CAPITOLO 6 [parte 3]

All'esterno della locanda, la neve ci sorprende con raffiche di vento sporadiche ma insistenti. Il Pianto Lunare giurerei che mi insegue ovunque io vada. Ma non lo biasimo: si dice che la Luna pianga in eterno la scomparsa della sorella Gaia. Lo capisco. D'altronde, anche per me non passa Nota senza che i miei pensieri volino a mio padre.

Mentre affondo gli stivali nel nevischio, osservo le spalle di Claudiette che si è offerta di precedermi. Ho la mano che stringe la spada sotto la cappa. Cosa dovrei farne di lei? Posso permettermi che vada tutto a rotoli, proprio ora?

«Vorrei parlarti un momento».

Non faccio in tempo nemmeno a formulare la frase, che Rosanne mi anticipa: «Ho bisogno di dirvi una cosa. Ecco, lì. In quel vicolo, meglio se non ci vede nessuno.»

La seguiamo in silenzio. Il posto che ha scelto è buio, freddo, a stento le persone di passaggio ci rivolgono un'occhiata all'interno. Il perché è presto detto: scorgo corpi congelati riversi a terra. Barboni, mendicanti, o malati lasciati al proprio destino. Li guardo e penso che poteva succedere a me.

«Ti ho vista gironzolare intorno ai leccapiedi degli Ashvin. Che ci facevi con loro?» esordisce Rosanne. Socchiude le palpebre e curva in basso le sopracciglia.

Claudiette ha un sussulto. «Io? Niente, stavo solo...» Sgrana gli occhi e la bocca più che può.

Faccio un passo in avanti. «Anche io ti ho vista parlare con uno di loro. Ti hanno dato un sacchetto. Che c'era dentro?»

«Lasciate che vi spieghi» balbetta lei.

Rosanne le è addosso. Infila le mani sotto la sua mantella e tira fuori un gruzzolo di monete avvolte in un sacco di cuoio cinto da una cordicella.

«Sbaglio, o questo è il denaro che Mithra ha dato agli Ashvin?» Rosanne me lo porge subito dopo aver posto la domanda.

Lo afferro al volo. Non ci credo. Lo apro. Conto le monete una a una. Sì, non ho dubbi. Questo è il mio denaro. Perché lo ha lei?

«Perché gli Ashvin ti hanno dato il mio denaro indietro?» con un gesto di stizza, le lancio le monete addosso.

Claudiette indietreggia. Ha le mani alzate. Le sopracciglia si curvano all'insù fino a smuovere poche rughe sul suo volto giovane e liscio. «Sono stati loro a darmelo!» e si morde le labbra subito dopo averlo detto.

Sfilo la spada dal fodero. «Quando ho parlato agli Ashvin di Mizar, ho usato il nome Alcor. Eppure, Kumaras è al corrente del fatto che ho mentito. Suppongo siano al corrente anche di altro. D'altronde, quello della spia è un servizio pericoloso e va ben ripagato.»

Sebastian mi afferra una spalla e mi tira a sé. «Non sei un po' precipitosa nell'accusarla?»

Lo spingo via con un'occhiataccia. «Tu stanne fuori.» Stringo le labbra, la fronte aggrottata e le vene rosse nella sclera devono aver appiccato fuoco al mio sguardo, poiché Claudiette fa un passo indietro non appena mi giro verso di lei.

«No ti sbaglio, io... » balbetta.

Mi sforzo in avanti. Ho la spada in alto. Un passo e posso passarla da parte a parte. Ma devo? Non so. È pur sempre una Sorella. Posso lasciarla andare e farle promettere di abbandonare la città? Sì. Forse è meglio. Non voglio...

Un sibilo mi sorprende nel mezzo dei miei pensieri. Non mi sfiora nemmeno di un centimetro, ma si piazza con estrema precisione tra gli occhi di Claudiette.

Mi giro come se avessi il collo di un gufo. «Rosanne!» so di urlare e non m'importa. L'afferro per le cinghie della pettorina in pelle. «Che ti è saltato in mente?»

«Stava per lanciarti un coltello! L'ho vista muovere la mano verso la sacca dove tiene nascosti quelli da lancio. Non potevo permettere che...»

Stringo le dita e la scuoto. «Era una Sorella. Una di noi!»

«E dovevo lasciare che ti piantasse un pugnale in faccia?»

Sì. Cioè, no! «Come fai a esserne sicura? Magari stava soltanto difendendosi.»

