CAPITOLO 1 [parte 1]
«Finalmente, non ne potevo più!»
Appena sono sola, sciolgo le spalle nel vano tentativo di trovare una qualsivoglia forma di pace. Il torpore mi attanaglia laddove la pelle formicola e le membra si fanno stanche. Riesco a rimuovere la cappa e la faccio scivolare lungo le spalle fino al pavimento.
Inspiro a fondo. Vorrei calmarmi, ma anche stavolta non ho granché successo. Per quanto ci provi, questa sensazione sgradevole mi si è appiccicata addosso. E per quanto io mi dica che finirà presto, Iddio voglia magari anche subito, ogni momento e ogni Rintocco che passo in questo schifo di città si prolunga più del necessario.
«Oh, sia lodato Dio!» esclamo non appena il mio sguardo si poggia sulla vasca, che comoda siede in attesa sul fondo della stanza. L'oste deve averla già riempita. Il che non mi sorprende, d'altronde sapevano del mio arrivo già da molto. Nell'immaginarmi immersa nell'acqua calda, solo allora i miei nervi iniziano lentamente a sciogliersi.
E di colpo, è come diceva mio padre: «Niente è meglio di un bel bagno!»
Sì, certo. Come se avessimo avuto questo lusso da sempre. Ah, immagino che uno può dimenticarsi una vita di stenti col tipo giusto di ricchezze. Non che mi dispiacesse, quel tipo di felicità. Se solo fosse durata abbastanza... Ad ogni modo, non c'è dubbio sul fatto che aveva ragione. Un bel bagno è tutto quello di cui ho bisogno, adesso, per sgomberare la mente.
«E bagno sia!» annuncio, avanzando quasi che il mio passo si sia fatto di colpo più leggiadro.
Lì, vicino alla vasca, scorgo una finestra che dà sulla capitale. C'è una patina d'aria gelida sul vetro. Raccolgo la manica attorno al polso e lo uso a mo' di panno, ma il mio tentativo non migliora di molto la situazione. Tuttavia, tanto mi basta per scorgere il profilo della città stagliarsi verso la delle luce del Dio Sole, che adagio va sollevandosi oltre l'orizzonte. Le case arroccate le une sulle altre. Più le guardo e più qualcosa dentro di me ribolle. Un sentimento di nostalgia, dal sapore dolciastro della malinconia; mi manca la campagna, l'aria aperta, pulita, il vento sul volto e i miei pedi sull'erba fresca.
Non c'è nulla di tutto ciò, qui. Solo odore di marciume e piscio e sporco e miseria. Nemmeno riesco a immaginare come si possa anche solo pensare di vivere a Ras Alhague. Un'assurdità. Perché nessuno fugge via? Io lo farei. Lo farei anche ora, se non fosse per la mia missione.
«Appena ne ho occasione, andrò il più lontano possibile», mi ripeto a voce alta.
Mi giro. Sciolgo i lacci della pettorina di cuoio. L'adagio sulla cassapanca. Libero le cinghie che tengono fermo il fodero della mia spada, sicché io possa adagiarla contro la parete con estrema cura. Piego la schiena quel tanto che basta per allentare le cinghie degli stivali e sfilarli. Li appoggio sul letto. Poi calo i calzoni e li getto via con un calcio deciso. Ho una mira formidabile: fanno un volo e finiscono su di una sedia. Non ho mai sbagliato un colpo da quando ho imparato a farlo! Sorrido. Sollevo la vestaglia oltre le spalle. Con precisione rimuovo le fasciature attorno al seno, alle cosce, e a gran parte del busto. Il contatto con l'aria fredda gratta con forza sulle ferite. Con un gesto rapido, ripongo il tutto a portata di mano.
Adagio mi accosto alla tinozza. Sfioro il pelo dell'acqua e la scopro calda come piace a me. Né troppo, né troppo poco. I sali da bagno disciolti risalgono in tiepidi sbuffi da oltre i bordi in legno. Anche solo immaginare cosa mi aspetta invia un segnale a tutto il mio corpo e i muscoli si ammorbidiscono di conseguenza. Affondo un piede e poi l'altro. Un brivido mi sale lungo tutta la schiena, ma è uno di quei brividi di piacere profondi quanto brevi. Non esito a lasciarmi rapire. Mi siedo nella tinozza. Anzi, no. Affondo della tinozza. Ah, acqua calda: quanto mi sei mancata! Quand'è stata l'ultima volta? Già, prima di partire. Molto, molto prima. Ci sono volute tre Odi per arrivare alla capitale. Note di freddo, intemperie, scaramucce con le guarnigioni militari e imprevisti.
