Capitolo VIII - L'amore ai tempi della colazione
Gli occhi di Maximilian tradirono uno strano scintillio quando, circa un'ora dopo il suo arrivo, si erano posati sul viso smunto di Katharina ed erano stati risucchiati in quelle pozze turchesi privi dell'atavico bagliore.
Maximilian aveva atteso, impaziente, che Katharina scendesse dalla scalinata ai piedi della quale lui non si era mai allontanato, sospeso fra le opposte sollecitazioni del timore e della speranza. In verità, il suo stato d'animo tendeva alla trepidazione dovuto a un rifiuto di riceverlo, nonostante Clotilde l'avesse rassicurato che, di lì a poco, la sua padroncina sarebbe scesa, giusto il tempo di rendersi presentabile. Non era certamente colpa di Katharina se lui si era presentato a un'ora improponibile, ma Maximilian si domandò quanto ci volesse a indossare un semplice vestito. In fin dei conti, non l'aveva mica invitata a una festa al palazzo imperiale, dovevano solo fare quattro chiacchiere tra amici. Ci sarebbe stata solo un'altra volta in cui l'inquietudine di non vederla sopraggiungere gli avrebbe sconquassato corpo e anima, ma Maximilian non poteva saperlo ancora e mai l'avrebbe immaginato, o sperato.
«Scusa per l'attesa», Katharina era in cima alla scalinata e un'aurea luccicante l'avvolgeva; incrociava tra loro le dita delle proprie mani, sul davanti della lunga gonna avorio. Scese lentamente gradino dopo gradino e sorrise mestamente, volgendo le pupille sulle proprie scarpe sicché non arrischiasse di incrociare quelle dell'uomo, timorosa di ciò che potesse leggervi dentro: non avrebbe sopportato né il compatimento né il risentimento. Giunse al suo cospetto e s'inchinò appena, benché sapesse che non vi era necessità di tutta quella riverenza. Erano tra amici. Eppure, anche Maximilian allungò la mano e sfiorò quella di Katharina; sciolse l'intreccio delle sue dita unite e portò la destra alla propria bocca, carezzandola lievemente. Un formicolio insolito si propagò lungo le falangi della contessina che, subitanea, le allontanò dalle morbide labbra di Maximilian. Quelle stesse dita tormentarono la fusciacca rosa che portava in vita e che separava il morbido bustino ricamato dalla gonna. «Come stai?» l'uomo domandò e l'apprensione vibrò nelle sue parole, ogni lettera tremò e un suono stridulo giunse alle orecchie di Katharina.
«Meglio» sussurrò la nobile, «Perdona la scenata di ieri sera, non era nel mio intento metterti in imbarazzo con i tuoi ospiti e farti allontanare dalla tua festa di compleanno. Sono mortificata di averti arrecato disturbo», Katharina guardò dritta davanti a sé, evitando di alzare gli occhi e incrociare quelli del duca. Scrutare la giacca di Maximilian, sebbene non fosse quella decorata dell'alta uniforme, sembrava essere diventato il suo passatempo preferito.
«Che cosa abbiano pensato gli ospiti qualora ti avessero visto, e ti assicuro che non è accaduto, non è fonte di tormento per me. Mi preoccuperei soltanto che tu diventassi oggetto di pettegolezzo, ma possiamo tirare un sospiro di sollievo, nessuno ti ha notato. E, credimi, non sono giunto fin qui a quest'ora per lamentarmi della tua improvvisata o avvisarti dello scongiurato pericolo che qualcuno ti abbia scoperto e la notizia potesse arrivare a tuo padre» Maximilian affermò, rischiando di strozzarsi con la propria saliva per la fretta, e l'ardore, con cui aveva parlato.
«Cosa ti ha portato qui, Maximilian?», la fiammella della speranza trapassò le pupille di Katharina e le accese di fervore, «Perché ti sei voluto prendere un simile disturbo?»
«Non temere, non è stato Alexander a chiedermi di intercedere a suo favore e non è nelle mie intenzioni giustificare il suo comportamento», Maximilian finse di non capire che, in realtà, Katharina vi sperasse.
«Non so se esserne grata o rammaricarmi ancor di più» Katharina confessò e sulla guancia scarna la traccia di una lacrima tremò. La mano smise di stritolare la seta della fusciacca e si mosse verso l'alto per far sparire il segno della propria debolezza. Fu troppo tardi. Prima che giungesse alla meta, quella di Maximilian la catturò tra le proprie dita e le accarezzò lo zigomo imperlato.
