CAPITOLO 8 [parte 2]

Quando apro gli occhi, a stento riconosco dove mi trovo.

Detriti ovunque. Fiamme. Intere colonne divelte, annerite, e ridotte in brandelli. Sono libera. Le corde che mi tenevano i polsi sono carboni che si sfaldano appena muovo le braccia.

Dal soffitto, cadono tegole e calcinacci. Uno squarcio enorme fende la chiesa in parte. L'altare è aperto in due. Il dipinto della Sposa è solo un ricordo.

«Meroll!» grido. C'è polvere ovunque. Un pezzo di statua mi crolla a lato. Devo fare in fretta! «Sebastian?»

Inciampo. C'è qualcosa a terra. No, qualcuno. La polvere si dirada. Faccio un balzo per lo spavento.

È Nasatya. Ciò che ne resta, almeno. Il volto è disciolto. Parte del suo corpo non c'è più. Quel che resta è per metà carbonizzato e l'altra metà è intrappolata in un'espressione di terrore.

Sono stata io? «No!» mi rannicchio. Non di nuovo. Come alla Congrega, come ad Alcyone... perché mi succede? Tappo le orecchie e dondolo. Non è vero. Non è reale. Non sono io. Non è colpa mia.

Una mano mi afferra e mi solleva. «Andiamocene!»

È Meroll. Sembra ferita, ma non vedo sangue.

Poco più in là, Sebastian. Devo aiutarlo: è sotto alcune macerie.

«Tiriamolo fuori!» e con uno sbuffo tiro sollevo di poco un pezzo di muratura.

Meroll lo tira via.

Lo sento tossire. È sopravvissuto.

Dov'è Mizar? «Dobbiamo trovare Mizar!» grido. Perché mi fischiano le orecchie?

«Non c'è tempo» ribatte Sebastian. Indica qualcuno.

Scorgo gli sgherri di Nasatya che si alzano da terra. Non noto Rosanne. L'avranno portata via? Spero sia in salvo.

«Dobbiamo scappare» aggiunge di nuovo Sebastian.

Ha ragione. Non c'è tempo da perdere!

«Forza, andiamo» Meroll mi afferra le spalle e mi scuote.

Faccio un cenno debole con il capo. Sì, scappare. Ma dove?

Corriamo a perdifiato tra le macerie. L'uscita è sbarrata. La Sagrestia è occupata dai leccapiedi degli Ashvin. C'è solo l'altare e il presbiterio. Oltre di essi, una parete. Siamo in trappola?

«C'è un passaggio!» fa Sebastian. Agita la mano per farci segno.

Siamo verso di lui con un lancio. Il passaggio è basso, ma largo abbastanza per farci entrare. Le scale che ci attendono scendono senza meta verso il basso. Le affrontiamo senza guardarci indietro. Non è da questo passaggio che ho visto uscire le Orme Bianche?

«Ci sono dietro!» grida Meroll.

Non mi giro. Li sento che corrono. Dei cinque uomini, ne abbiamo quattro alle spalle. Abbiamo poco vantaggio. Scendo i gradini a due a due finché non li ho finiti tutti.

Le scale proseguono per alcuni metri fino a incontrare uno spiazzale più grande. Una stanza sotterranea semicircolare. E statue. Tantissime statue.

«Dove siamo finiti?» commenta Sebastian. Il suo tono di voce mi suggerisce che non apprezza molto i luoghi chiusi.

A dire il vero, io nemmeno. Mi giro e vedo gli uomini armati prossimi a finire le scalinate. «Arrivano!» grido.

Mi appiattisco contro una statua. Hanno tutte la forma di una donna in abito nuziale con il volto coperto da un velo. Le mani in preghiera. Sono tutte di dimensioni diverse e la mia è grande abbastanza da coprire due persone. Solo adesso, però, mi accorgo che sono sola.

Scorgo dall'altro lato Meroll. Le faccio segno di girare intorno senza farci vedere. Mi sporgo. Uno scagnozzo di Nasatya è a breve distanza da me. Procede dritto in un corridoio di statue. Mi giro a sinistra. Ne ho un altro che viene dalla direzione opposta. Mi spingo con la schiena e scatto verso destra, ma appena giro la statua batto contro uno di quegli energumeni. Cado a terra con un tonfo.

Lui sbuffa. Ha gli occhi iniettati di sangue. «Per gli Ashvin!» urla, poi solleva la spada.

Un'ombra ammantata di bianco lo afferra per la gola, lo solleva e lo trascina via.

