CAPITOLO 12 [parte 1]

La prima cosa che noto, appena riesco a spalancare le palpebre, è quando è bello il cielo. Così azzurro. Senza fine. Non c'è una sola nuvola che adombri l'orizzonte e l'aria fresca, tiepida, mi carezza il viso con una carezza. E, con essa, un brivido risale dal basso ventre fin alle punte dei capelli. Nemmeno so dire da dove venga questa mia certezza, ma so che il mio corpo sta parlando per me: tutto ciò mi è familiare.

So che c'è un viottolo di terra battuta e pietre lisce che risale lungo la collina prima ancora di posarvi lo sguardo. Ed ora che lo faccio, ora che l'osservo bene, è uguale a quello che ho visto nei miei Sogni. Uguale, solo più lungo.

Anche l'albero è lì, ma è ricoperto di foglie e le sue fronde rigogliose danzano sospite dal vento leggero. Dai rami più bassi discendono delle funi che stanno strette intorno a una tavola di legno, in quella che vorrebbe essere un'altalena. Potrei giurare di sapere quando è stata usata l'ultima vota. E da chi, anche.

Avanzo sul sentiero fiancheggiando palizzate poste a difesa dei campi in fiore, una difesa ben misera per chiunque sia più alto di un bambino, ma insormontabili per il bestiame che pascola beatamente sul fianco soleggiato della collinetta. L'odore di campagna mi pizzica le narici e, sebbene all'inizio irritante, ben presto realizzo di non aver mai sentito la mancanza di qualcosa come quella che so di aver avuto per questo posto. Ma non è strano che io me ne accorga soltanto adesso?

A metà della salita mi blocco.

Lentamente, come emergente dal prato erboso, ecco prima il tetto in paglia e, poco dopo, ecco tutta la casupola per intero. Ed è lì che i miei muscoli fanno cenno ad arrestarsi. Corrugo la fronte finché le rughe non si fanno largo sulla mia pelle. Fatico a capire come un luogo che dove non sono mai stata possa essermi tanto familiare, finché non realizzo: anche questa l'ho vista già nei miei Sogni.

Sì, io la conosco. Questa è casa, ma non è casa mia però.

Mordo il labbro superiore finché gli incisivi non scavano nell'indecisione che mi corrode. Cosa dovrei fare, ora? Che ci faccio qui?

Di pari passo alla mia inquietudine anche il vento sembra essersi ingrossato e, man manco che procede, si fa anche più freddo. Ombre ora, nel cielo, sotto forma di nuvole plumbee. C'è qualcosa di strano, lo so. Sento lo stomaco in subbuglio, come se uno stormo di farfalle avesse iniziato a battere le ali in sincronia. E perché, ancora, so per certo che tutto questo sia ormai scomparso da tempo? Per un attimo fugace, ma intenso, mi solletica l'idea che forse io sto guardando il passato, ma qualsiasi passato questo sia, sono sicura che non mi appartiene. E allora perché lo conosco come se fosse mio?

Dopo un momento durante anche troppo, decido di fare un passo avanti solo quando sono certa che niente cambierà se resto ferma. Ma già quando ho fatto il secondo passo, ecco che il cielo diventa più scuro, le nuvole si ammassano, e l'albero dietro casa perde foglie. Il viottolo è pastoso. Affondo i piedi nel fango e questo mi rende più arduo avanzare, così che ogni nuovo passo diventi per me una vera conquista.

Ho i muscoli delle gambe che tirano e gridano pietà, ma sono ora davanti l'uscio. Posso giurare di aver visto qualcuno, prima, sgattaiolare verso l'ingresso non appena ho fatto accenno oltre la linea dell'orizzonte, ma non sono riuscita a guardare bene chi fosse.

Il vento è ora alle mie spalle e mi spinge in avanti, quasi come se volesse costringermi a bussare. Io, mio malgrado, non ho motivo per rifiutarmi: voglio sapere perché sono qui e voglio saperlo adesso.

