CAPITOLO 9 [parte 2]
Le Orme Bianche si agitano. Afferrate da una frenesia incontrollabile, ondeggiano e si muovono a ritmo. Vorrei potermi liberare, ma il peso che mi tiene non mi lascia libera nei movimenti.
«Di buone maniere non siete certo dotate» la voce della donna è fredda e distante. «Entrate nelle Catacombe e che fate per prima cosa?» Si avvicina. «Attaccate i miei figli, che ne sono i custodi.»
La carezza del velo nuziale che sfiora la nuda pietra precede i suoi passi leggiadri.
Digrigno i denti. «Sfiora Meroll con un dito e io...» un gemito; le Orme premono sulla schiena laddove la gabbia toracica è compressa fino all'estremo. L'aria spremuta via dai polmoni.
La donna non si ferma. «Già, davvero maleducate: senza un minimo di buona creanza.»
«Lasciaci andare!» ribatto, a denti stretti.
La seguo fin dove l'occhio mi consente, ma quando scompare oltre la mia visuale la pressione delle Orme si affievolisce. Respiro con ampie bloccate.
Ma, al primo cenno di ribellione, le Orme riprendono la morsa.
Non ho vie di fuga, realizzo.
«Le Catacombe non sono terreno di conquista per nessuno.» La sua voce mi raggiunge all'altezza delle spalle. Ma non è lei che parla: sono le Orme, dalla cui bocca spalancata fuoriesce il timbro della dama.
«Non siamo qui per conquistare nulla» le rispondo. Serro le palpebre e libero un lamento di frustrazione. «Non volevamo invadere la vostra casa.»
«A nessuno che ancora respira è concesso essere qui. Questo è un luogo di Silenzio, per chi arrende di Cantare presso Dio.»
Giro le pupille quel tanto che basta per scorgere Meroll.
Scorgo il movimento lento del suo petto. Su e giù. Respira. E respiro, ora, anche io.
La tengono distesa davanti una parete ricca di bassorilievi. Non riconosco la storia lì scolpita, ma al centro c'è la Sposa che regge una spada.
Strizzo le palpebre. La spada è vera. È incastonata nella parete e sospesa a pochi metri dal pavimento.
La dama riprende parola con un eco assordante: «Le Catacombe richiedono un tributo e quel dazio non è stato pagato né da te e né dalla tua amica.»
Non so cosa intenda, ma farei di tutto pur di salvare Meroll. «E cos'è che vuoi?»
«Luce» replica lei, senza arrendere.
La coda dell'occhio suggerisce un movimento alle mie spalle.
La dama in abito nuziale mi supera e raggiunge Meroll.
Stringo i denti fino a farli digrignare. «Non ti azzardare!»
Le mie parole lasciano il tempo che trovano. La donna afferra la spada bianca dal muro. Si abbassa e con un gesto preciso la conficca in profondità nel suo petto.
Il grido che esce dal petto mi graffia i polmoni. Chiamo Meroll a lungo, gli occhi sbarrati. Lacrime roventi come fuoco ardono sulle mie gote.
Poi, una nota di stupore. «Incredibile.»
Apro la vista, ancora appannata e imperlata dal dolore.
Meroll respira ancora. La spada assorbe luce dal suo corpo, ma è così tanta che esplode in un bagliore.
Le Orme Bianche si afflosciano una ad una. Il tonfo dei loro corpi riempie l'ambiente per un istante breve, ma sufficiente affinché io possa alzarmi e correre.
Sono su Meroll prima ancora che il bagliore si dilegui del tutto. Libero la spada dal fodero con un gesto di stizza. I muscoli tesi con l'obiettivo di non lasciarla per nessun motivo.
La dama in abito da sposa si raddrizza con calma. Non appena ha il controllo di sé, altrettanto succede alle Orme Bianche. Ma, per qualche attimo, mi sembrano marionette tenute in piedi fili che non si vedono.