Rosanne si scosta da me con un gesto brusco. «Sempre stato questo il tuo problema: capire quando è il momento di agire e quando no. Lo hai detto sempre anche tu, no? Perdere questa occasione è un lusso che non possiamo permetterci.»

«Adesso basta, calmatevi.» Meroll fa un passo avanti. Afferra me e Rosanne e ci spinge via con forza. «Claudiette può anche averci tradito, ma la decisione finale spettava a Mithra. Lei è il comandante, non tu.» La sua voce è un ruggito. Rosanne abbassa gli occhi. «E per quanto riguarda te» continua, questa volta fissandomi dritto negli occhi, «devi accettare che non tutto si può risolvere a parole. Se Claudiette davvero ci aveva tradite, non potevamo lasciarla andare a prescindere. Devi imparare a prendere delle decisioni subito, quando la situazione lo richiede. Ora aiutatemi, non lasciamola qui.»

Sono sul punto di scoppiare in lacrime, ma mi trattengo. Mi chino e afferro Claudiette per un braccio, Meroll per l'altro, e Rosanne il busto. Le togliamo il dardo dalla faccia. Schizzi di sangue mi arrivano sul viso. Mi asciugo col dorso della manica.

«Suggerisco di portarla da un prete» aggiunge Sebastian. «Quanto meno, lasceremo che riceva il Rito del Riposo.»

Ottima idea. «Concordo» replico senza riflettere. «C'è una parrocchia qui vicino?»

Lui annuisce. «Non è molto distante, seguitemi.»

Attraversiamo il freddo della città a passo lento, cadenzato dalla fatica, dalla miseria, e dal macigno che mi sta crescendo in petto. Che sia colpa mia? No, Rosanne ha avviato il discorso. Però, forse potevo comportarmi in maniera diversa. Magari. Scuoto il capo. So solo che Claudiette non c'è più. E mi sento uno schifo.

La chiesa ha una pianta a cinque punte, classico di ogni edificio religioso che io abbia mai visto.

La Madre Superiora ci aveva spiegato ogni cosa sull'argomento. Posso giurare di vederla, in quel momento, davanti a noi. Con l'indice puntato contro di me: non ho rotto il Sacro Patto delle Sorelle di Spada una volta, ma ben due. E lei, ovunque ora sia nella Grande Orchestra del Cosmo, ne è a conoscenza. Non siederò mai al tavolo assieme ai fondatori dell'ordine.

Non appena siamo all'interno, disegno il simbolo del Sole con la mano destra sul cuore, cerchio con una croce inscritta, e solo allora l'immagine della Madre Superiora scompare.

Sospiro. Di norma, non bisogna sostenere troppo lo sguardo verso l'altare, né cercare quanti sono i presenti alla liturgia. Ma, in questo caso, devo. Volteggio con lo sguardo a destra e manca, ma, ad eccezione del volto della Sposa nascosto in un velo dipinto a olio, non scorgo altri invitati al matrimonio del Dio Sole.

«C'è nessuno?» grido. Il timbro della mia voce che echeggia tra le colonne ha un che di aspro, di maligno, e di depravazione. Non sono più sicura che sia la città a rendermi così. Forse lo sono sempre stata, sporca e infame.

Di colpo, vedo spuntare dalle ombre della sacrestia due sagome. Un vecchio e anziano parroco e un giovane dall'aria afflitta.

«Mizar!» grido di nuovo.

Lui mi guarda. Gli sorrido. Non so perché. Mi avvicina con fare svelto, ha le labbra schiuse e le sopracciglia sollevate. «Cosa è successo?»

«Ho bisogno di aiuto» è tutto ciò che riesco a pronunciare, prima che la voce mi si strozzi in gola.

*

Post Scriptum:

Mizard, Alcor e Gregor dovevano essere in origine fratelli. Con solo Mizar e Alcor legati dallo stesso parentame, oltre che dal fatto di essere gemelli come le stelle da cui prendon nome.

Gregor doveva essere, in origine, fratellastro d'entrambi, e Mizar si era prodigato di accudirli in casa per tenerlo lontano dalle ire del padre, oltre che per assicurarsi che stesse bene.

A seguito del suo suicidio, Mizar decide di mandare Gregor presso la Grande Caddetrale, come accade a Padre Cristoforo nei Promessi Sposi, per salvarlo dalle ire del padre e impedire che gli capiti niente.

Da qui, Gregor, nutrendo un enorme risentimento per i nobili in generale, avrebbe speso una parte della storia, e programmavo di renderlo sempre più importante e centrale per la trama.

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