Capitolo XI - Lapalissiano
Lapalissiano.
Avrebbe potuto anche tacere, l'espressione arcigna del proprio viso sarebbe bastata affinché il fratello capisse che non gradiva affatto quanto gli proponeva, anzi imponeva.
Una fiammella gli si accese nei lombi e, dirompente, ustionò ogni cellula del suo corpo; era quel fuoco che l'incendiava tutte le volte - rare - che un suo capriccio non veniva assecondato. E, allora, le guance s'arrossavano e le pupille scoccavano dardi minacciosi, il busto s'irrigidiva e si drizzava, mentre le unghie infilzavano la carne dei propri palmi. «Che cos'è, uno scherzo? Oppure, una punizione? Una rivincita?», il veleno straripò dal minuscolo muscolo cremisi che tamburellava contro lo sterno e arrivò alla bocca, contaminata dalle ingiurie.
«Nessuna delle tre» affermò Maximilian, risoluto e per nulla turbato dalla trasformazione. Perché Alexander si travestiva per ogni occorrenza, ma al fratello era concesso, suo malgrado, di vederlo per davvero e, in quel momento, il giovane duca era pronto a ruggire di rabbia inesplosa.
Il detonatore era l'inappagamento dell'unico desiderio non realizzato, per ora.
Katharina non era più la ragazzina acerba, bella ma priva della fascinazione da lui ricercata in ogni donna, che aveva abbandonato per trasferirsi a Londra. Ora, un brivido caldo accarezzava la sua schiena appena sprofondava nei lapislazzuli che la contessina aveva al posto degli occhi. C'era una malia ingenua nello sguardo di Katharina, risucchiante e pericolosa.
«Allora, perché mi chiedi questo sacrificio?» sbottò, infine.
«Perché sono stanco di risolvere ogni tuo guaio, sacrificare la mia vita per rendere migliore la tua!» Maximilian ribatté con il medesimo fervore usato dal fratello.
C'era qualcosa d'irrisolto tra loro, rimandato ad oltranza che mai si era dissolto nella nebbia del tempo, ma era latente e, alla fine, era esploso d'improvviso. Al pari di un morbo. Una malattia che aveva, però, un nome e un cognome.
E anche un titolo nobiliare.
Lo sapeva Maximilian, lo ignorava Alexander.
Non che il primo fosse contento, non gli piaceva affatto la situazione che si era venuta a creare; la speranza spezzava il dolore, lo scalfiva e lo scandagliava. E quel matrimonio, per quanto ingannevole, portava con sé la lusinga che tutto potesse cambiare.
Si era abituato al dolore, talvolta si era fatto trascinare da lui e non voleva che quella perversa e corroborante consuetudine fosse scacciata dal maligno refolo dell'illusione che già s'insinuava dentro di lui.
Dopo, sarebbe stato peggio.
Come poteva tornare alla realtà dopo aver accarezzato il sogno?
Era come se il duca Maximilian Eisner Von Eisenhof si fosse nutrito di scoramento e disillusione, tristezza e apatia.
La sua fame era, però, diretta altrove e, ben presto, l'avrebbe placata. Come si sarebbe saziato dopo, quando la farsa sarebbe finita, era qualcosa a cui non voleva pensare.
Sempre che Katharina accettasse e non aggiungesse l'umiliazione di un rifiuto alla prospettiva di una vita priva d'attrattiva.
«Voglio che tu diventi un uomo degno del nome e del titolo che porti, anzi che ostenti con superbia come se fossi un Dio a cui tutto è dovuto» annunciò, «e laddove abbiamo fallito noi familiari, provvederà l'accademia. Imparerai la disciplina e il rigore, diventando il degno marito che Katharina merita.»
«Ma...»
«Non accetterò obiezioni! È l'unica condizione che pongo, senza la quale mi sottrarrò al mio obbligo», inspirò forte, «Un anno e dopo sarai libero di tornare. Nel frattempo, m'inventerò un modo indolore per mettere fine a questa farsa. Qualcosa troverò, ma non voglio angustiarmi ora.»
«Quante speranze credi che io abbia che Katharina mi perdoni se, anziché star qui a implorarla, io andassi via nuovamente?» Alexander si lasciò cadere senza grazia sul divano e sbottonò la giacca, voltò gli occhi al soffitto e sforzò le meningi affinché la mente s'illuminasse e trovasse qualcosa da dire al punto da irretire il fratello.
