1 - grigio (parte 2)
«Ah, eccoti!» esclama il padrone di casa. «Ti stavi nascondendo dal nuovo arrivato?» scherza.
La ragazza sulla soglia della camera sembra farsi più piccola, al suono di quelle parole. È così in imbarazzo che le sue orecchie sembrano irradiare un'aura rossa e violacea.
È carina, un po' curvy, direi, ha le guance paffute e gli occhiali tondi, che accentuano la forma dolce dei suoi occhi castani. Tiene i capelli scuri in un caschetto più o meno ordinato, e indossa un pigiama di flanella con pantaloni bianchi e maglia rosa, con raffigurato al centro un grande orsetto marrone che fa l'occhiolino e manda un bacio. Un cuoricino rosso è ricamato poco più a destra.
Le sorrido, e le porgo una mano. «Piacere, Alessandro.»
Lei si presenta in fretta, mormorando un «Chiara» che quasi mi sfugge, poi entra in cucina e si chiude la porta alle spalle.
Immagino che anche solo guardare all'interno di questa stanza sia ancora complicato, per lei. È passato soltanto un mese da quando la studentessa suicida è stata ritrovata. E chi sarà stato a ritrovarla, se non la sua stessa coinquilina?
Ammetto di aver visto solo il titolo di giornale, e di non aver fatto ricerche a riguardo. O meglio, non ho fatto ricerche diverse dalla zona in cui si trovava questo appartamento, e il numero di telefono dell'agenzia immobiliare che mi ha portato qui oggi.
Lascio mio padre e il signor Borelli ai loro discorsi su bollette e contratto d'affitto, e mi dirigo verso il bagno – l'unica stanza che non abbiamo ancora visitato.
Lo trovo tenuto abbastanza bene. Le ceramiche sono pulite, l'acciaio lucido, lo specchio non ha neanche l'alone di una singola goccia. Le piastrelle azzurre sono lucidissime.
E, cosa più importante, Chiara sembra una tipa ordinata. I prodotti per pulire sono organizzati nel loro angolino accanto alla lavatrice – di cui apro il cestello per annusare eventuali cattivi odori – e tutto ciò che è suo e che non si trova nella doccia deve trovarsi in uno degli armadietti.
È allora che noto un altro difetto. Identico a quello già visto nella mia stanza, in realtà. È una piccolissima macchia, poco più a destra dello specchio. È di un marroncino chiaro, che forse un tempo era rosso. Il mio primo pensiero è che si tratti dell'ombra di una zanzara schiacciata l'estate scorsa.
Spero davvero che sia solo quello.
Ma forse mi sto lasciando suggestionare da ogni piccola cosa. Se non avessi saputo che in questa casa è morta una ragazza della mia età, immagino che non mi sentirei così. Non noterei tutti questi dettagli inutili.
Sento di nuovo dei passi lungo il corridoio. Mio padre e il signor Borelli devono aver finito di parlare. Sento il tintinnio delle chiavi. Il padrone di casa sta per accompagnarci fuori.
Non salutiamo nemmeno Chiara, e all'inizio mi sembra un atteggiamento scortese, ma, considerando quanto è stata schiva lei stessa, forse la cosa migliore per lei è davvero che ce ne andiamo in silenzio. Non voglio turbarla con la mia presenza ancora prima di iniziare a vivere qui.
Ci facciamo la discesa in ascensore nel solito silenzio in cui nessuno sa se parlare, guardarsi allo specchio, o tenere lo sguardo puntato verso i propri piedi. Sei piani di imbarazzo più tardi, le porte si aprono dopo un ding dong dissonante e fastidiosissimo, ma che spero imparerò a ignorare.
Salutiamo il signor Borelli con una stretta di mano, appena fuori dal portone. E poi ci incamminiamo lungo la via, schivando le merde di cane sui marciapiedi e sospirando al semaforo rosso, fino a raggiungere la nostra auto, parcheggiata in seconda fila, che per fortuna non ha ricevuto nessuna multa.
«Insomma, si vede che il padrone di casa è proprio affamato di clienti» continua il suo ragionamento mio padre.
Io mi limito a lasciar uscire l'ennesimo «Mmh» di assenso.
«È la casa che costa meno di tutte quelle che abbiamo visitato, è messa bene» aggiunge sempre più elementi alla lista, mentre accelera. «E poi hai un pezzettino a piedi, tre fermate di metro, e sei arrivato al Politecnico.»
È un'ottima zona, sì. Ben collegata, con un minimo di verde per non impazzire in questa giungla di cemento, con un paio di discount vicini. Ma non riesco a togliermi questo broncio dalla faccia.
«È un po' vicina ai binari» mi lamento. E so che non è abbastanza. Però c'è qualcosa che mi dà fastidio allo stomaco, quando penso a quella stanza vuota.
È grigia, penso. Ma non posso esprimerlo a parole. Non posso spiegare tutti i colori che vedo, che sento. Tutte le macchie di luce che mi attraversano.
«Tutte le case a Milano sono vicine a qualche binario, che siano treni o tram» risponde mio padre. «E, in ogni caso, c'è sempre rumore, anche dove i binari non ci sono. È una città.»
È troppo grigia, penso ancora, ma lascio perdere quel ragionamento appena iniziato, e annuisco.
La sinestesia sarà difficile da gestire, ma di questo ne abbiamo già parlato anche con Mamma. Ci sono un sacco di cose che mi daranno sempre più fastidio del normale. Ma, man mano che cresco, sto imparando a gestirne sempre di più. Sto imparando a discernere che non tutto quello che percepisco è uguale per gli altri. E sto anche imparando ad apprezzare quando sentire è un valore aggiunto.
È come fare il doppio di esperienze. Ascoltare una canzone e vederla dipingersi sul finestrino di un autobus. Assaggiare una fetta di torta e sentire il profumo dei fiori in primavera. Innamorarsi di una ragazza e vedere una luce del tuo colore preferito tutt'attorno a te, a lei, alla tua vita.
Entrare in una stanza vuota e vedere tutto quel grigio.
«Oppure credi ai fantasmi?» mi prende in giro mio padre, dopo qualche secondo davanti all'ennesimo semaforo rosso.
Mi volto a guardarlo con un mezzo sorriso già stampato in faccia. La sua espressione è lo specchio della mia.
«Nah, va bene, dai.» Annuisco con più convinzione. Il semaforo diventa verde. «Prendiamola.»
Spazio autrice
Eccoci qui, carissimi fantasmini!
Cosa ne dite di Alessandro?
Partiamo subito con il conta-chicche: la sinestesia, la condizione del protagonista, è stata rubata (consensualmente) da un altro Alessandro che conosco e che mi ha aiutato a descriverne alcuni dettagli. In poche parole, per lui è automatico fare associazioni tra colori e sapori, stati d'animo, suoni, o anche persone in generale. E non solo dal punto di vista mnemonico (come faccio anch'io che riempio tutti gli appunti di colorini diversi se no mi dimentico le cose) ma proprio nel senso che vedi ad esempio una macchia verde attorno a una persona arrabbiata, senti un sapore dolce quando ascolti una certa canzone, o roba simile.
Questo piccolo superpotere ci sarà molto utile nel corso della storia!
F. D. Flames
Ogni immagine utilizzata appartiene al rispettivo artista.
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