VII Capitolo - Segreti & Progetti

L'alba sorse livida, simile al grigiore indefinito che l'aveva preceduta. Spuntò all'improvviso, seppur nessuno di chi la stesse osservando, dalla propria stanza, se ne curava. Erano lì, a guardare un bagliore pallido, benché altre immagini danzassero davanti ai loro occhi, le stesse che avevano vissuto poche ore prima.

I più arditi, come il duca Maximilian, avevano finanche spalancato la portafinestra ed erano stati travolti dal fresco vento che soffiava da ovest; l'aria pungente gli aveva graffiato la pelle, ma non intorpidito i pensieri.

Katharina, invece, se ne stava sul proprio letto, seduta con le gambe incrociate e con le spalle avvolte in un consunto scialle di lana. L'estate tardava ad arrivare e, inoltre, la coltre gelida sotto la quale era sprofondato il suo cuore le raffreddava ogni senso.

Sembrava invecchiata di dieci anni, consumata da un amore che l'aveva offesa e umiliata. Aveva accusato il padre delle peggiori nefandezze, mentre l'uomo aveva detto solo il vero. Doveva trovare solo l'ardire di ammetterlo, a sé stessa e poi a lui. I ricordi della sera precedente erano fotogrammi vividi che riempivano la mente, e le chiudevano lo stomaco.

A un tratto, udì i passi strisciati di chi stava attraversando il corridoio, fermandosi proprio fuori la sua stanza, e un lieve, ma insistente, picchiettare contro la porta. Non rispose, sperando che l'inaspettato e sgradito visitatore- chiunque fosse- andasse via, credendola ancora addormentata. In fondo, chi poteva immaginare che la contessina Katharina von Andrássy avesse passato la notte insonne, annichilita dalla scoperta della realtà: Alexander si era sempre preso gioco di lei.

Fuori dalla porta della sua stanza, però, c'era chi conosceva la sua anima affranta e, intenzionata a curarla, schiuse l'uscio con fermezza. «Immaginavo che fossi sveglia» esordì Christina, «Non hai chiuso occhio, vero?», si addentrò cauta nella stanza e andò a sedere sul letto della sorella; gettò via le pantofole e salì sul materasso, incrociando le gambe e assumendo la medesima posizione mogia di Katharina.

«Che cosa vuoi?» Un'inflessione dura modulò la voce della contessina.

«Te l'ho già detto ieri, dovrò raccogliere i cocci del tuo cuore infranto», Christina non le avrebbe consentito di allontanarla, «Almeno, fin quando sarò qui e potrò farlo».

«Che cosa significa?» domandò preoccupata Katharina, si voltò di scatto e osservò il profilo assorto della sorella.

Christina sospirò. «Papà ha deciso di mandarmi da zia Clara a Trieste. Credo che il mio futuro sposo sia lì, ma anziché ordinarmi di sposare uno sconosciuto, ha preferito percorrere una strada più sicura. Magari, spera che, facendo la sua conoscenza casualmente, possa piacermi», chiuse gli occhi, rassegnata. Un guizzo di curiosità, però, baluginò tra la certezza di voler compiere il proprio dovere. «Come hai capito di esserti innamorata? Ti sono cadute le stelle davanti agli occhi, come si narra nei libri d'amore, oppure hai smesso di respirare, come sussurrano i cantanti? Quando hai capito che Alexander fosse il grande amore della tua vita?» Le palpebre della contessina Andrássy si alzarono di scatto e le pupille attente, cercarono, e trovarono, quelle della sorella. «Come hai scoperto di voler passare il resto dei tuoi giorni insieme con lui?»

Katharina rifuggì l'occhiata di Christina, spostò lo sguardo sulle punte dei propri piedi e s'incantò osservare le dita che smuoveva appena. Rifletté a lungo, poi confessò: «L'ho sempre saputo, sin da quando ero piccola. Non c'è stato un momento in cui ho detto: Mi sono innamorata di Alexander», strinse le mani intorno al busto e continuò a schivare gli occhi penetranti dell'interlocutrice. «In fondo, non è così che funziona l'amore? È una certezza, qualcosa di naturale che è dentro di te da sempre, non ti cattura all'improvviso.»

«Non lo so, io non l'ho mai provato», anche Cristina iniziò osservare i piedi della sorella, come se avessero potuto entrambe trovarvi risposta ai loro interrogativi. «Però, ricordo che mamma diceva sempre che l'amore rompe le dighe e far esplodere gli argini edificati con fatica. La sua versione non sembra coincidere con la pacatezza della tua».

«Perché? Non ti ho detto che non è devastante, ma solo che non è esploso all'improvviso. Ciò che sento per Alexander è totalizzante, seppur sia sempre esistito» rispose piccata la maggiore delle Andrássy.

«E se fosse unicamente una convinzione comoda?» Christina non riuscì a trattenere oltre e dalla sua bocca scivolò la domanda che, da sempre, avrebbe voluto porre alla sorella. Fu la prima volta che la pronunciò, benché non fosse l'ultima. L'avrebbe ripetuta fino allo sfinimento, soprattutto quando la personale e fortificata diga sarebbe esplosa davanti ai propri occhi, una combustione innescata dall'unico uomo che avrebbe mai amato.

