XXXVI. UNA BRUTTA SORPRESA
Mio fratello corse a chiamare il medico. Non era felice di lasciarmi sola con Joseph, ma non poteva fare altro. Il dolore mi percorreva con i suoi artigli affilati. Mi sentivo scossa.
Joseph mi fece sdraiare e scivolò giù dal letto. Nei suoi occhi brillava la preoccupazione. -Non avrei dovuto farti agitare-
-Non è colpa tua- lo rincuorai.
Mio fratello tornò poco dopo con il medico. Era pallido, il volto stropicciato per la rabbia.
-Spostati- ringhiò rivolto a Joseph, la rabbia che esplodeva nel suo sguardo.
Joseph si spostò di lato e mi lasciò nelle mani del medico, un amico di mio padre. Un uomo magro e dal viso coperto di rughe che invitò i due ragazzi -i miei due ragazzi, vorrei poter dire- a uscire dalla stanza.
-Non avete nessun problema- mi disse con un sorriso rassicurante, dopo avermi visitata.
-Allora perché mi sento così male?- chiesi, confusa. Non capivo, non riuscivo proprio a capire.
-Probabilmente è un po' di stanchezza, è successo qualcosa di stancante in questo periodo?-
Ripensai al duello, alla paura che avevo avuto per Joseph e al contrasto con la mia famiglia. -Sì- ammisi.
-Allora si spiega tutto-
-E qual è la cura?-
-Riposo, molto riposo- sorrise -questa è sicuramente la cosa migliore- s'interruppe un attimo prima di aggiungere -una ragazza così giovane non dovrebbe avrere preoccupazione-
Sorrisi a mia volta. -Fosse così semplice-
-La vita sorride alla gioventù-
Posso dire ora, dopo che è passato qualche anno, che non è vero che la vita sorride sempre alla gioventù. A volte è proprio contro la gioventù che si accanisce di più, crudelmente.
Joseph fu allontanato da casa nostra il giorno seguente. Fu mia madre a dirgli che ormai stava abbastanza bene da potersene andare e che non sarebbe stato indicato farsi rivedere in giro dalle nostre parti. Mio padre, che in fondo era affezionato a Joseph, preferì non farsi vedere.
-Non sparirò- mi promise, con un dolce sorriso.
-Ci conto- gli risposi, il cuore sulle labbra.
-Sono tuo, Penny, sono tuo... e tu sei mia- mi sussurrò lui, stringendomi le mani nelle sue.
-Non dimenticarlo- mormorai.
-Non potrei mai- mi rassicurò.
Il mio malessere ottenne un risultato insperato. Mio padre rimandò il mio matrimonio con Kevin fino andata da decidere, che tradotto nella lingua di mio padre poteva anche voler dire mai. Presto comunque il mio matrimonio con Kevin sarebbe stato l'ultimo dei problemi.
Una mattina ventosa successe qualcosa che riuscì, almeno in parte, a distrarmi dai miei pensieri. Stavo occupandomi della potatura di alcune piantine del giardino. Me ne stavo in ginocchio, l'abito scuro leggermente sollevato, un paio di forbici in mano per tagliare i rametti del ciclamino. Non potevo immaginare, persa com'ero nel mio dolore, che c'era qualcuno nella mia stessa casa che da giorni stava peggio di me. Una persona che era tormentata dall'ansia e dalla paura. Quando sentii dei passi mi voltai. Mia sorella Beth camminava verso di me, anche se non ero certa che mi vedesse veramente. Aveva i capelli spettinati e indossava un vestito blu che le stava stretto. Molto stretto, mi ritrovai a pensare, guardandola con curiosità. Mi passai una mano sulla fronte e sollevai leggermente il grande cappello a tesa larga che difendeva la mia pelle dal sole, mantenendola bianchissima.
-Beth- la chiamai -tutto bene?-
Lei spostò lo sguardo e lo puntò su di me. Si fermò e io fui percorsa da un brividio. I suoi occhi sembravano quasi vitrei. Non ero certa che mi vedesse.
