CAPITOLO 3 [parte 2]
«Oh, una Sorella. Non ne incontravo una da molte Danze Solari. E cosa ci fa una Sorella al soldo degli Ashvin?»
Non mi piace il modo con cui lo dice. Come se io fossi una schiava! «Ho un incontro molto importante con una persona e li ho pagati profumatamente perché tutto fili liscio.»
Mizar si inginocchia. Afferra un lembo di stoffa pulita, lo imbeve d'acqua, e pulisce il pus e il sangue dalle ferite di un appestato. «Li hai pagati e, alla fine, ti hanno comunque chiesto un favore in cambio. Immagina essere in debito con loro. O, che dico, già lo sei.»
Porto le mani sui fianchi. «Ora capisco perché ti vogliono fuori dalle palle. È perché sei antipatico, vero?»
Mizar scoppia in una risata fragorosa. «Me lo dicono spesso, che sono antipatico intendo.» Strizza il lembo di stoffa con tutta a forza che può e riprende dov'era rimasto.
«Non mi sembra comunque un motivo per scomodare dei sicari. Cos'è, non paghi il tuo di debito?»
«Non ne ho mai avuti, specialmente con loro.» Mizar si ferma di colpo. Gira il capo e il busto quel tanto che basta per fissarmi. I nostri occhi s'incrociano. Ha le palpebre abbassate, le sopracciglia aggrottate e le labbra distese. «I Principi Mendicanti desiderano il potere e il controllo. Non ne hanno su di me e questo li spaventa. Se non possono controllarmi, né sottomettermi, non gli resta che...»
«Metterti a tacere.» Gli rispondo di botto. Conosco fin troppo bene quel genere di atteggiamento. Come ho fatto a non vederlo in Kumaras? Sono stata una sciocca, ma ormai è tardi. E poi, quando tutto sarà finito, dubito che avranno modo di chiedermi niente in cambio. «Ma non capisco, perché chiederlo ad altri e non farlo loro?»
Mizar si solleva. Pulisce gli abiti con colpi decisi a palmo aperto. «Io mi occupo di accudire i malati e i poveri. Persone da cui gli Ashvin traggono maggior potere. Ma, attaccarmi di persona o usando i loro uomini, significherebbe attirarsi le ire Sua Altezza, mio cugino. E non penso di doverti dire di che pasta lui sia fatto.»
A quel punto, se pure fossi riuscita a intimidirlo o metterlo a tacere, avrei avuto delle rogne ben più grosse. Anche se l'idea di far incazzare varie teste nella successione al trono reale non mi dispiacerebbe affatto!
«Questo è un bel problema.» Mi gratto la testa. Come ne esco, ora? Che faccio? Io ho bisogno del loro aiuto, ma è evidente che malmenarlo non sortirà effetto.
È di nuovo Mizar a sorprendermi. Si alza e mi viene contro.
Ora che lo guardo meglio, posso scorgere i segni della malattia sul suo corpo. Per un momento, intravedo uno strano disegno nel modo con cui le chiazze scure e le scaglie ricoprono quasi sempre gli stessi punti. Il collo, i fianchi, gran parte del petto e l'interno coscia. I posti dove il peccato della carne si consuma più spesso.
Non so cosa fare. Resto immobile, di ghiaccio.
«Suppongo che, se proprio devi, ti basterebbe anche solo una prova del misfatto. No?»
Sbatto le palpebre. «Che hai detto?»
Mi accenna un sorriso beffardo. «Non puoi certo andartene via a mani vuote.»
No, no di certo.
«Allora, semplicemente, potrai dire di avermi intimidito. Starò buono per qualche tempo, così almeno non avrai grattacapi» dice, mentre si piazza ben dritto davanti a me.
Che gli salta in mente? «Non vedo cosa ne ottieni dall'aiutarmi.»
«Nulla» taglia a corto lui. «Come ti ho detto, mi piace fare del bene. Amo aiutare le persone. Aiuterò anche te, se non altro perché siamo entrambi Figli di Tzaarat.»
Sgrano gli occhi. «Come fai a saperlo?» sto per chiedere, ma mi blocco. Che stupida. Certo che lo sa. Ovvio, no? Chi altro entrerebbe in uno zaranetto, se chi non teme la malattia? Quale diavolo di malattia! È una maledizione, non un raffreddore! Scuoto la testa. Tiro indietro il braccio destro e mi spingo in avanti con tutto il corpo. Per quanta forza io possegga, è tutta concentrata nelle nocche e nella spalla. Nella mia mente, l'impatto è duro come colpire un mobile. Ma così com'è duro, è anche fragile. Il colpo semplicemente non arriva mai a destinazione. Come prima, è il fegato quello che mi manca.