Che cos'è stato? Sento gridare da tutt'altra parte. Un altro leccapiedi di Nasatya è stato preso. Poi l'ultimo ancora.

È Sebastian quello che sento urlare adesso?

Mi affaccio a fatica verso il corridoio di statue. «Meroll» bisbiglio. «Sebastian?» Dove siete?

«Stammi lontano!» di nuovo, stavolta è di Meroll. Viene dal fondo. Metallo che batte contro le pietre. Gli spasmi. I movimenti. Le grida concitate. Sta affrontando quelle creature? Devo aiutarla!

Mi lancio tra le colonne. Scorgo con la coda dell'occhio una figura che mi insegue. È sul soffitto. Svolto a lato. Il rumore di una statua rotta mi insegue. Poi, di nuovo, l'essere mi è dietro.

Termino la mia corsa verso il lato esterno della stanza, laddove la semicirconferenza segna una balconata aperta sul... vuoto?

Meroll è lì. Sta combattendo. Si dimena, urla, sbuffa. Agita la spada. Ha una di quelle cose sulla schiena. Le strappa la corazza a morsi e poi le addenta la spalla. Non è più grossa di un bambino.

Metto più forza nei polpacci e tiro dritto. Sfodero la spada e lancio un urlo.

«Spostati!» Sebastian mi è addosso. Mi spinge via.

La creatura gli sale addosso. Graffia, grugnisce, si agita.

Sebastian si gira, rotea, muove la spada a vuoto. Si azzuffano. Fanno un passo di troppo. La balaustra cede e sono entrambi verso il basso.

Mi sollevo. Dov'è Meroll? Eccola. Oh Iddio, no!

«Lasciala andare!» tiro un fendente sbilenco. Manco l'essere di molto, ma questi salta comunque e si distanzia.

Mi abbasso e afferro Meroll. Le hanno sbattuto la testa contro il pavimento. Esce sangue. Troppo sangue. Non so che fare. Come lo fermo? Devo scappare. Dobbiamo scappare!

Sollevo entrambe. Meroll pesa e si accascia su di me. Penso. Mi gira la testa. C'è un'uscita? Sì, eccola. Tra le statue, alla mia destra.

«Forza, andiamocene» dico, ma lei non mi ascolta.

La sua testa ciondola senza forze. Geme e schiude le palpebre con un tic.

La stringo più che posso. Do un colpo di spalla per sistemarla meglio sotto braccio.

Mi carezza i capelli. «Andrà tutto bene» dice. Smettila di rassicurarmi. Risparmia le forze!

«Ti porterò fuori da qui» e per una volta sarò io a soccorrerti.

Un fremito ci sorprende. La terra si scuote. Poi si calma.

Una voce giunge dalle profondità. Una voce di donna?

Dalla balaustra, dal soffitto, dalle statue, dai cunicoli nascosti, da ogni anfratto buio; le Orme Bianche sciamano di nuovo a ondate e in numeri che non riesco a contare.

Mi tiro su con un salto. Inspiro e stringo l'aria nel costato. I muscoli sono stretti in uno spasmo. A passo veloce e malfermo trascino me e Meroll verso l'uscita dirimpetto. Non lo so dove conduce. Spero solo che mi porti via.

Giro la testa. Le vedo. Drappi bianchi che danzano sotto corpi neri e senza pupille. Si muovono come marionette, ma non si fermano nemmeno quando sono in troppi per un solo passaggio. Quanto meno, non ci correranno dietro per un bel po'.

La nostra corsa termina tra due pareti di un crepaccio ampio e profondo. Dobbiamo essere tra i Colli su cui si regge la città, ma non vedo nessuno dei ponti, per cui non potrei dire di preciso dov'è che ci troviamo.

Il passaggio prosegue fiancheggiando a una scarpata di roccia e serpeggia tra curve rigide e spazi stretti.

Procediamo a passo svelto finché non si allarga e, tra le due parti del crepaccio, non c'è un ponte di roccia come collegamento. Ad entrambi i lati, due barbacani pesantemente fortificati sorvegliano l'ingresso a luoghi ignoti. Solo uno dei due, però, è ancora integro.

«Dove ci troviamo?» è la prima vola che vedo qualcosa di così imponente, ad eccezione delle Porte della Città. Sollevo gli occhi e scorgo due simboli incisi in uno scudo di pietra: ♃ sul barbacane integro e chiuso, posto sulla sinistra, e ♀ su quello a destra, crollato. Dov'è che ho già visto questi simboli?

«Dove siamo?» chiede Meroll con un filo di voce.