«Assolutamente no! Io amo Alexander, nonostante ora dovrei odiarlo», l'imperativo riempì la stanza e bruciò nelle sue stesse orecchie.

«Che cosa ti ha fatto?» chiese Christina, benché un'idea già l'avesse.

«Papà aveva ragione, potrebbe davvero diventare padre da un momento all'altro.»

«Mi dispiace...»

«Potrei non perdonarlo mai,» confessò, «ma non voglio parlare di lui, ora. Dimmi piuttosto perché non ti sei opposta a nostro padre. Puoi rifiutarti di andare in Italia».

«Katharina, ho scoperto, casualmente, che la nostra famiglia naviga in cattive acque e nostro padre non riuscirà a risollevare le finanze degli Andrássy senza il nostro aiuto» annunciò cauta la giovane.

Katharina sussultò e fissò a pupille spalancate il viso rassegnato della consanguinea. «Come è potuto succedere? E cosa potremmo fare noi per sostenerlo?»

«Accettare le sue scelte!» Christina si sdraiò, gettandosi a peso inerme sul letto, e fissò a occhi assenti il soffitto. «Ci sono persone destinate a vivere la vita che gli è stata cucita addosso nell'esatto momento in cui sono venute al mondo, esistenze scelte dal fato o dai propri familiari» annunciò malinconica, «noi due, così come ogni donna nella nostra posizione sociale, apparteniamo alla schiera di persone che può scegliere e ottenere tutto quello che desidera, fuorché la libertà di decidere come condurre la propria esistenza.»

«È così triste» mormorò la sorella.

«Forse, in futuro, la nostra condizione potrebbe cambiare» si convinse di essere stata un po' troppo melodrammatica e potette quasi avvertire le tumultuose vibrazioni che scalpitavano nel costato della sorella. L'aveva spaventata e, anche, scossa dal torpore in cui si era avviluppata per colpa di Alexander, e se ne compiacque.

«Come?» chiese Katharina, «Come credi che possa cambiare la nostra condizione se tu, per prima, non ti opponi al volere di nostro padre?» s'infervorò.

«Non ho idea, qualcosa m'inventerò quando sarò a Trieste per non soccombere a un matrimonio combinato; oppure, mi sto completamente sbagliando e il nostro triste destino non muterà mai», Christina innalzò la schiena e tornò a sedersi accanto alla sorella, poggiò il capo sulla morbida curva della sua spalla e sospirò. «Quantomeno, l'Italia è una terra meravigliosa!»

«Peccato che Trieste sia una città irridente» Katharina soffocò l'accenno di entusiasmo della sorella, che aveva il pregio - tal era dal suo punto di vista- di vedere del buono in tutto ciò che le capitava.

«Quale sarebbe il problema?» Christina smosse le braccia e sorrise appena, «Meglio così, non mi sembrerà di essermi allontanata da casa andando in una città dove si parla tedesco ed è possibile incontrare un soldato austriaco in ogni angolo di strada» annunciò certa, inconsapevole che, in quella terra smaniosa di ritornare alla madre, si sarebbe scontrata contro il cuore patriottico di chi avrebbe rubato il suo.

«Mi mancherai», fu l'unica risposta che Katharina riuscì a pronunciare, mentre le pupille pizzicavano per la nostalgia.

«Mi mancherai anche tu» soffiò con ritrosia Christina, «eppure, non temo la lontananza e sarai sempre con me, ovunque andrò e dovunque sarai. L'abbiamo promesso quando eravamo bambine: niente e nessuno potrà separarci».

Katharina annuì, e pianse tutte le lacrime che aveva trattenuto nei condotti lacrimali durante le ultime ore. Lasciò che sgorgassero tumultuose e bagnassero finanche la camicia da notte. «Ricordo benissimo il giuramento, eravamo a villa Eisner Von Eisenhof e il medesimo impegno fuoriuscì dalla bocca di Alexander e Maximilian» singhiozzò sommessa, evocando quanto accaduto diversi anni addietro. Erano solo dei bambini, eppure ogni minuzioso dettaglio le ritornò in mente, confondendosi con le immagini della sera precedente e scontrandosi con una realtà che era diversa da come l'aveva desiderata.

Non esistevano più, lei e Alexander, e tutta la sua intera esistenza, quantomeno quella condivisa con lui, le sembrò una menzogna. «È tutto cambiato, niente sarà più come prima», diede fiato ai propri infelici pensieri.

«Sarà pure mutato il tuo legame con Alexander, saranno state solo bugie le sue, ma ciò non cambia nulla sulle promesse che ci siamo fatte tu ed io: ti ha tradito lui, non io», l'intonazione della voce di Christina s'innalzò, aspra, «e non ho alcuna intenzione di venir meno alla parola data. È un riguardo nei confronti della tua persona, perché sei a me più cara di ogni altro essere umano, e nei miei, giacché tengo fede a ogni promessa pronunciata», inspirò forte, «che sia stata fatta ora o, anche, quando ero solo una bambina».