Do un primo colpo secco. Il legno della porta vibra, sembra quasi sul punto di cedere di schianto, ma dopo qualche sbuffo dovuto alle vibrazioni ritorna esattamente com'era prima.

Nessuna risposta.

Sferro un secondo colpo, con il dorso della mano chiusa a pugno.

Ancora, nessuna risposta.

Al mio terzo tentativo, dall'altra parte, qualcuno mi risponde. Bussa una volta, poi tace.

Faccio un passo indietro, le sopracciglia arcuate fin dove mi è possibile. Ho una smorfia di sorpresa sul volto e le labbra schiuse nel tentativo di liberare un commento, ma la voce mi resta in gola abbastanza a lungo da ammutolirsi.

Un altro colpo arriva dall'altra parte, ma più forte e deciso.

«Sono a casa!» sento gridare. È la voce di una donna.

Mi guardo intorno. Il cielo è scuro quasi come se fossero i Patti Solari, ma vedo ancora le nuvole pesanti e cupe ammassate sopra la mia testa. Quei pochi raggi del divin Sole che mi raggiungono sono fiacchi e deboli, e il vento, adesso, porta con sé sprazzi di neve.

«Chi sei?» chiedo.

Sento di nuovo bussare. «Sono io! Ti prego, fammi entrare...»

Abbasso lo sguardo verso la porta. Afferro la maniglia e provo a tirare, ma la porta trema senza che serratura ceda nemmeno per un istante.

«Non ci riesco!» sbotto.

Non so perché, ma vorrei davvero farla entrare... o uscire?

«Sta arrivando» arranca lei, singhiozzando. «Lui sa che sono fuggita e sta venendo a prendermi.»

«Lui chi? Chi sta venendo a prenderti?»

Un tonfo debole scuote il legno. «Ti prego, voglio solo rivederla. Voglio soltanto abbracciarla un'ultima volta. Poi farò di nuovo tutto quello che vorrai, ma ti prego: solo un'ultima volta.»

Qualcosa mi suggerisce che non è a me che si sta rivolgendo, ma è a me che la domanda è rivolta, in un modo o nell'altro, è sempre a me che è chiesto di risponderle.

«Mi dispiace. Vorrei aiutarti ma...»

Il silenzio è la prima risposta che ricevo, ma poi, subito dopo: «Se dovessi rivederla, ti prego: dille che non è colpa sua. Dille che mi manca. Lo farai per me?»

Mando già un boccone di saliva. «Certo. Ma io non...»

Qualsiasi cosa ci fosse oltre che quella porta, percepisco che è svanita. E la porta, come per incanto, o mossa da chissà quale volontà, si apre.

Scricchiolante, l'uscio si allarga.

Mi curvo in avanti, gli occhi bene aperti. C'è una distesa senza fine di terra grigia, brulla, priva di vegetazione, e quasi sabbiosa. Non un filo d'aria viene verso di me e tutto sembra immobile.

Sollevo lo sguardo sopra il cielo scuro come la pece, lì dove scorgo quelle che sembrano piccole fiammelle disseminate qui e lì alla rinfusa.

Solo dopo mi accorgo di quella strana sfera azzurra, per metà immersa nelle tenebre, coperta da cose che sembrano nuvole e con sagome verdi e marroni. Riconosco i confini del regno di Làctea nonostante siano differenti solo perché mi ricordano una mappa mostratami da mio padre. Cosa sto guardando?

Poi, di colpo, sento qualcosa. Sento singhiozzare. Qualcuno, nel buio di quelle terre strane e ignote, sta piangendo. Dalla voce sembra... una bambina?

Eccola. La vedo. Sta seduta a terra, con lunghe trecce argentee e un vestito bianco.

«Stai bene?» le chiedo. Perché l'ho fatto?

La bambina si gira e il suo sguardo, per un istante, brilla. Corruga la fronte, mi guarda in cagnesco, e mi urla: «Vai via!»