Le carezzo il viso. «Non ti sforzare, siamo quasi fuori.» So di mentire e mentire a Meroll mi lascia un saporaccio in bocca, ma non lei è ferita e io sono terrorizzata. Nessuna delle due cose deve farmi perdere d'animo.

Qualcosa alle mie spalle. Mi getto a terra e trascino Meroll con me. Rotolo per mezzo metro. Afferro la terra con le unghie e mi giro a denti stretti.

L'ombra ammantata di bianco balza. Atterra verso Meroll.

La voce esce dai polmoni di sua volontà. «Mamma!»

Mi alzo di colpo. Corro.

La creatura si abbassa su Meroll.

Le sferro un calcio e la spingo verso il baratro. Poggio le mani sulle ginocchia e respiro a fatica. «Non vi azzardate a toccarla» biascico.

Meroll mi prende per il polso. «Mi dispiace» mugugna.

E di cosa? «Mettiamoci al riparo» e mi tappo le orecchie. Fingo di non aver sentito.

Alzo gli occhi. Da un lato, c'è il ponte che collega il burrone, ma l'ingresso fortificato è chiuso e sembra dover rimanere tale molto a lungo. L'altro, invece, è coperto da un crollo. Sepolto sotto metri e metri di rocce, pietre e detriti. Sotto una delle torri ancora integre, però, scorgo qualcosa. Una porta.

Una via d'uscita! Afferro subito Meroll e la tiro su. La metto sottobraccio con un colpo di schiena. A passo cadenzato sono verso la struttura fortificata. Entro senza attendere.

L'interno è composto da una sola stanza circolare. Al centro, c'è un pavimento in ferro. Grosse catene scorrono in venature scavate nei mattoni. Mai visto niente del genere.

Faccio un passo. Forse uno di troppo. Qualcosa scatta. Ingranaggi vecchi, fermi da chissà quanto, ora si muovono con uno sbuffo lamentoso. Il pavimento trema. La stanza intera adagio scivola verso il basso. O siamo noi che stiamo salendo?

«Forse, finalmente, siamo fuori» commento. Sciolgo le spalle, alzo il mento e tiro un sospiro. Povero Sebastian. Quanti metri nel vuoto avrà fatto prima di spegnersi? Nel buio, lontano dal Dio Sole. Rabbrividisco.

Meroll accenna un sorriso. «Siamo a casa?»

Non capisco. «Sì, siamo vicine» le mento. Abbasso gli occhi e giro il viso dall'altro lato.

Il suo è una maschera di sangue. «Non devi avere paura, piccola mia. Da ora mi prenderò cura di te» mi dice.

Oh, Meroll! «Lo so. Come sempre» mi curvo in avanti in un gesto che termina sul suo petto. Tra le gote sporche e sudate, una lacrima. «Mi dispiace averti trascinata fin qui.»

«Non devi» la sua voce è distante. Mi afferra il viso con entrambe le mani, poi lo solleva e lo gira a sé. «Io vado dove tu vai.»

Mordo il labbro inferiore. Le sopracciglia sollevate, laddove il mio sguardo non maschera più i sensi di colpa.

Il suo, invece, è da tutt'altra parte. Chiunque stia guardando, non sono certa che sia davvero io. Ma non m'importa.

«Perché? Perché mi hai seguita fin qui?» Che domanda stupida!

Le braccia di Meroll scivolano lente attorno a miei fianchi. E poi, di colpo, li stringe.

«È per starti vicina.» Mi bacia la fronte.Ora le lacrime non hanno freno. Esplodo senza controllo. Le cingo i fianchi e la porto a me. «Mi dispiace. Altro non ho fatto che deludere te e papà.»

«Ah, Johannes» commenta lei, con una voce che mi rimbomba nella testa. «Maryna non dovrà mai sapere il nostro piccolo segreto.»

Che? «Cosa? Meroll, di che parli?»

La testa di Meroll ondeggia. «La bambina. Nessuno deve sapere. Lei è tua figlia, ora.»

Non capisco.

Meroll si accascia. «Se lui sapesse ce la porterebbero via.»

Poi, un'immagine mi solletica la mente. Quella del Sogno che ho avuto di recente. Di Meroll. Di mio padre. Di mia madre. Un albero enorme. Una bambina presa da...

«È di me che parli, vero? Vero?»

Meroll scuote il capo. «La nostra Mithra.»

Il marchingegno si ferma d'improvviso. Il sussulto annuncia la fine della corsa e Meroll, con un singhiozzo, chiude gli occhi.