«Mi sento sporca solo a pensarci» sbuffo. Alzo le gambe e appoggio i polpacci sul bordo della tinozza. Scivolo con il sedere sul fondo finché ho l'acqua alle spalle e la nuca. Chiudo gli occhi. Tentoni cerco la spugna ruvida. Il sapone mi scivola tra le dita, ma al terzo tentativo è mio. Mi sollevo quel tanto che basta per iniziare a scavare via il lerciume che la città mi ha attaccato addosso. Sono qui da poco, ma è già quel poco di troppo.
«Ah, che darei per rimanere così a vita!» sospiro, il calore che impregna i pori della mia pelle.
Le mie membra sono disciolte. La tensione è quasi del tutto svanita, anche se so che tornerà una volta che sarò fuori dall'acqua. Affondo con la schiena. Infilo la testa sotto. Vorrei poter volare via.
Non appena riemergo, intenta a pulirmi, sento qualcuno entrare nella stanza trascinandosi una sedia. Riapro gli occhi solo dopo, quando il calore mi pervade del tutto. Raccolgo l'aria con le narici ingrossate. Il caldo mi scorre nelle vene.
Colgo una delle mie Sorelle intenta ad alzare la cappa da terra, salvo adagiarla su uno sgabello prima di avvicinarsi.
«Disturbo?» chiede Meroll, mentre siede davanti a me.
Riprendo a insaponarmi. «Tu non disturbi mai.»
Meroll avvicina le mani e le incrocia sulle cosce. «L'oste desidera sapere se l'acqua è di tuo gradimento. Immagino dovrò dirgli di sì» ha le sopracciglia rilassate. Le labbra impreziosite dalle rughe, curvate in un sorriso appena accennato.
Sollevo l'acqua con le mani raccolte. «Sono talmente felice che potrei arruolarlo.» Rovescio i palmi sopra i capelli. Le palpebre serrate e il mento all'insù. Tepore che scorre sul cuoio capelluto è una carezza inattesa ma piacevole. C'è qualcosa di più bello?
«Sono felice di vederti rilassata» risponde Meroll.
Chiudo gli occhi. «Non lo sarò del tutto finché non andremo via da Ras Alhague.»
Meroll replica con un tono dolce. «Posso immaginare perché» e si muove per avvicinarsi.
Quello che intende è fin troppo chiaro, perciò devo fermarla prima che continui. «È successo molto tempo fa!» Affondo di nuovo nell'acqua calda. Nessuna delle due deve aggiungere altro alla conversazione: è un ricordo doloroso, che mi percuote e mi tormenta ancora oggi. Resto però sotto solo per un po', sicché, appena raccolgo tutta la forza che posso, riemergo con tono deciso e mi correggo: «Vero, siamo stati qui in passato. Ma non è che la cosa migliori solo per questo. D'altronde, non mi abituerò mai a vedere gente che vive come i ratti.»
E do per scontato che Meroll sappia fin troppo bene quanto io adori la campagna e gli spazi aperti. Non a caso, entrambe abbiamo trascorso molto tempo negli accampamenti militari, perciò non dubito che mi darà ragione.
Fortunatamente, è così. «Suppongo di non poterti dare torto» risponde Meroll, tastando l'acqua con le dita. «Ad ogni modo, penso che sia ora di uscire: il bagno si sta raffreddando!»
Le lancio un'occhiataccia. «Devo proprio?»
«Devi. I Principi Mendicanti hanno fatto molto per incontrarti e temo non sia gentile farli aspettare oltre» risponde, il capo e le spalle abbassate, intanto che si solleva dalla sedia. Le sue trecce cascano dalle spalle e penzolano, quand'ecco che porge una mano in mia direzione.
Accetto l'invito e mi lascio tirar su.
Meroll mi lancia un'occhiata veloce. «Meglio se ti copri. Certo non vogliamo che vedano...» Sfiora con i polpastrelli il profilo dei miei fianchi olivastri, fino a raggiungere il collo, lì dove le ferite della maledizione mi deturpano sin dal giorno che sono divenuta Figlia di Tzaarat. «Sono certa che tu capisca quanto sia importante non far sapere della tua condizione agli altri.»
Mi sposto con un gesto brusco. «Lo so!»
Metto piede fuori dalla vasca e mi muovo verso le bende pulite, quelle che Meroll deve aver portato su con sé. Immagino dovrei ringraziarla, ma per un breve momento è solo il fastidio che la fa da padrone e, d'altro canto, non è forse questo uno dei suoi compiti?
Avvolgo le bende attorno al collo, nell'interno delle cosce e sul petto. Indosso l'intimo con una moderata celerità. Le mie vergogne sono ora nascoste e quelle poche ancora che deturpano la mia pelle lo saranno a breve.