«Mi dispiace», si sarebbe seccato le fauci, Maximilian, a furia di ripeterlo. Non era compassione, la sua, ma poteva avvertire il dolore di Katharina sanguinare nel proprio cuore e bruciargli sulla pelle. Lo sentiva più di quanto potesse fare lei.
Fu la sua condanna. Per l'eternità.
Katharina era diventata il cilicio che aveva scelto di indossare, sebbene finora non avesse nessun peccato da espiare.
Maximilian pronunciò quanto sarebbe dovuto uscire dalla bocca del fratello e, neppure, confessò a Katharina che Alexander, dopo che lei era andata via, aveva dato di matto, calpestato nell'orgoglio dall'irremovibile scelta della ragazza di stroncare ogni rapporto.
«Non è colpa tua se Alexander non ha avuto riguardo per me neppure in questo frangente», la contessina innalzò finalmente gli occhi e scoprì che neppure il suo amico aveva dormito molto, come testimoniavano le scure occhiaie. «Sono felice che tu sia qui. Nonostante il dolore che non vuole abbandonarmi, saperti a casa mia e dalla mia parte, sperando che sia così, mi arreca enorme compiacimento. Posso illudermi, vero, che tu mi sia ancora amico, benché sia escluso che un domani noi diventeremo parenti?»
«Siamo amici» affermò e sembrò risoluto, nonostante quella lieve increspatura nella voce che potette udire soltanto lui, «e mi schiero al tuo fianco in questa storia, qualunque decisione tu voglia prendere.»
Decisioni. Katharina si domandò cosa intendesse, ma non lo chiese a lui. Immaginò che si riferisse alla relazione con Alexander, semmai potesse ancora definirla tale. Non vi era alcuna decisione da prendere, il buio era calato sul suo amore puerile, frantumandolo in pulviscolo smarritosi nelle tenebre. La giovinezza spensierata del passato sembrava essere fuggita lontana, a una distanza incommensurabile, il presente era un'incognita inquieta e la vita del futuro non riusciva proprio a figurarsela davanti agli occhi.
«Vieni, accomodiamoci in salotto. Chiamo Clotilde e faccio servire il tè, oppure gradisci un caffè?», preferì occuparsi di intrattenere Maximilian, anziché crogiolarsi nel disincanto.
«Non voglio approfittare oltre della tua ospitalità, so di essere arrivato in un'ora inadeguata alle visite», Maximilian si guardò intorno e sbirciò in direzione della sala da pranzo. La porta di legno bianca era spalancata e lui intravide la lunga tavola ricoperta da una candida tovaglia ricamata: dal centro si ergevano vassoi d'argento e zuppiere di porcellana e dei candelabri intarsiati si stagliavano dalle due estremità del tavolo imbandito. «Ho ragione di credere che voi non abbiate ancora fatto colazione, e ti chiedo scusa, ma sentivo la necessità di sapere come stessi».
«Falla con noi! È un piacere averti qui e non solo per me», Katharina batté le mani, grata di quella visita che avrebbe fatto in modo di allontanare, quantomeno per qualche ora, ogni chiarimento con il padre, «Quando mi hanno avvisato del tuo arrivo, Christina era in camera mia ed è corsa a cambiarsi, chiedendomi di trattenerti affinché lei avesse l'opportunità di salutarti, non essendoci riuscita ieri sera. Non mi perdonerebbe se tu andassi via prima del suo arrivo e non lo scuserebbe neppure a te».
«Dio mi scansi dalla sua ira» scherzò Maximilian e strappò una risata lieve alla bocca di Katharina, la prima che rivedeva dalla sera precedente. Era un suono soave e cullò ogni cupo pensiero del duca.
Katharina smise di ridere e pensò che la riluttanza di Maximilian fosse dovuta ad altro. «Posso garantire che anche mio padre sarà ben lieto di vederti.»
«Ho ragione di supporre che il conte Heinrich non gradisca una mia visita in questo momento, sono pur sempre un Eisner Von Eisenhof» obiettò lui.
«Non scherzare su quanto accaduto, non sono ancora dell'umore adatto per sopportarlo. Tieni bene a mente, però, che tu per noi sarai sempre, innanzitutto, Maximilian e, poi, il duca Eisner Von Eisenhof», tacque Katharina appena udì il fruscio di un vestito e il rumore di passi lievi, «Ecco che arriva Christina, nessuno più di lei potrà convincerti a restare per la colazione. Era l'unica, da bambini, che poteva costringerti ad assecondare ogni nostro capriccio, nonostante il tuo rigore morale e il riguardo che mostravi affinché non corressimo rischi», sospirò rievocando i tempi lontani, smarritisi nel riverbero di una forzata maturità. Erano anni che non sarebbero più tornati, sebbene sospettasse che avrebbero nutrito a lungo il suo cuore. Erano lì che risiedevano i ricordi e da essi partiva lo smisurato affetto per Alexander.