«Dobbiamo sperare che Katharina non mandi al diavolo entrambi, e avrebbe tutte le ragioni per farlo!» Maximilian inveì, esternando ciò che più temeva. Non era pronto a perderla per sempre.
Per quello, ci sarebbe stato tempo.
Un anno.
Dodici mesi e, poi, l'avrebbe lasciata andare, precludendo ogni rapporto con lei e il fratello.
«Riuscirò a convincerla, spero solo che non soffra per colpa della tua imposizione!» Alexander ebbe l'illuminazione, tanto agognata fino a pochi istanti prima: doveva instillare nel fratello il dubbio di arrecare dolore a Katharina. «Devo parlarle quanto prima e farle comprendere che la nostra separazione sarà solo momentanea e servirà alla nostra felicità.»
«Adesso, sarei io il responsabile dell'infelicità di Katharina?», i vetri delle finestre vibrarono per il rumore di una domanda sputata con ferocia, «E come speri di convincerla se con te non ci vuole neppure parlare?»
Lapalissiano.
Il duca Maximilian Eisner Von Eisenhof credeva fermamente all'integrità morale della contessa Katharina Von Andrássy ed era certo che lei non avrebbe svilito il proprio orgoglio.
«Non resisterà a lungo senza vedermi e, una volta ascoltata la mia idea, farà quel che dico. Soffrirà per la mia assenza, ma accetterà pur di stare con me alla fine» annunciò fiero Alexander.
Lapalissiano.
Il duca Alexander Eisner Von Eisenhof credeva unicamente in se stesso, e nelle proprie abilità adulatorie.
«Pensi davvero che sia così stupida?», Maximilian smise di urlare e l'incredulità, mista a indignazione, ridusse la sua voce in un sussurro.
«Domani, andrò...»
«Non farai un bel nulla domani!» Maximilian zittì il fratello, «Anche a questo dovrò pensare io, le proporrò di sposarmi affinché non sia costretta a unirsi con Moritz, le dirò che sarà solo un matrimonio d'apparenza e che tra un anno sarà libera di fare ciò che desidera, non voglio certo che si senta costretta a perdonarti», il duca lanciò un'ultima occhiata truce al fratello e, poi, puntò alla porta, certo che Alexander l'avrebbe sfinito, più di quanto già lo fosse, con il suo tentativo di dissuasione dal mandarlo via. «E vedi di comportarti bene durante la permanenza in accademia», si fermò di scatto e tornò a guardarlo, «una sola distrazione e gli anni di matrimonio diventeranno due, una doppia distrazione e saranno tre», ghignò beffardo, «sono tenace abbastanza da poter sopportare la convivenza con lei all'infinito. Sarai ugualmente capace di resistere per tanto tempo in accademia?»
«Questo è un ricatto!» Alexander sobbalzò dalla poltrona.
«Da questo momento in poi, tutto dipenderà da te e dal tuo rigore morale», Maximilian aprì la porta e varcò la soglia, «oppure credevi che ti avrei mandato a fare un altro viaggio di piacere. E ricordati che ho occhi e orecchie dappertutto: qualsiasi mossa tu faccia, mi sarà riportata. Ora, vado a letto, sono stanco e devo prepararmi per affrontare, domani, le conseguenze di quest'assurdità», sparì nella penombra del corridoio e nessun effetto sortirono i richiami di Alexander.
Maximilian si addentrò nella sua stanza da letto, si avvicinò alla finestra, guardò l'oscurità della notte calare in strada e abbracciare il giardino di villa Eisner Von Eisenhof, cullare la vegetazione e ammantarsi nella terra dei suoi avi. Il buio intorno a sé era spezzato dalle luci dei lampioni, fioche ma rassicuranti, anticipando l'alba che, volente o nolente, sarebbe sorta poche ore dopo.
Era sempre così, le tenebre si dissolvevano nei raggi di un pallido sole che, a loro volta, svanivano nel buio della sera successiva.
Era un ciclo perpetuo, per il pianeta e per chiunque l'abitasse.
Per chiunque, tranne per Maximilian Eisner Von Eisenhof che aveva visto la propria luce svanire nel riverbero di un rimorso e supponeva fosse per sempre.