«Svegliati! Non te ne andare» grido. La scuoto. Le sferro uno schiaffo, ma nulla.

Con uno sforzo la sollevo. Sottobraccio, ancora, la trascino fuori. Devo trovare un posto dove farla riposare. Curarle quella ferita.

Appena metto piede all'esterno, l'aria fresca e pulita mi colpisce il viso. Finalmente all'aperto! In alto, il ponte che collega due Colli. Da un lato, case di legno e baraccopoli, dall'altro mura alte e torri. Uno è del Mendicante, ma l'altro è il Colle della Sposa!

«Siamo fuori. Siamo salve» non riesco a trattenere le lacrime. Ho la voce che mi graffia la gola, ma non posso smettere ora. Siamo fuori. Siamo salve. Andrà tutto bene.

Avanzo a fatica in quello che è un pezzo di terreno coperto di erba, che curva verso il baratro tra i Colli. Intorno, ci sono rovine di quel che doveva essere stata una chiesa antica. Forse, un santuario di qualche genere. Vecchio. Malandato. Coperto di muschio. Da molto nessuno lo visita e sembra perfetto per nascondersi.

«Ci fermiamo qui» con calma faccio scivolare Meroll.

Strappo un lembo della mantella e lo annodo attorno alla sua testa. Mi assicuro che sia comoda, per quanto comodo può mai essere un giaciglio di terra ed erbetta. C'è sangue ovunque. Stringo il nodo più che posso, ma le dita tremano. Respiro a grandi boccate, ma nessuna di queste mi è di aiuto. Aggrotto la fronte, le sopracciglia curvate in rughe evidenti. Spalanco la bocca e sollevo le palpebre. Un Miracolo di Cura! Uno di quelli elementari, come ci hanno insegnato alla Congrega. Basterà? D'altronde, io non sono certo un sacerdote...

Non posso perder tempo, mi ripeto. Mi curvo in avanti, stretta nelle spalle, mi spremo nei muscoli e nei fianchi. La preghiera da dire: è importante che io la ricordi intera. E anche il quel caso spero che funzioni. Deve!

Apro gli occhi di colpo solo quando sono sicura di me. Stringo le mani l'una nell'altra. Ho bisogno di raccogliere la luce, perciò le unisco a formare una coppa. A quel punto, non devo far altro che appellarmi a Dio.

Tu che sei Luce

Tu che sei Musica

Tu che solo puoi guarire

A te mi rivolgo e ti chiedo

scaccia ogni male, ogni ferita

ogni malattia e ogni torto

che sulla tua serva Meroll

adesso operano!

La sento. Come un tepore lenitivo, è luce che mi scorre nelle vene. Mi attraversa. Chiudo gli occhi, perché il fremito delle mani è lì che sta per tradirmi, ma io devo spingere sulla ferita di Meroll. Ripeto la preghiera, con più forza e decisione. Mi piego su di lei e riverso le mani come se rovesciassi il contenuto della coppa sulla ferita. E, subito dopo, premo con i palmi senza tentennare.

Oltre le palpebre, eccolo: è un cerchio dorato che si espande. Così brillante che mi abbaglia comunque! Il sangue mi scorre tra le dita.

La luce scivola adagio nella pelle e nelle membra. Mi abbandona per entrare in Meroll, attraverso la ferita. Poi il bagliore si fa più debole.

Allora apro gli occhi con un fremito. Intorno, strali di luce si dileguano in uno sbuffo evanescente. Sollevo le mani, ora strette sul petto ad artigliare la pettorina di cuoio. Mordo il labbro inferiore quasi che fosse colpa sua. Stendo i muscoli del volto fino a tirare indietro le orecchie.

Meroll tossisce. Schiude le palpebre adagio. «La mia Mithra» e sorride a stento.

E io già sono tra le sue braccia.


*

Post Scriptum:

Sto finendo le cose da dire lol

Posso dire che adoro il rapporto tra Meroll e Mithra?
Inizialmente non era così intenso, né così stretto. Meroll, Rosanne e Claudiette erano tutte e tre destinate a morire in punti diversi della traversata nelle Catacombe, salvo poi cambiare e far sì che Meroll sopravvivesse salvo poi diventare qualcosa di simile a un Lupo Mannaro.

Sì. Avevo un po' di idee vaghe e sceme per la testa. Ma niente paura, le ho scartate quasi subito! In compenso, in questa scena avrebbe dovuto esserci anche Sebastian e un terzo figuro deciso a fermarli con un balestra a ripetizione.

Uh? Qualcuno ha detto Bloodborne?

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