«Non c'è bisogno che me lo ripeti ogni volta», aggiungo con tono seccato. Mi pulisco in fretta, ora che il ristoro dell'acqua calda va svanendo.
Mi giro giustappunto per vedere Meroll scuotere il capo.
«Lo sai cosa intendevo», e la sua voce ha quella tonalità di scusa un po' risicata e scialba.
Mi vesto facendo bene attenzione ad evitare qualsivoglia contatto visivo. Certo, non era mia intenzione essere così dura. Solo che la sua voce! Odio quel suo tono, quasi io dovessi ricevere una ramanzina. Per la Luna maledetta, non sono mica una bambina!
La fisso solo quando so cosa dire. «Non ti devi preoccupare di questo, ora. Ci penso io per entrambe, ogni Nota che passa», e provo con tutta me stessa a imitare una voce sicura. Come faceva mio padre agli insubordinati.
Afferro quel che resta del mio vestiario e finisco d'indossare il tutto. C'è un silenzio stupido tra noi. E diventa insopportabile molto presto, tanto che sento di dover avvicinare mia Sorella. L'afferro per le spalle e mi specchio nei suoi occhi.
«Ti voglio concentrata» aggiungo con un sorriso tanto largo quanto finto. E prego con tutta me stessa che non veda oltre la sottile maschera di bronzo. Ma, non appena mi guarda, noto una certa luce nella curva del suo sorriso. Quasi mi acceca. «Apprezzo che ti preoccupi per me, lo sai. Ma non è su questo che mi puoi aiutare, ora. Ho bisogno di te per la missione. C'è una posta in gioco troppo alta per pensare a qualsiasi altra cosa. Perciò, ti prego, possiamo parlare della Maledizione in un secondo momento?»
«Si, certo. Scusami» mi risponde con voce rotta. Conosco bene il suo dolore. Ha già perso una figlia, in passato. E sono sicura che, più di ogni altra cosa, non desidera perdere nemmeno me. Però, ho bisogno che le sia sicura, forte, come una colonna portante, quella che regge la mia fragile determinazione. Lei è tutto ciò che io non sarò mai e non posso permetterle di crollare. Di crollarmi addosso. Non ora.
Quando mi accorgo che i suoi occhi sono di colpo lucidi, la scuoto. «Avremo successo. Farò di tutto perché sia così!»
E, ancora, le mie parole sono veleno, ma un veleno che sa di bugie. Perché se devo mentire, perfino a chi amo di più, è bene che io lo faccia con convinzione. Farà più male a me che a lei, comunque. Perché io non ho margine di errore, né di fallimento. Devo riuscirci. Quel che mi capiterà dopo non m'importa. D'altronde, se siamo fortunate, una Nota lontana e futura ripenseremo a tutto questo e rideremo.
Meroll si lascia sfuggire un sospiro. «So che ci riuscirai» e mi carezza le spalle. Ora so che, al momento giusto, lei farà esattamente quello che serve. Perché io sono tutto per lei, come lei è tutto per me. Come una madre...
Se ne ho mai davvero avuta una.
Le sfioro una guancia. «Starò bene!» E ci credo con tutta me stessa, così che io suoni convincente. L'esitazione è sconfitta, diceva mio padre.
«Allora meglio che io vada». Meroll sfiora la mia fronte con la sua. I suoi orecchini tintinnano. Tutto ciò che resta della sua dote nuziale, a testimonianza, con le sue trecce, di un matrimonio avvenuto chissà quante Danze Solari fa.
Ci stringiamo in un abbraccio. «Arrivo subito».
Meroll mi lascia con un sorriso flebile e appena accennato, prima di ricongiungersi alle altre Sorelle. Ci aspettano di sotto e, come loro, anche i Principi Mendicanti aspettano di ricevermi. Afferro l'armatura di cuoio e stringo i lacci attorni ai fianchi, finché il petto è ben schiacciato e le forme appiattite. Respiro per testare le cinghie. Sento le membra compresse, ma ci sono abituata.
La cappa è ultima cosa che stringo attorno alle mie spalle.
Solo quando mi sento pronta afferro la mia spada infoderata. «Tu sei la tua arma e la tua arma è te» ripeto, con tono preciso e scandendo le parole. «Mai vedrai l'altare davanti a te, né darai figli a nessuno e, come le Sorelle prima di te, a Dio sei ora votata. Una Spada di sacra luce pervasa.»
E disegno il simbolo del Dio Sole sul petto con la punta delle dita, in trionfante conclusione: «Iddio, abbi pietà di me!»
