III capitolo - La proposta

Poggiò la schiena sulla parete, si spiaccicò contro di essa e protese il volto oltre lo spigolo, dopo aver portato l'indice sulla punta del naso e aver fatto segno alla ragazza di tacere, giacché non smetteva di ridere. Guardò se ci fosse qualcuno nel corridoio, poi tirò il braccio della sua ospite e la trascinò fino all'uscita secondaria.

Si ritrovarono nel giardino posteriore, illuminato solo da una mezza dozzina di lampioni sparsi lungo il perimetro del muro di cinta, percorsero il viale riparato da alte siepi e si addentrarono nella serra, un tempo regno della duchessa Eleonora. «E se qualcuno ci avesse visto?» domandò lei, tenendo le dita intrecciate a quelle del ragazzo. Non che le importasse granché, anzi si era piuttosto divertita quando Alexander, mentre danzavano un valzer, le aveva sussurrato a fior di labbra di seguirlo perché voleva star solo con lei.

Non se lo era fatto ripetere due volte, era quello che sognava da mesi. Volteggiando su se stessi, i due innamorati ritrovati si erano avvicinati a una porta ed erano sgattaiolati via. «Non credo che qualcuno ci abbia notato, erano tutti impegnati a omaggiare, e ingraziarsi, mio fratello.» Alexander non pronunciò altro, la bocca gli servì per catturare quella di lei e invaderla tutta. Circondò l'esile vita, stretta dal bustino e abbellita da merletti, poggiò le mani sulla schiena e le accarezzò la spina dorsale, diventando sempre più audace.

Le lingue danzarono con cupidigia, attorcigliandosi l'una all'altra, mentre le dita di Alexander affondavano sulla cedevole carne. Katharina seguì il ritmo dei loro cuori forsennati e fremeva sotto carezze sempre più audaci. Sbocciò di candore tra le braccia di chi aveva sempre anelato.

«Alexander... fermati, ci potrebbero scoprire.»

«Mi sei mancata, tanto.» Il ragazzo respirò nella bocca di Katharina e assaporò, dopo mesi di lontananza, nuovamente la sua dolcezza. «Come potevo accontentarmi solo di leggere le tue parole, trascritte su impersonali lettere, quando l'unica cosa che desideravo era baciarti.» L'insaziabile bocca del duca Alexander scivolò dalla guancia di Katharina e sfiorò il suo collo per scendere sempre più giù, mentre il palmo tremulo delineava il profilo del seno. «Sognavo ogni notte di stringerti a me e odiavo svegliarmi perché avrei dovuto attendere che la notte calasse di nuovo per riaverti tutta.»

Katharina arrossì, il loro era sempre stato un legame pudico, tiepido e lui non aveva mostrato mai tale fervore. Non l'aveva mai toccata e lei non aveva patito questa mancanza; i suoi baci erano stati sempre casti, consoni a dei giovani del loro rango. Anch'ella lo aveva spesso incontrato nei sogni, nei quali loro si limitavano a tenersi per mano o a restare abbracciati. Non si erano mai spinti oltre e, nonostante avesse avvertito un guizzo di desiderio accenderle i sensi, Katharina iniziò a percepire il fastidio di affondi che diventavano sempre più rudi, e piano si scostò. «Scusami, ma...»

«Sssh...» Alexander la zittì, provando a baciarla ancora. «Voglio sposarti, Katharina, e averti tutte le notti.» Un bacio suggellò la promessa dell'uomo, mentre il cuore di Katharina danzava nel petto sulle note di un valzer viennese.

Sarebbe diventata sua moglie, la duchessa Eisner Von Eisenhof, e ne gioì, ma non se ne stupì, benché avesse creduto che la proposta di matrimonio sarebbe stata diversa, un tantino più romantica e non una frase lanciata a caso durante delle effusioni troppo audaci.

Katharina si era preparata da tutta una vita, da quando bambina giocava con Alexander e simulavano di essere sposati, al punto di aver avvertito una grande delusione appena lui le aveva detto che sarebbe partito per Londra, alcuni anni prima, e di essere intenzionato a finire gli studi accademici nella capitale inglese, anche perché glielo aveva ordinato il padre.

«Non dici nulla? Credevo che desiderassi esser mia moglie.» Alexander si staccò e sollevò il volto della ragazza, poggiando due dita sotto il suo mento. Aveva mal interpretato il silenzio di Katharina e si risentì. Aveva scelto lei fra tante, stavolta era convinto. Non si trattava di un'infatuazione giovanile, giacché aveva avuto modo di conoscere altre donne e, per quanto gli era piaciuto star con loro, aveva capito che solo lei poteva ambire a restargli vicino.

