2 - bullet night (parte 1)
24 novembre 2022
Mancano cinque minuti a mezzanotte quando finalmente ci fanno entrare. Rilasso i muscoli tesi dal freddo quando faccio il primo passo all'interno del locale. Verso la cassa.
Stringo forte nella mano destra i dieci euro che ho fregato dal portafoglio di Leo. Non avevo in mente di usarli per pagarmi l'ingresso alla Bullet Night, ma ero arrabbiata, sì. Soprattutto perché non è voluto venire anche lui.
«Devo studiare.»
Deve sempre studiare. Tutti dobbiamo studiare. Ma non quando c'è la cazzo di Bullet.
Faccio un altro passo avanti quando la fila si muove. Sento la musica rimbombare dal piano di sotto. Scorgo le luci verdi e poi azzurre e poi fucsia sui volti delle persone sorridenti che scendono le scale.
Picchietto il tacco degli scarponcini a terra. Quando tocca a me?
Gaia raggiunge per prima la cassa. I bottoni e le borchie della sua giacca di pelle si illuminano non appena mette piede nella zona di luce vicina al bancone.
Non appena riceve il timbro, si fa da parte, e mi aspetta.
«Nome?»
«Erika Zanga» rispondo alla donna alla cassa.
Le allungo i dieci euro, e poi tengo il palmo della mano appoggiato al bancone in modo che lei stampi l'immagine della pistola racchiusa in un cerchio che identifica questa serata.
Sorrido, e mi aggrappo al braccio di Gaia per scendere le scale. La musica è sempre più intensa. Sento il mio cuore battere allo stesso ritmo.
Entriamo nella sala da ballo insieme al drop, e subito veniamo investite da un'ondata di luci, di fumo, e di persone.
Strisciamo lungo il muro alla ricerca di un posto da cui si veda il palco. Cerchiamo di evitare il più possibile le ondate di folla che poga e spintona.
E soprattutto che suda.
Un gigante rotondo con una maglietta degli Avenged Sevenfold mi spinge di lato per andare a gettarsi nel vivo del pogo con l'equivalente di un tuffo a bomba in una piscina di gente.
Che schifo la sensazione fredda e appiccicaticcia del contatto con chi non si rende conto di assomigliare così tanto a un maiale in un recinto. Per fortuna non avevo in mano nessun drink. Anche se ci starebbe, in effetti. Ma il bancone è lontano, c'è una fila immensa, e non ho comunque i soldi per pagarmelo.
«Andiamo un po' avanti?» Gaia è costretta a urlare nel mio orecchio, e si fa capire a gesti, tracciando il breve percorso che intende fare con un gesto del polso.
Io annuisco, e lascio che sia lei a fare strada fino a un angolino in cui la gente si limita a scuotere la testa e alternare il peso da un piede all'altro.
Io ho voglia di muovermi un po' di più.
Mi scaldo un po', facendo ondeggiare i fianchi e passandomi una mano tra i capelli. Mi lancio occhiate attorno, di tanto in tanto, per valutare se qualcuno mi sta osservando.
Tutto quello che vedo, però, sono solo ragazze più magre di me e truccate meglio di me e vestite meglio di me.
La prima che mi passa davanti è una goth dai capelli neri, con un paio di ciocche di un viola brillante, che sarà alta come me – al netto degli high platform boots borchiati – ma che peserà forse anche dieci chili di meno.
Sospiro, e mi volto dall'altra parte. Mi aggiusto la maglietta cropped e commetto l'errore di guardare in basso. Ora la mia pancia mi sembra troppo gonfia. Troppo rotonda. Alzo la gonna per coprirla di più, scoprendo quindi un'altra porzione di cosce, ma la cintura sottile non è abbastanza stretta, e si sistema di nuovo poco sotto il mio ombelico.
Continuo a ballare cercando di non pensarci, ma mi sento sola, sfigata, e inguardabile in mezzo a questo mare di gente figa.
E continuo a farmi pippe mentali che non vanno da nessuna parte, ma si rincorrono in cerchio riportandomi al punto di partenza nel mio circuito di paranoie.
Forse Gaia che balla vicino a me è un deterrente per i ragazzi? Sembriamo lesbiche? O è solo perché sono troppo brutta? Troppo poco interessante?
Un DJ finisce i suoi pezzi, si prende un applauso, e lascia il posto a un altro.
Guardo il telefono e scopro che sono già quasi le due di notte.
Gaia mi si avvicina di un passo. Si fa aria con la giacca di pelle – come ha fatto a non essere già morta di caldo lo sa solo lei – e cerca di dirmi qualcosa all'orecchio. «Ti va di uscire a prendere un po' d'aria?»
Non me lo faccio dire due volte. Adesso sono io a camminarle davanti, mentre procedo a piccoli passi frettolosi in direzione delle scale.
Mi appiattisco contro il muro per lasciar passare un'altra coppietta – vestita molto meglio di me, ovviamente – e salgo i gradini quasi saltellando.
E appena fuori fa freddo. Fa un freddo assurdo.
Forse non avrei dovuto mettere le calze a rete ma le parigine che mi coprono almeno fino al ginocchio. Perché sto già tremando un casino.
Gaia ha dei jeans skinny neri strappati, quindi non soffre così tanto. E ha la giacca di pelle borchiata, e quel rossetto viola scuro, quasi nero, che le sta da Dio, soprattutto insieme all'eyeliner, che dà ai suoi occhi un taglio cattivo, quasi da villain. E gli orecchini che spiccano benissimo sullo sfondo dei suoi capelli biondo platino. E il septum nero, che a lei per qualche motivo sta bene mentre un sacco di gente che ce l'ha assomiglia solo a una mucca.
Cazzo, perché tutti hanno stile tranne me?
Io sono solo una poser con una cropped t-shirt dei Nirvana e una gonna rossa che non sta bene con niente, degli space buns usciti male che penzolano ai lati della testa, e che ogni volta che prova a fare lo smokey eye sembra un cazzo di panda e basta.
Sbuffo di nuovo. L'aria qui fuori sembra molto più respirabile, anche se è gelida.
Gaia tenta di iniziare una conversazione, ma parla fin troppo presto di esami e progetti a cui non voglio neanche cominciare a pensare. Almeno per questa sera.
Sposto lo sguardo da un gruppetto all'altro, forse alla ricerca di una sigaretta da scroccare, anche se di solito non fumo. È solo per fare conversazione, incontrare gente nuova, farmi conoscere e forse fingere anche di farmi apprezzare.
È per distrarmi.
Ma è proprio mentre cerco di distrarmi che noto quattro persone vestite peggio di me. Cioè, gente che non sembra per niente vestita da Bullet.
E in mezzo a loro c'è un tizio mingherlino, con una felpa viola di sei taglie più larga del dovuto e i capelli decolorati. Brillano di bianco alla luce del lampione. E sta agitando le braccia, forse raccontando qualcosa ai suoi amici, che scoppiano a ridere un attimo dopo tra bestemmie e imprecazioni varie.
«Ehm, io rientro» balbetto, facendo un cenno con la testa.
«Hai già freddo?» si preoccupa Gaia, alzando un sopracciglio.
«No, no» mi affretto a negare. «È solo che...» Lancio un'altra occhiata da quella parte. Ho paura che mi abbia notata. Mi volto subito, dando le spalle a lui e tutto il suo gruppetto.
«Qualcuno che conosci?» intuisce Gaia.
Non faccio neanche in tempo ad annuire.
«Oi, Erika!»
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