Mizar non si smuove. Eppure, qualsiasi cosa l'abbia tenuto in piedi fino ad ora, viene meno. Tossisce. Il sangue che sputa è nero. Sangue maledetto. Mi chiedo se sia così scuro anche il mio. Forse no. Io ho la pelle di quel colore e quelli come me, si dice, hanno il sangue bianco per contrasto.
Mi muovo per aiutarlo a rialzarsi, ma lui fa da solo. «Una Sorella di Spada, in tutto e per tutto.» Sorride.
Ricambio, anche se non so perché. «Me lo dicono in molti.»
«Puoi aiutarmi? Temo di non riuscire ad alzarmi. Sì, grazie. Qui va bene.»
Lo guardo a lungo. Non sono certa se sia debole per colpa mia o per via della Maledizione. Quanto tempo passerà prima che si porti via anche le mie forze?
«Immaginavo che non lo avresti fatto, ma per fortuna ho una soluzione. Tieni» riprende lui, porgendomi la mano. Apre il pugno. Un dente sta appoggiato in una macchia rossa. «Molti qui ne perdono, come effetto della Maledizione. Non sapranno mai di chi è. Come potrebbero. Ma basterà come prova per dimostrare che sei riuscita a intimorirmi.»
Lo afferro e lo infilo in una saccoccia allacciata alla mia cintura. «Grazie.» L'ho detto o l'ho solo pensato?
Mizar mi guarda per un lungo momento senza dire nulla.
Non so che fare. Perché mi fissa così? Mi giro e gli do le spalle. «Non mi hai detto come ti chiami» mi chiede, prima che io possa sparire.
Non mi volto. «M...» posso davvero usare il mio vero nome? No, forse è meglio di no. Quello di mia madre. Andrà bene. «Maryna.»
«La persona che devi incontrare deve essere fortunata, se ti dai così tanta pena per raggiungerla. Ti auguro ogni fortuna, Maryna.»
La sua voce m'insegue mentre inforco il colonnato in cerca di un'uscita e rende il mio ritorno alla locanda più greve e pesante. Forse hanno ragione gli uomini di mio padre a non avere fiducia nelle mie doti di comandante? O forse sono più disgustata da me stessa per aver quasi infranto il Codice delle Sorelle? Che cosa mi succede, da quando sono arrivata in questa maledetta città, solo il Dio Sole può saperlo.
Entro nella bettola come se avessi tutti i sensi annebbiati. C'è Meroll che mi chiede delle cose. La sua voce viene da chissà quanto lontano. Ma non posso certo ignorarla, così le dico poco e niente. Mi trattengo sui dettagli. Ho dato un pugno a quel tale, gli ho rotto un paio di denti e se ne starà zitto e buono per un po'. Ho quello che voglio, no? O lo vogliono loro?
Abbasso il capo. A stento scorgo i miei piedi sul viottolo innevato. Vedo ma non guardo. Guardo ma non scorgo. Ho la mente altrove. Perché Maryna? A malapena me la ricordo, mia madre. Tutto ciò che vedo quando penso a lei è un letto, molte persone intorno, e la Maledizione che le mangia la pelle. La sua mano alzata. Mi indica.
Ah, forse è questo il motivo: Tzaarat è tutto ciò che mi resta di lei. Lo dicevano tutti, d'altronde: è colpa mia se...
Meroll mi scuote dai miei pensieri. «C'è qualcosa di strano.»
Troppo distratta per capire. Alzo gli occhi, ma è come se mi fossi appena alzata dal letto. Mi ci vuole molto per scrostarmi il prosciutto dalle iridi e notare delle figure in piedi, pronte a sbarrarci la strada.
«La padrona desidera ricevervi» sbotta uno degli sgherri.
Lo dice con un tono poco rassicurante. «Non vado da nessuna parte.» Non ho certo intenzione di incontrare nessuno, specie adesso, ma non posso certo sottrarmi.
Una donna emerge dal muro di bifolchi. Ha due lunghe trecce rosse. Le arrivano fin quasi alle caviglie. Non ho idea di chi sia.