«Affascinante» esordisce. Oltre il velo, colgo il movimento delle labbra all'insù. «Che Eclissi fallisca nell'assorbire la Luce. Davvero affascinante.»
Non capisco. «Stai lontana!» bercio. Agito la lama come fosse una torcia. Ogni movimento è un peso che infierisce sui muscoli.
La femmina si avvicina. «Non vedevo qualcosa del genere da molto molto tempo. Voglio sapere di più su di voi.» I piedi nudi e diafani calpestano a malapena il pavimento in roccia.
Curvo la schiena in avanti. «Ti ho detto di stare lontana!»
Devo sembrare un cucciolo zuppo d'acqua che ringhia a vuoto, perché la dama non accenna a fermarsi.
Quando è fin troppo vicina, batte le mani. «Un così sconfinato potere non si trova facilmente in un angolo tanto remoto del Cosmo.»
Mani mi afferrano alle spalle. Riconosco il tocco non appena sfiora la mia pelle: è Meroll.
La donna sorride. Ora vedo i fili. Sono sottili e luminosi. Svaniscono in un attimo appena.
Si avvicina solo quando è sicura che io sia immobile. La stretta di Meroll è come quella delle Orme: fredda e inumana.
La dama in abito nuziale è ora così vicina che scorgo i suoi occhi oltre il velo. Vuoti. «Ho visto quel potere già una volta. La Luce. La Musica. Io l'ho assaporata. L'ho stretta a me finché non mi ha bruciato le pupille. Ed ora, qui, io la rivedo in voi due. In te. Chi sei? Come ti chiami?»
Un brivido mi scuote. Aggrotto le sopracciglia e stendo le labbra in una linea invisibile. «Mithra. Io sono Mithra e lei è Meroll.»
La femmina mi afferra le guance. «E cosa ci facevi nelle Catacombe con Meroll, cara Mithra?»
«Stavamo scappando. C'è stata un'esplosione in una chiesa e si è aperto il passaggio.»
«E cosa ha provocato questa esplosione?» incalza lei.
Deglutisco. «Non lo so.»
«Qualcuno ha provato a ferire te o Meroll?»
«Me» dico con un filo di voce. «Volevano colpire me.»
La femmina mi lascia andare. «Ed è allora che è successo? L'esplosione, dico.»
«Sì» ho la gola in fiamme. Secca come una giornata afosa.
«Cosa ne è della persona che ha provato a ferirti?»
Attendo un momento prima di rispondere. Provo a sforzare la memoria, ma tutto ciò che rievoco è... «non è rimasto granché di lei.»
«Interessante» commenta la dama. Dal tono di voce, appare divertita oltremodo. «Davvero interessante, cara Mithra. E dimmi, la Luce scaturita da Meroll anche è opera tua?»
Faccio un cenno con il capo. «Lo è.»
«Davvero meraviglioso che io dovessi ritrovare questa Luce proprio ora, ma forse è un segno. Forse è Dio che ci parla dal cielo. Leggo sorpresa nei tuoi occhi. Non devi temete, giovane Mithra: io, Cipride, non intendo trattenerti oltre. Le Catacombe sono un luogo troppo buio per te.»
La dama solleva le braccia e batte di nuovo le mani. Un gesto secco, un suono sordo, un comando preciso.
Le Orme si raddrizzano come scosse da un brivido. Posso giurare che ne arrivino da ogni dove, di nuove figure che escono dal limitare dell'ombra ce ne sono così tante che perdo il conto.
Un groviglio di mani e dita marce mi afferra. «No!» grido. Lasciatemi andare, vorrei aggiungere ma non ne ho il tempo.
Le Ombre mi alzano senza alcuna difficoltà e mi spingo verso la bara da cui sono uscita.
Stringo i muscoli e do spinte con i fianchi e la schiena. «Meroll!» la mia voce è un guaito tutt'al più. Urto sul fondo di legno. Provo a rialzarmi.