«Più di ogni altra cosa a questo mondo» Katharina asserì, convinta; doveva mettere da parte le stupide fantasie da ragazzina innamorata, era in quel modo che funzionavano le cose nel mondo dei grandi. C'era l'amore e non avevano bisogno d'altro, neppure di dichiarazioni plateali. Alexander, ormai, era un uomo di mondo e, di certo, ne sapeva più di lei. «Voglio essere tua moglie il prima possibile.»

«Parlerò con tuo padre stasera stesso e organizzeremo il matrimonio in brevissimo tempo, mia amata duchessa Katharina.» rise dell'espressione meravigliata e trasognata di lei. «Vedi come suona bene? Ti si addice, sei nata per essere la duchessa Eisner Von Eisenhof, seppur di rango minore al titolo che avrà la donna che sposerà mio fratello, se mai quell'orso deciderà di ammogliarsi.»

«Non c'è nessun titolo che conti per me più dell'essere la tua sposa.»

«Prima di quanto tu creda.» Aveva fretta Alexander, doveva sposarsi subito e ristabilire l'ordine, fuori e dentro di sé. «Torniamo dentro e cerchiamo tuo padre.»

«Di già?» Katharina avvertì un battito del cuore pulsare più forte degli altri e smarrirsi, infine, in un lampo di apprensione che aveva ridotto la propria voce in un sussurro.

«Quant'altro dobbiamo aspettare ancora?» Alexander domandò. «Ci conosciamo da una vita e siamo restati separati già per molto tempo. Finalmente, mi sono laureato e il supplizio della lontananza è giunto al termine. Nessuno potrà tenerci lontano. Andiamo?»

Katharina annuì e saltellò di gioia, aggrappandosi alla nuca di Alexander, e, infine, osò, baciando le sue labbra che sapevano di rosee promesse.

Il tempo di un bacio, lungo e ardito, e, poi, i due innamorati uscirono dalla serra e, mano nella mano, corsero incontro al futuro, addentrandosi all'interno della villa dalla stessa porta dalla quale erano usciti.

Il rientro, così come l'uscita, non passò però inosservato, ma fu accompagnato dall'occhiata cupa di chi li spiava dalla finestra dello studio.

«Tuo fratello è impazzito, non c'è altra spiegazione logica, e sta infangando il buon nome della nostra famiglia.» Gustav Eisner Von Eisenhof gettò stizzito il tabloid inglese sull'ordinata scrivania di mogano e puntò gli occhi sulla schiena del nipote maggiore che, da oltre mezz'ora, si era incantato alla vetrata e non aveva proferito parola. «Tua madre, buonanima, aveva tutte le ragioni a non voler che studiasse a Londra, ma mio fratello gli consentiva ogni capriccio, assumendosi la colpa di una partenza che è stata solo sua. Sapevi che Alexander aveva convinto tuo padre a far credere agli Andrássy che fosse stato lui a imporgli di andare in Inghilterra? Quando, in realtà, è stato lui a scegliere dove frequentare l'università.» Gustav si diede dello stolto, certo che Maximilian era informato, sapeva ogni cosa della loro famiglia e anche lui si era mostrato restio ad assecondare la scelta del fratello, probabile che intuisse la sua natura ribelle e libertina. Inoltre, Maximilian si era assunto l'onere di gestire patrimonio e ogni affare familiare dopo l'improvvisa e tragica dipartita dei genitori, maledetto Titanic, e Gustav si era sentito pressoché inutile, giacché l'operato del nipote era stato ineccepibile. «Ma mi ascolti? Cosa stai guardando alla finestra? Sembri un morto.» L'uomo si era avvicinato e aveva osservato, dapprima, il volto niveo del nipote e, dopo, il giardino e li aveva visti. Sospirò. «Vuole compromettere anche lei?»

Alexander e Katharina volteggiavano gai lungo il viale dell'entrata secondaria, accennavano dei passi di danza, si abbracciavano e ritornavano a camminare per raggiungere la porta.

«Non è una stupida, lei.» Maximilian asserì e, finalmente, si staccò dalla finestra.

«Non è una popolana inglese, ma la figlia del conte Andrássy e, per quanto la nostra famiglia sia più influente della loro, non possiamo permetterci passi falsi. Inoltre, Heinrich è mio amico, oltre che a essere stato molto legato anche a tuo padre. Non voglio macchiare il suo onore per i capricci di tuo fratello. Dovremmo parlargli subito, ad Alexander intendo, e dirgli che sappiamo ogni cosa poiché è su tutti i giornali, proprio come tutti gli scandali nei quali è stato coinvolto. Che stupido!»

Maximilian si avvicinò al tavolino basso posto accanto all'immensa libreria, dove spiccavano saggi e trattati, oltre a qualche romanzo di letteratura mitteleuropea, e ghermì il collo di una bottiglia di brandy e ne versò il contenuto in un bicchiere di vetro. Fece dondolare il liquido e, dopo, lo tracannò con impeto, avvertendo l'alcol graffiare le pareti dell'esofago, non al punto da stordirgli i sensi, che era l'unica cosa che voleva. «È meglio che ci parli io, sembra che mi dia ascolto, talvolta.» Il duca sprofondò senza grazia sulla comoda seduta del divano di pelle e osservò, rapito da infinite preoccupazioni, il fondo vuoto del bicchiere.

