburger. Mi verso un altro bicchiere di succo, e lo sorseggio mentre sto sia ai fornelli che al telefono.
Anna non sembra troppo incazzata. Anzi, dopo il primo muro di ghiaccio, si dimostra subito comprensiva e propositiva.
«Sono libera il 20, se per te non c'è problema se resto a dormire.»
«Per me nessun problema» le assicuro io. «Però qui c'è un letto solo.»
«Cigola come quello che hai a casa?»
Sorrido. «No, non credo.» Lei non risponde con nessuna battuta. «Lo testiamo, dai.»
Cominciamo a parlare di orari e mezzi di trasporto.
«Ah, il 20...» Guardo il calendario appeso al muro della cucina, ma da quello capisco solo che è un lunedì. Apro allora la galleria del telefono, e cerco lo screenshot del calendario delle lezioni che ho fatto l'altro ieri.
«Io ho lezione fino alle 15:30, dopo sono libera» ripete Anna.
«Sì, io finisco alle... sì, anch'io verso le 15:00. Ti va se ci becchiamo in Centrale a mangiare qualcosa prima di venire da me?»
«Non è lontano per te?»
«Ma no, tre fermate della verde.»
Anna sembra titubante, ma alla fine acconsente.
«Il problema è che il giorno dopo devo buttarti fuori di casa prima delle 10:00.»
Finalmente la sento ridere.
«Cercheremo di non fare troppo tardi, allora» conclude.
Sorrido anch'io, e mi sento un po' più leggero. Ci salutiamo in fretta, senza diminutivi affettivi – non mi ha ancora perdonato del tutto, lo so – ma quando metto giù il telefono sono molto più tranquillo di quando sono entrato in cucina.
Inspiro a pieni polmoni, e sento un odore che non mi piace per niente.
Il mio hamburger... sta bruciando!
Spazio autrice
Rieccoci qui, fantasmini!
Allora, questa Anna è un po' permalosa, però in effetti ci teneva a San Valentino... voi avreste reagito così? Il nostro Ale è perdonabile?
E poi c'è Andrea, un'altra ragazza con cui il nostro protagonista sembra essere in rapporti molto buoni (e che forseforseforse è proprio il self-insert che stavamo cercando).
Quindi la domanda sorge spontanea: una delle due ragazze ha le corna oppure Alessandro è poliamoroso? (Risposta molto facile, ma sentiamo pure le vostre ipotesi.)
F. D. Flames
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