-Oh Pania- sussurrò, traballando. Restò un attimo immobile, come sospesa nel vuoto, quindi cadde. La scena si svolse quasi lentamente, come se fosse irreale. Mille pensieri passarono nell'istante in cui lasciai cadere le forbici e mi alzai per correre da lei. Una parte di me temette addirittura che fosse morta. Ho sognato quell'istante per anni. Il terrore che mia sorella potesse davvero morire e il senso di colpa, perché in fondo una parte di me era quasi contenta di vedere la perfetta Beth che scivolava a terra. Quando mi chinai su di lei notai con sollievo che stava respirando. Giaceva con un braccio piegato all'esterno e l'altro sul grembo, come una fanciulla dormiente. Fu proprio la mano che aveva appoggiata aperta sul ventre che mi fece venire un dubbio. Non sembrava un po' troppo grassa?
-Beth- la chiamai, scacciando ogni tipo di pensiero -ti prego Beth, rispondi-
Lei aprì appena gli occhi, come se le palpebre fossero molto pesanti. Il suo viso, di solito roseo, era di un pallore mortale. Mi chiesi, terrorizzata, se non avesse contratto quella consunzione di cui in molti parlavano. -Non dirlo a nessuno- sussurrò -non dirlo a nessuno-
Fui una sciocca a non capire a cosa si riferisse. Non so se una parte di me lo comprese, ma semplicemente non volli ammetterlo. Non avrei comunque potuto tacere una cosa così importante come uno svenimento, tanto più che era avvenuto in pieno giorno, sotto gli occhi dei domestici. Beth fu portata subito a letto e fu chiamato il medico. Poche ore dopo sentii mia madre urlare e mia sorella piangere. Quando Chris tornò dal porto, dove era stato con nostro padre, lo presi in disparte e gli raccontai tutto. Il suo sguardo mi fece capire che lui sapeva cosa stava succedendo.
-Tu aspettami qua- mi disse, quindi corse via.
Fu solo a cena che mia madre mi disse che Beth era incinta. Non osai chiedere a lei il nome del padre. Non mi sembrava una cosa prudente da fare, ma ero certa che con mio fratello sarebbe stato diverso. Volevo avere la certezza che fosse Lars. Non lo vidi fino al giorno seguente.
-Chris- lo chiamai, correndogli incontro, mentre lui si dirigeva verso il paese.
-Pania- disse lui, fermandosi. Il suo sorriso era inalterato.
-Beth... chi è il padre?- chiesi piano, temendo che qualcuno potesse sentirci.
-Lei non lo dice, io ho qualche dubbio- si strinse nelle spalle.
-La sposerà, vero?-
Chris rise, la risata divertita dell'uomo di mondo davanti alla ragazza ingenua. -No, probabilmente non la sposerà e lei lo sa, lo ha sempre saputo- scosse la testa e i capelli gli ricaddero sul viso, dandogli un'aria molto giovane -per questo voglio che tu sia prudente- fece un passo avanti e appoggiò le mani sulle mie spalle -sei la mia sorellina, Pania, non fare l'errore di Beth, non rovinarti in questo modo, sarebbe solamente molto sciocco- mi posò un bacio sulla fronte, quindi si voltò e se ne andò.
Quella sera vidi Joseph. Sarebbe stato impossibile stare lontana da lui, come se qualcuno mi avesse chiesto di non respirare più, di vivere per sempre sott'acqua. Joseph era la mia aria.
Lui notò subito che c'era qualcosa che non andava. Mi fissò con attenzione, quindi mi avvolse nel suo abbraccio, senza aggiungere altro.
-Beth non sta bene- dissi piano. Non sapevo come dirgli la verità. Da una parte ero pur sempre una ragazza cresciuta con una mentalità rigida in cui non era concepibile che una donna nubile aspettasse un bambino. Dall'altra una parte di me temeva che Joseph, a causa di mia sorella, mi avrebbe considerata non adatta a lui. Sbagliavo.
-Tutti in paese parlano di Beth- mi sussurrò e io compresi che eravamo i soli a non sapere.
-Tu lo sai?-
-Pensavo che fossero solo voci- si giustificò, tenendomi stretta.
Non lo rimproverai, mi strinsi semplicemente a lui, sperando così di scacciare tutto il dolore.
NOTE DELL'AUTRICE:
Ciao!
Cosa ne pensate della gravidanza di Beth?
Una piccola spiegazione: con il termine consunzione ci si riferiva alla tubercolosi.
A presto
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