«Un figlio, Maximilian, capisci?» Gustav girò intorno alla scrivania e riprese tra le mani il giornale che aveva poc'anzi gettato via. «Dovremmo star di là a festeggiare il tuo compleanno, preoccupandoci unicamente di intrattenere gli ospiti e, invece, ci siamo rintanati, o meglio nascosti, in questa stanza per fronteggiare l'ultimo colpo di testa di tuo fratello.» L'uomo agitava la mano e sballottava il quotidiano. «Non gli è bastato aver fatto parlare di sé per essersi invischiato con donne poco raccomandabili o per aver avuto una tresca con la nipote di Sua Maestà, doveva concludere l'opera con un figlio illegittimo!»

«Non sappiamo quanto ci sia di vero in quell'articolo!» Maximilian provò a difendere la posizione del fratello. «Potrebbero essere delle calunnie, pubblicate per screditare la nostra famiglia.»

«Abbiamo conti in sospeso con i britannici?» Gustav lo interrogò. «Perché non mi risulta e, inoltre, mi sembra che anche tu sia dubbioso, poiché ti sei nascosto qui dentro appena di là sono iniziati i bisbigli.»

Maximilian smise di osservare il ghiaccio che ondeggiava nel bicchiere e puntò gli occhi turchesi nelle pozze nere dello zio. Lo stomaco ribolliva e il giovane duca sapeva benissimo che non era colpa del brandy che aveva bevuto senza aver mangiato alcunché, era un altro veleno a mettere in subbuglio ogni suo organo, ma non poteva pronunciarne il nome. «Mi sono rinchiuso nello studio prima che iniziassero i mormorii di quella gente che dovrebbe biasimare il proprio operato anziché giudicare gli altri. Chi è senza peccato...» L'accorata difesa di Maximilian fu sovrastata dall'incessante picchiettare contro la porta. «Avanti!»

«Maximilian.»

«Conte Heinrich,» il duca si alzò dalla poltrona quando la figura del conte Andrássy apparì sulla soglia; era un malvezzo il suo, mostrare riverenza all'uomo nonostante fosse di rango sociale inferiore, ma non avrebbe mai trattato con superiorità l'uomo che l'aveva visto nascere e che era come un fratello per il proprio padre, «entrate, vi prego. Cosa vi porta qua? È successo qualcosa?»

«Maximilian, conoscete l'enorme affetto e rispetto che provo per la vostra famiglia, ultimamente, però, sono giunte alle mie orecchie indiscrezioni che m'inducono a non acconsentire all'unione di mia figlia Katharina con vostro fratello. Sembra che sia un legame sorto in tenera età, ma gli atteggiamenti assunti da Alexander durante la permanenza a Londra mi fanno credere che lui abbia altri interessi che mal si sposano con il rigore morale a cui siamo abituati, sia noi sia voi.»

«Comprendiamo ogni tua rimostranza e nessuno di noi ti biasimerà se allontanerai Katharina da lui.» Gustav intervenne, mentre Maximilian era inerme, incapace di esprimersi e perorare la causa del fratello.

«Conte, anche voi qui? Bene, ero intenzionato a parlare anche con voi, dopo aver informato dei miei progetti futuri zio Gustav e Maximilian.» Alexander si affacciò nello studio, dopo aver cercato fratello e zio per tutta la villa, e fu soddisfatto di aver trovato anche il conte. Katharina, invece, era rimasta nella sala da ballo, accanto alla sorella, e si stava chiedendo dove fossero finiti tutti, mentre tra un bisbiglio e l'altro, a cui lei non badava affatto, raccontava a Christina l'importante novità.

«Non me ne vorrete, allora,» Il conte Andrássy spostava lo sguardo da Gustav a Maximilian e non degnò Alexander neppure di un'occhiata torva, «se mi rifiuto di ascoltare quanto ha da dirmi. Posso immaginare cosa voglia chiedermi e non m'interessa, ho altre mire, più riguardose, per le mie figlie. Mi dispiace avervi rovinato la festa di compleanno, Maximilian, benché il vociferare dell'altra sala non sia iniziato per colpa mia. Vado ad avvisare le mie figlie che è arrivata l'ora di togliere il disturbo. Permettete.» Heinrich s'inchinò lievemente e, ignorando Alexander e i suoi tentativi di protesta, uscì dallo studio di Maximilian.

Non c'era più grazia a distendere i lineamenti di Alexander, ma trepidazione per le proprie sorti che, a quanto aveva intuito, non sarebbero combaciate con quelle di Katharina.

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