L'aurora arrivò, puntuale e orgogliosa, e Maximilian la osservò dai vetri lucenti della finestra. Aveva dormito poche ore, e male; il letto assomigliava a un campo di battaglia e le candide lenzuola erano inumidite dal sudore della sua colpa.
Ci aveva rinunciato presto a riposare e, dopo essersi alzato, aveva iniziato a prepararsi; ora, aspettava trepidante il sopraggiungere di un orario decente per le visite. Aveva atteso guardando oltre la finestra della propria camera e, quando si era ormai stancato della quiete che circondava la sua casa, si era incamminato, declinando l'utilizzo di ogni mezzo di trasporto posseduto, in direzione di villa Andrássy e aveva piantonato, come un diligente soldato, il cancello dell'abitazione del conte Heinrich.
Katharina aveva dormito a intermittenza, nonostante la stanchezza dovuta al trambusto del giorno prima, e si era preparata in fretta, smaniosa di sapere come avesse passato la notte suo padre. Ben presto, aveva capito di non poter girovagare per la villa senza correre il rischio di svegliare la sorella e l'intera servitù. Si era arresa impaziente e si era avvicinata alla finestra, per osservare il nuovo giorno prendere vita. Sbuffò sul vetro e disegnò un cuore sulla chiazza di vapore, nei confini del quale intravide una figura nota osservarla con insistenza.
Sorrise e spalancò le imposte. «Maximilian, che cosa ci fai lì? Aspettami, ti raggiungo!» urlò, non badando al silenzio che circondava la casa; richiuse la finestra e, gaia, corse verso il portone d'ingresso, sebbene non conoscesse il perché di tanta felicità e, neppure, se lo domandò.
Arrivò al cancello e lo trovò sbarrato, giacché il maggiordomo non si era ancora alzato. «Sono così contenta di vederti! Attendi, vado a svegliare William affinché ti apra.»
«No, è presto ancora e, poi, preferisco parlarti da qui», Maximilian guardò le grate di ferro e s'illuse di proteggere se stesso, e il proprio cuore, nascondendosi dietro di esse.
«Perché?» Katharina domandò, scorata; appena si era ritrovata al suo cospetto, aveva avuto l'impulso di abbracciarlo. Naturalmente, voleva solo ringraziarlo per essere stato indispensabile il giorno prima; inoltre, Maximilian era un grande amico, quasi un fratello, e inoltre lei non doveva alcun riguardo ad Alexander dopo il suo vile tradimento. Finalmente, lei e Maximilian avevano riallacciato la vecchia amicizia e il dolore per le umiliazioni inferte da Alexander era stato un po' lenito, come la preoccupazione per la salute del padre.
«Devo parlarti e non ti piacerà quanto ho da dirti, ma sappi che ho agito unicamente per preservare la tua serenità» confessò Maximilian, sprofondando nella limpidezza delle iridi cristalline di Katharina, vi era precipitato appena lei l'aveva raggiunto e non riusciva a risalire più dal loro fondo, «Non credere che dietro il mio comportamento ci sia l'intenzione di assecondare i capricci di Alexander, benché inizialmente sia stato lui a chiedermelo. Avevo rifiutato categoricamente; ci ho ripensato quando ho capito che tuo padre non avrebbe aspettato oltre a importi il matrimonio con Moritz.»
«Potresti spiegarti meglio, credo di non aver inteso: cosa hai fatto?» Un guizzo d'apprensione trapassò il torace della donna e sballottolò il suo corpo che collimò contro il cancello.
«Alexander, quando ha scoperto che Heinrich non avrebbe acconsentito al vostro matrimonio, ha chiesto a me di sposarti», Maximilian abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe, credendo di poter così sfuggire all'ira che avrebbe, di lì a poco, infiammato il volto di Katharina.
«A tuo fratello è dato di volta il cervello, non c'è dubbio, ma non posso credere che tu voglia accondiscendere a questa truffa nei confronti di mio padre, e nei miei» sussurrò lei, annaspando nella mestizia.
«Ho rifiutato», uno slancio d'orgoglio fece balzare su la testa del duca, «non mi presterei mai a una recita simile per permettere a mio fratello di renderti la sua amante» inspirò forte e continuò a parlare, nonostante avesse notato il viso dell'amica sbiadire a ogni sua parola, «perché è questo che mi ha chiesto Alexander. Ho deciso di accettare quando ho scoperto che tuo padre ha intenzione di darti in sposa a Moritz entro questa settimana.»