*
Devo ammettere che la taverna è molto più viva di quel che credessi. Anche se i Patti Solari sono ormai quasi al termine e le tenebre ancora calano sul mondo, con le strade che diventano pericolose di conseguenza in assenza del nostro Dio Sole, qui tutti sembrano preferire altrimenti. Che abbiano dimenticato quando è terribile e maligna la Luna e quel suo pallido volto? A volte mi domando perché Iddio misericordioso le permetta tanto spazio, fosse anche quando la Grande Orchestra del Cosmo è visibile. D'altronde, in quest'ultima Ode altro non ha fatto che piangere e coprire tutto di neve. Ma forse non dovrei lamentarmi. Io non sono tanto meglio. Voglio dire, a me questa città fa schifo pure quando tutto è illuminato, e anche soltanto l'odore dei malati per strada mi fa lacrimare.
Ma, almeno, questa taverna ha un bel fuocherello. Ed è proprio vicino al caminetto che le vedo.
«Eccola lì!» riconoscerei quella voce tra mille. Rosanne, come al solito, se la ride.
«Il problema non è mai stato il se, ma il quando!» ribatte una ragazza al suo fianco. Entrambe ridono a squarciagola, tanto che Meroll deve intervenire.
«Smettetela! Non dobbiamo attirare l'attenzione.»
Le raggiungo fiancheggiando il tavolo. «Che avete combinato durante l'attesa?»
Claudiette poggia la testa su entrambe le mani. «Meroll ci ha detto del piano così tante volte che penso di avere un mal di testa» e sbuffa.
«Ottimo» aggiungo. «Non devo ripetervi quanto sia importante che tutto vada bene, specialmente questa volta.»
«Non di nuovo, certo certo.» Il modo con cui Claudiette fa segno di accenno mi fa intuire che non si è lasciata alle spalle quanto capitato ad Alcyone. Ma come potrebbe? Era la sua città natia. Di cui ora resta niente.
«Non succederà più, ecco perché siamo qui.»
«E come faremo, questa volta, a fermarlo?» chiede Rosanne. Posso vedere il dubbio disegnato nelle sue iridi. «Voglio dire, non è che tu ci abbia dato tanti dettagli al riguardo.»
Cerco di evitarla guardando Meroll. «Meno persone lo sanno, meglio è.»
«Cosa? E che vorrebbe dire? Siamo Serelle e, prim'ancora, amiche. Cos'è, ora di colpo hai problemi di fiducia?»
Mi raddrizzo con la schiena e le lancio un'occhiataccia. «Siamo legate da un sacro giuramento, dalla Regola della Spada. E meritate di sapere sì, ma non qui. Non ora. Vi chiedo solo di avere fiducia in me.» Batto entrambe le mani sul tavolo, rivolgendomi a Claudiette. «Passiamo a cosa più importanti, che mi dici del tuo amico e di quel suo pegno di gratitudine?»
Claudiette balza in piedi. «Ci è cascato con tutti gli stivali! Voleva pure un secondo giro, ma sai: la minestra riscaldata non piace a nessuno.» Ride, mentre mi mostra il sacchetto pieno di monete. «Dici che è poco?»
«Basterà» commento, brusca.
Meroll mi sfiora la spalla destra. Avvicina le labbra all'orecchio. «Penso sia meglio che loro due facciano da guardia mentre siamo dai Mendicanti.»
Sto pensando la stessa cosa. Sono entrambe abili e addestrate come i migliori soldati. Le mie Sorelle possono tranquillamente affrontare chiunque, se necessario. Possono mordere e molto a fondo anche. Portarle con me all'incontro sarebbe l'ideale, ma l'unica di cui mi fido ciecamente è Meroll. Solo a lei ho rivelato il piano, perché non so quanto Claudiette e Rosanne siano davvero coinvolte nella strada che ho scelto di percorrere.
Non posso permettermi errori. «Aprite bene gli occhi e state attente. Ci muoveremo spacciandoci per malati e mendicanti. Una volta arrivate, vi voglio di guardia e pronte ad agire. Intesi?»
«Signorsì signora!» rispondono entrambe in coro.
Meroll mi lancia un accenno di approvazione. Faccio altrettanto e mi preparo a uscire.
*
Post Scriptum:
Per prima cosa, ti ringrazio per aver dato alla mia storia una possibilità.
Spero che ti sia piaciuta e mi auguro abbastanza per rivederti in altri capitoli!
Originariamente, questa storia aveva 24 capitoli, ma dopo un lungo lavoro di revisione e correzione, la mole di scritto è scesa a 12.
Ho deciso perciò di spezzettare i capitoli in parti e diminuire anche la mole di testo da leggere; sperando che ciò renda anche più semplice leggere il tutto!
Se questo capitolo ti è piaciuto, sentiti liber* di scegliere di lasciarmi un commento o una stella.
E grazie ancora!
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