La porta, chiusasi di schianto, mi spinge indietro con una leggera onda d'urto. Chi era? Non era la stessa voce che stava bussando.

Sono sul punto di provare a riaprire la porta che questa, invece, si spalanca da sé. Ma prima che io possa spiare oltre l'uscio, una figura ammantata di bianco si fa avanti e mi costringe a mettermi a lato. Anche lei è una donna, ma in abito da Sposa.

Questa volta non c'è bisogno che io chieda: so chi è. Chiunque la riconoscerebbe. È la Prima Sposa.

Mi accordo di avere la bocca spalancata solo quando la saliva si è seccata. Ma, in quel frangente, la donna è già scesa più in basso, nei campi in fiore, dove ora è ferma. Fa cenno di avvicinarsi.

Sto per fare un passo avanti quando un'altra sagoma mi supera. Anche questa è vestita di bianco. Un'altra Sposa, la Seconda. E dopo di lei un'altra, un'altra e un'altra ancora. Sono ventitré e marciano in fila indiana verso la Prima, lì dove si sistemano formando un anello. Anello che ora mi sta fissando e mi fa cenno di avvicinarmi.

Sono giù per il fianco della collina prim'ancora che riesca a raccogliere i miei pensieri. So che quello è il mio posto, come sono certa che il cielo sia azzurro.

Passo dopo passo, prendo il mio posto tra le mie simili, coloro che mi hanno preceduto, ma al momento di soffermarmi nel cerchio io vedo che questo si allarga. Sicché, al mio fianco, si apre uno spiraglio per quelle che verranno dopo di me.

Ed è allora che dal terreno emergono catene di luce. Si stringono attorno ai miei polsi e, in un baleno, il cerchio è scomparso, io sono sola, e ai miei piedi c'è un simbolo che non riconosco.

So di non averlo mai visto prima, come so che mi fa rabbrividire anche solo guardarlo. Le catene provengono dal cerchio e si stringono sempre di più.

No! Non voglio!

Con tutta la forza che ho stringo i muscoli e tiro via. Il grido che mi sfugge dai polmoni testimonia la ferocia con cui prendo a dibattermi. I fili che mi legano, le catene che m'imprigionano, si spezzano una ad una non appena io inizio a strappare l'abito nuziale che ho indosso.

E, ad ogni catena, un ricordo mi torna alla mente.

Il primo è l'Arena Massima, rasa completamente al suolo da un raggio di luce sceso dal cielo.

Il secondo è legato alla chiesa dove Nasatya e Rosanne mi hanno catturata; il tetto divelto da un fulmine partito dal mio corpo.

Poi c'è Alcyone. Anch'essa rasa completamente al suolo, dopo che un gruppo di uomini ha provato a sgozzarmi per far torto a mio padre.

E, per ultimo, la grande quercia dove mio padre mi ha trovata, dopo che mia madre, impiccata ai rami col resto del villaggio, mi ha dato alla luce.

Mio padre sapeva.

Meroll sapeva.

Lo sapevano e me lo hanno nascosto.

Mi hanno mentito. Mi hanno tenuta lontano dai pericoli perché sapevano cosa sarebbe successo a chi osava fare del male alla futura moglie del Dio Sole. Tutta la vita, chiusa in una gabbia!

Urlo, ma stavolta è per la frustrazione che mi corrode il viso con il pianto.

L'energia elettrica che si raccoglie attorno a me mi solleva i capelli e, quando infine esplodo di scatto contro il simbolo impresso a terra, uno schianto roboante squarcia il cielo e un tuono frantuma le ultime catene, il simbolo, la collina, e tutto il resto.


Post Scriptum:

Non riesco ancora a credere di essere finalmente arrivato a questa scena!
Non so da quanto tempo l'avevo in mente e non so da quanto che volevo scriverla e finalmente ci sono arrivato. 

La prossima parte è l'ultima e, con essa, finisce anche la Sposa del Sole.
Una volta e per sempre.

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