«Troverò il modo di oppormi, ma non sarò mai l'amante di tuo fratello!» ribatté Katharina, indignata.
«Non è prevista come condizione nel patto stretto con Alexander. Io ti sposerò, in cambio Alexander passerà un anno all'accademia militare e vedrai che lì sapranno raddrizzarlo. Trascorso l'anno, chiederemo l'annullamento del matrimonio e lo otterremo poiché mai consumato», le corde vocali del duca vibrarono di scontento e la sua voce fuoruscì roca mentre le spiegava che non ci sarebbe stata nessuna unione tra loro; le guance di Katharina, invece, s'infiammarono e il suo cuore precipitò nello stomaco. «Dopo, sarai libera di tornare con Alexander oppure di scegliere un altro uomo, avremmo però scongiurato il pericolo Moritz Butler.»
«Non voglio sposare Moritz, tantomeno desidero perdonare Alexander, ma non posso neppure accettare la tua proposta», Katharina notò il viso di Maximilian scurirsi e indurirsi, temette di aver scalfito il suo orgoglio, «Non fraintendermi, non è mia intenzione offenderti: il mio rifiuto è dovuto alla volontà di non stravolgere la tua vita e il tuo futuro. C'è una fila lunghissima a Vienna di donne che aspirano a essere la duchessa Eisner Von Eisenhof e, credimi, le invidio tutte: hanno avuto la fortuna di innamorarsi di te.»
«È unicamente questa la tua obiezione? Non stravolgere la mia vita?» chiese lui e sperò fosse davvero così.
«Papà non è stupido, capirà che è un inganno» Katharina si arrampicò agli specchi, cercando un modo per dissuaderlo. Bastava che dicesse di no e sapeva che Maximilian non l'avrebbe costretta; eppure, si scoprì incapace di rifiutargli alcunché, non sospettò affatto che fosse lei a non voler pronunciare la negazione.
«Sta a noi essere bravi a non insospettirlo» ipotizzò il duca.
«In che modo?»
«Ci sta spiando dalla finestra della sua camera», Maximilian aveva intravisto il conte Andrássy acquattato dietro la tenda, «Perdonami, Katharina, ma devo farlo. So che non hai ancora deciso e hai tempo per farlo; ora, però, dobbiamo persuaderlo che io sia stato onesto.»
Le dita di Katharina erano strette intorno alle grate del cancello, vi si era aggrappata appena aveva udito l'assurdità proposta da Alexander; la sua faccia, impietrita, quasi sbucava dall'altro lato e fu facile, e naturale, per Maximilian abbassare le palpebre e avvicinare la bocca alle labbra serrate della ragazza. «Mi dispiace tantissimo, Katharina, e credimi quando dico che mai ti costringerò a consumare il matrimonio, ma ora devo convincere tuo padre delle mie intenzioni» sospirò a un soffio da lei e un istante dopo affondò sulla sua cedevole carne. Katharina teneva gli occhi spalancati e le labbra incollate; poi, avvertì la lingua di Maximilian sfiorarle e le dischiuse come una rosa che, ostinata, vuole sbocciare.
La riluttanza di Katharina si frantumò in brivido caldo, che le accarezzò le ossa e le riempì le viscere. Le mani della ragazza si staccarono dalle grate del cancello e circondarono il volto dell'amico, quelle di Maximilian affondarono nei fianchi della contessina che ansimava, ebbra, nella sua bocca mentre le lingue si rincorrevano con cupidigia.
Il conte Heinrich guardò compiaciuto la scena, sorrideva soddisfatto e scuoteva la testa per allontanare qual maligno pensiero che l'aveva attanagliato appena sveglio. Il dubbio che Maximilian stesse fingendo per coprire il fratello era baluginato nella sua mente, ma gli era bastato vederli mentre si baciavano per capire che l'ardore provato era vero, tangibile.
Era evidente che i due s'appartenevano.
Lapalissiano per tutti quelli che li stavano ora osservando e, anche, per chi li avrebbe scorti nel futuro.
Per tutti, tranne per i due finti fidanzati che, ancora, credevano di recitare.
Eppure, non sembravano per nulla intenzionati a posare il copione.
Lapalissiano.
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