Un'ombra cupa, però, aleggiava su di essi o, forse, era solo Katharina a non rievocare il giusto.
«Katharina, sapevo che ci fossi sempre tu dietro le esuberanti richieste di Christina e...»
«Maximilian!», il duca fu interrotto dal richiamo forte e allegro di Christina, «Quanto onore ci arreca la tua presenza. Spero che tu non ti sia offeso per la nostra fuga di ieri sera».
«Il duca Maximilian Eisner Von Eisenhof è abituato, grazie all'istruzione militare, a ben altre offese e di certo non può essersi rammaricato per così poco», una tosse cavernosa seguì le prime parole del conte Andrássy, sopraggiunto assieme alla figlia minore, «Inoltre, tesoro mio, dovresti sapere meglio di me, giacché siete amici di vecchia data, che Maximilian non è affatto suscettibile». Il conte avanzò cauto, con passi rigidi e dolorosi. Cercò in ogni modo di nascondere la fitta che trapassava le costole e perforava i polmoni. «Christina ha ragione: è davvero un onore avervi qui.»
«Conte Andrássy, chiedo perdono per essermi presentato in casa vostra senza annunciarmi in anticipo. Mi premeva sapere come stesse sia voi sia Katharina. Sono tremendamente mortificato per il comportamento di mio fratello e volevo porgere a entrambi le mie scuse», Maximilian porse la mano all'uomo e, mentre la stringeva, gli sembrò smagrita e tremante.
«Non è colpa vostra! Nessuna delle accuse che ho pronunciato ieri sera era rivolta a voi o al mio caro amico Gustav. La stima nutrita negli anni per gli Eisner Von Eisenhof è rimasta immutata da parte mia» affermò onesto il conte e pregò di poter trovare sempre un appoggio per sé, e un domani per le figlie, nell'influente famiglia del compianto amico di gioventù.
«Anche da parte nostra, conte», neppure Maximilian mentì. Non avrebbe consentito allo scellerato fratello di spezzare un legame che andava avanti prima della loro nascita.
«Perché non vi trattenete a colazione con noi? Badate che non accetto un vostro rifiuto», l'uomo lisciò i baffi impomatati e giocherellò, infine, con le punte nell'attesa di ricevere una risposta.
«Sarò lieto di essere vostro ospite», a Maximilian sembrò scortese rifiutare e al diavolo Alexander che gli aveva chiesto di rientrare presto per poter finalmente parlare. D'altronde, Maximilian era certo di cosa volesse chiedergli; già la notte precedente, dopo aver scortato Katharina a casa ed essersi subito l'ira del fratello, il duca aveva faticato per impedire ad Alexander di avanzare richieste improponibili.
«Vai a informare le cameriere di aggiungere due posti a tavola, Katharina», per la prima volta, dopo lo scontro in libreria, il conte Andrássy rivolse la parola alla figlia maggiore. Non v'era alcun suono astioso nel timbro grave della sua voce.
«Due, padre? Perché parlate di due posti?» chiese, inquieta, la ragazza e finanche Christina osservò il padre tra incredulità e sospetto.
«Sì, conferma due posti in più, tesoro», il conte si compiacque dei riguardosi ospiti che avrebbe avuto a colazione, «Ieri sera, alla festa, ho invitato un'altra persona che ha accettato con immenso piacere».
«Chi?» domandò Christina, mentre la sorella fu zittita dal disappunto. Sospettò che il padre avesse iniziato a tramare contro di lei, ancor prima di avere l'opportunità di scusarsi con lui e ammettere ogni colpa di Alexander.
«Moritz Butler!», neppure gli spessi baffi neri riuscirono a celare la bocca spalancata dalla soddisfazione del conte Heinrich, che ciondolò su se stesso appena udì il campanello suonare. «Deve esser lui, vado ad accoglierlo personalmente», si apprestò a raggiungere la porta d'ingresso, benché una pugnalata affondasse nel costato a ogni movimento sgraziato.
«Da quando tuo padre mostra una simile riverenza per Moritz Butler» Maximilian chiese, stranito dal comportamento di Andrássy, dal risentimento di Katharina e dal dispiacere di Christina. Nulla di quanto accaduto in quegli istanti era sfuggito alla sua attenzione.
«Da quando ha deciso che io debba sposarlo», la bocca di Katharina straripò, e Maximilian inesorabilmente annegò.
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