«Meglio così» esordisce. Ha le palpebre tese, quasi serrate. Le labbra, quando non parla, sono serrate a tal punto da rigonfiare il mento. «Certo che voi del Nord siete davvero maleducati: entrate in casa mia senza permesso e che cosa fate? Vi rivolgete prima a mio fratello, senza curarvi di me.»
Non ho mai avuto granché abilità con gli indovinelli, ma questa penso di poterla indovinare con una: «Suppongo voi siate l'altro Principe. O devo dire Principessa?»
Qualcosa nel mio tono di voce deve averla fatta stizzire di più. «Anche io davo per scontato che il Comandante delle Bande Nere fosse qualcuno capace. Sei anche tu delusa quanto lo sono io?»
Faccio un passo in avanti. Ho le vene che bussano per uscire dalla mia fronte.
Meroll mi afferra al volo e mi blocca.
«Con chi ho il piacere di parlare?» sibilo.
«Nasatya Ashvin. Quella che ti ha chiesto in cambio un piccolo favore e che tu, a quanto pare, hai fallito.»
Fallito? «Non so di che parli.» Apro la mano. Le mostro i denti di Mizar. Non li degna di uno sguardo. «Volevate che gli dessi una lezione e io così ho fatto!»
Le mie parole non devono aver sortito l'effetto giusto, dal momento che Nasatya si avvicina e, a ogni passo, pare voler scuotere la capitale intera.
«Ti avevo chiesto di condurlo da me» bercia. «Non di dargli due o tre sberle, benché meno di farlo sparire!»
Mi sfugge qualcosa? «Sono sicura che mi sia stato chiesto ben altro e che avevo carta bianca.»
Nasatya mi colpisce la mano e lancia i denti in volo. Una scarica elettrica mi attraversa il polso. «Pensi di prendermi per il culo o cosa?»
Davvero, non capisco. «No, io...»
Punta l'indice e lo picchetta contro il mio pettorale. «I miei ordini erano chiari e molto precisi: dovevi condurlo da me. Ora quello stronzo chissà dove andrà a nascondersi e mi costerà di nuovo tempo e fatica stanarlo!»
Mi guardo intorno. Scorgo il volto di quel tale, Sebastian, tra la folla. «Io ho fatto esattamente quel che mi ha chiesto lui» e lo indico.
Nasatya stringe le palpebre fin quasi a farsi esplodere gli occhi. «Stai accusando uno dei miei uomini più fidati? Pesa bene le tue parole, perché solo di uno dei due voglio fare a meno, e tu di certo non sei nelle mie grazie.»
Viscido infame. Lo fulmino con lo sguardo, salvo poi girarmi verso Nasatya. «Anche se fosse, non avrei potuto far niente. C'era il Sua Altezza, Sheikh lì con lui.» Perché l'ho detto?
«Pensi che me ne fotta qualcosa? Tra l'altro, non mi è parso un problema, visto che lo hai pestato comunque.»
Ah, dannazione. «Non intendevo quello.» Ne devo uscire alla svelta. Ma come? Cosa? «Sono cugini.»
Nasatya si blocca.
Vedi tu se devo essere grata a quell'infame... «Il Principe di Gennaio stava parlando con quel tale e lo ha chiamato cugino.»
La Mendicante fa un passo indietro. Cerca tra la folla qualcuno, finché tra di essi non emerge un sottoposto. Gli dice qualcosa. Bisbigliano e parlottano. Di cosa staranno confabulando?
«Che la Luna ti si porti. Cugino, dici?» Nasatya batte le mani. Chiama i suoi uomini a raccolta e li indirizza verso la parte più interna della locanda. Prima di proseguire a sua volta, si gira verso di me e fa: «Vieni con me. Dovrai raccontarmi ogni cosa.»
Deglutisco. Penso di aver esaurito le mie scorte di fortuna da qui fino a sempre.
*
Post Scriptum:
La storia doveva ruotare attorno a cinque/sei persone:
Mizar, la cui morte era cardine della parte iniziale della storia.
Aulix, il servitore a cui Mizar lascia una cospicua somma di denaro.
Gregor, il secondo servitore che Mizar destina presso un seminario.
Undine, il parroco che celebra il Rito del Riposo a Mizar.
Alcor, fratello gemello di Mizar.
Sebastian, il buon vecchio scavezzacollo combinaguai.
Mithra, che ormai conoscete tutti.
La trama originaria doveva essere un intreccio delle vicissitudini di questi personaggi, legati a filo uno da un unico elemento, cioè Mizar, e destinati a incontrarsi/scontarsi.
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