Dolore, improvviso, e la tenebra mi avvolge.
Apro gli occhi con un lamento. Corrugo la fronte, le labbra schiuse in una fessura arricciata. Dove mi trovo?
L'aria fredda è uno schiaffo improvviso. Tutt'intorno mi colpisce la puzza di muffa e chiuso. C'è polvere e ragnatele ovunque. Colonne, irte a reggere un soffitto che non esiste più, si stagliano contro il cielo plumbeo.
Spingo i palmi sul pavimento sporco e freddo. Faccio forza nei gomiti per tornare dritta, ma sulle ginocchia. E così resto. Immobile.
«Meroll.» Infine, anche lei, come mio padre... Il solo pensiero mi congela. Sono sola, ora. La mia missione, i miei obiettivi, tutti coloro che hanno provato ad aiutarmi. Tutto finito. Poche Note appena ho trascorso in città e tante sono bastate.
Piego la schiena in avanti. Libero un grido. Le dita cercano le cosce e affondano pugni decisi nella carne. Colpo dopo colpo, finché non sento le cosce reagire con crampi di protesta.
È un vociare concitato quello che mi risolleva dal torpore. Dall'esterno del rudere in cui mi trovo scorgo file di persone, che si accalcano tutte verso la stessa direzione. Dove vanno? Frasi scommesse mi giungono all'orecchio: c'è un processo in corso, almeno questo riesco a mettere insieme.
Supero l'uscio in rovina della chiesa sconsacrata e sono tra la folla. Un ragazzino mi sfiora per superarmi.
Lo afferro al volo. «Che succede? Dove vanno tutti?»
Il giovane si libera con uno strattone. «Gli Intonatori sta processando un eretico in pubblica piazza!»
Un nobile? Il sangue si fa di ghiaccio. «Come si chiama questo eretico?» Tremo. Ho paura della riposta. Ho paura di conoscerla già.
«Misar o qualcosa del genere» fa lui.
Lo lascio andare e lui scappa tra la folla.
Perché Mizar dovrebbe essere processato? Faccio un passo indietro. I muscoli sono un blocco rigido e le mani uno spasmo rapido. Perché? Perché tutte le persone che conoscono devono tutte soffrire? Come mio padre... uno alla volta, tutti.
«No» mi scuoto. «Non questa volta!»
Non permetterò che si ripeta, ancora. Se posso. Se devo! Io devo, sì. Forse posso ancora salvarlo: Mizar se lo merita. C'è ancora tempo. C'è ancora modo.
In un baleno sono per strada. Avanzo con forza tra le persone.
La lunga marcia prosegue oltre il ventre del Colle. Ovunque sia che è in corso il processo, sembra che sia nel Borgo dei Mendicanti: dove il popolo può assistere.
Questo è un bene. Se il popolo assiste, allora è all'aperto, e tutti possono entrare a vederlo.
Spintono con forza chiunque m'intralci. E man mano che mi avvicino, sento le voci imperanti degli Intonatori che pregano e giudicano.
Do una spallata a una coppia e lo vedo.
In ginocchio, al centro della piazzola, Mizar ha appena preso parola.
*
Post Scriptum:
Mizar è sempre stato uno dei personaggi che più ho amato fin dall'inizio.
Sebbene la sua fosse una figura latente, avente lo scopo di motivare Aulix, corrompere l'anima del gemello Alcor con il rimorso, alimentare il fuoco dell'astio di Gregor verso le caste nobili, lentamente Mizar ha conquistato ogni maledetto rigo di questa storia.
Da una semplice lettera atta ad aprire il romanzo, fino a una scena tutta sua, e lentamente ad avere interi capitoli dove vive, si muove, respira, parla e agisce.
Non ho ancora ben chiaro in che modo farò incastrare Mizar nelle trame future, ma sono felice del fatto che sia sopravvissuto a quella sua lettera d'addio.
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