«Mi dispiace, non volevo offenderti», Katharina strofinò il viso e asciugò ogni lacrima sprecata, una dopo l'altra, «il dolore e l'offesa mi rendono stupida e cieca. Devo solo smettere di concentrarmi su lui e ricordare tutte le persone belle che mi circondano, tu più degli altri». Katharina sorrise mesta, innalzò le labbra giusto un po', tanto che il suo sorriso apparve simile a una smorfia, e intrecciò le dita della sorella, «Perdonami e sappi che ti adoro; la tua partenza sarà ciò che non è curabile né potrà essere mai consolato».

«Che cosa è accaduto davvero ieri sera?» Christina azzardò, scontrandosi con la reticenza della sorella. La stanza di Katharina si ammantò nel silenzio, spezzato quando Christina si stancò. «Potresti almeno dirmi come sei arrivata nella dimora degli Eisner Von Eisenhof?» cogitò sulla sera precedente ed esternò il suo cruccio. «Dopo aver parlato con papà, mi sono diretta in camera tua, sia per sapere come stessi sia per confidarti la mia sorte, ma l'ho trovata vuota. Quindi, senza farmi scoprire da nessuno, sono corsa alle stalle e ho scoperto che non mancava alcuna carrozza, inoltre credo che il cocchiere non ti avrebbe accompagnato da nessuna parte, soprattutto a quell'ora, senza il consenso di papà», Christina staccò le dita da quelle della contessina e le portò sotto il suo mento, voltando il viso della sorella brutalmente verso il proprio, «Come hai raggiunto Alexander?»

«Potrei essere arrivata a villa Eisner Von Eisenhoh a piedi» confessò e arrossì, fu una combustione provocata dall'occhiata fiammeggiante di Christina.

«Cosa hai fatto?», la ragazza saltò dal letto e girovagò inquieta per la stanza, «Sei impazzita, per caso? E dimmi, anche il ritorno hai utilizzato lo stesso e sicurissimo mezzo di trasporto?», si fermò al centro della camera, portò i pugni sulle anche e puntò torva la consanguinea, «Stando a quanto hai accennato su Alexander, presuppongo che tu abbia stupidamente rifiutato di farti accompagnare a casa. Posso comprendere il tuo stato d'animo, ma la tua sicurezza dovrebbe essere la priorità e, quindi, avresti dovuto acconsentire per, poi, dirgli addio appena arrivata davanti al nostro giardino».

Era stravolta, Christina, parlò a vanvera e non notò il sorriso sbieco spuntato a fior di labbra sulla bocca di Katharina. «Credi davvero che Maximilian mi avrebbe consentito di tornare a casa da sola e a piedi?» chiese e sbuffò, «Non ha voluto udire ragioni e mi ha scortato personalmente fino all'ingresso di casa, abbandonando i suoi ospiti e arrischiando di incontrare papà, al quale avrebbe dovuto dare più di una spiegazione per la sua presenza».

«C'era anche Maximilian?» Christina espirò di sollievo, «Sia ringraziato Dio! Spero che anche Alexander abbia insistito per non lasciarti venire da sola, altrimenti si allunga la lista delle cose di cui deve tenermi conto» dichiarò battagliera.

Katharina avrebbe voluto controbattere, ma ogni parola soffocò in gola, sovrastata dal picchiettare cadenzato contro la porta della sua stanza, «Contessina, dorme ancora?», la voce di Clotilde, la sua cameriera personale, oltrepassò il battente e disturbò le due sorelle, «Mi dispiace infastidirla a quest'ora, ma ci sono visite e chiedono espressamente di voi. Ho provato a far notare rispettosamente al duca Eisner Von Eisenhof che non è un orario consono per riceverlo, ma lui ha insistito oltremodo».

Katharina avvertì il cuore sballottolare a destra e manca, salire fino alla laringe e scivolare impetuoso nuovamente nel costato; udì i battiti pulsare violenti e, poi, affievolire uno dopo l'altro e, infine, non ne sentì più neppure uno.

Il vociare ininterrotto di Clotilde e i richiami di Christina, infine, la scossero, facendo vibrare il suo corpo. Annuì, guardando la sorella, e, con la voce ridotta a un sussurro, rispose: «Digli di andare via, non ho alcuna intenzione di parlare con lui. Accertati personalmente che Alexander non venga più a disturbarmi».

«Credo di non essermi spiegata bene, contessina» Clotilde osò interrompere il turpiloquio, «Non è il duca Alexander che è venuto a farle visita, ma il duca Maximilian Eisner Von Eisenhof e ha specificato che non andrà via per nessuna ragione al mondo senza averla vista prima!»

Diversi anni dopo, ripensando a quella visita inaspettata, Katharina capì che ogni avvenimento aveva le sue ragioni di esistere e non importava se, al momento, non venissero comprese. Tutto ciò che davvero contava era non tentare di cambiare quanto doveva accadere.

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