XXIV

Finito di assaporare un caratteristico infuso draconiano e qualche biscotto al burro, stiamo per partire in direzione del palazzo in cui risiede il Consiglio.

- Adrian, visto che non ho intenzione di passare un'intera giornata con gli abiti bagnati, che ne diresti di disattivare la barriera intorno al castello?

- Non posso farlo, signorina, non mentre stiamo lasciando l'isola. Non preoccupatevi, creerò una corazza d'acqua protettiva su di noi con lo scudo di tanzanite. Anche Teti potrebbe farlo, ma adora avere le squame sempre bagnate - risponde dirigendosi verso il giardino del castello.

- Mi chiedo perché tu non abbia attivato questa fantomatica corazza ieri – lo accuso raggiungendolo all'esterno dell'edificio.

- Volevo che vi emozionaste entrando in un castello fatto d'acqua e che indossaste lo splendido vestito di ieri sera.

Resto in silenzio sconvolta. Non ci credo: l'ha fatto apposta.

Un po' stizzita, mi infilo lo zaino sulle spalle e salgo autonomamente in groppa a Teti, la quale ci aspetta sulle sponde del lago.

Adrian mi osserva sorpreso; monta anche lui sulla dragonessa dell'Acqua, crea la barriera con lo scudo e ordina a Teti di alzarsi in volo.

- Non volevo che vi offendeste. La mia intenzione era quella di farvi divertire, di scuotervi un po' - spiega notevolmente dispiaciuto.

Allontanandoci dall'isola del Guardiano, realizzo che sono stata un po' troppo permalosa nei suoi confronti. Alla fine si è trattato di un semplice scherzo, non c'è nulla di male. Devo rimediare.

- Non preoccuparti, Adrian, non mi sono offesa, è stato divertente, tutto sommato. Mi ci voleva una serata come quella di ieri, grazie – rispondo sorridente riuscendo a tranquillizzarlo all'istante.

- Meglio così, Edgar non me lo perdonerebbe se vi arrecassi dispiacere – dice sollevato ed incalza Teti ad accelerare l'andatura.

Chissà se oggi riuscirò a vedere Edgar, chissà se anche lui ha sentito un po' la mia mancanza. È davvero strano come io possa essermi affezionata ad una persona che conosco da così poco tempo. Sicuramente ha inciso il fatto che il Comandante della prima armata è stato in casa mia, nel mio mondo e quindi lo percepisco come un qualcosa di familiare, ma per il mio modo di socializzare e dare fiducia è decisamente insolito.


Giunti al Palazzo del Consiglio smontiamo lesti dalla nostra cavalcatura baffuta e varchiamo l'ingresso dell'edificio.

- Purtroppo devo abbandonarvi qui, signorina. Oggi si terrà la riunione settimanale del Consiglio e saranno presenti tutti i Custodi e tutti i Guardiani, non posso esimermi – spiega zelante il Comandante della terza armata.

Annuisco e lo osservo allontanarsi in direzione della Sala del Consiglio dopo essersi aggiustato la giacca stropicciata a causa della cavalcata tra le nuvole di Draconem. Proprio nell'esatto istante in cui il Guardiano dell'Acqua raggiunge l'immenso portone che lo separa dalla riunione, un uomo vestito di nero lo affianca alla sua sinistra: è Edgar.

Senza riflettere inizio ad allontanarmi dall'ingresso per dirigermi alla fine del corridoio, ma una voce rauca spegne il mio entusiasmo.

- Ah, signorina Leone, siete giusto in tempo per la vostra lezione di oggi.

Esattamente nel punto in cui una via interseca il corridoio principale appare Alvise, con la sua tipica espressione clemente.

- Buongiorno, signor Alvise – lo saluto, continuando a guardare davanti a me.

Speranzosa di incrociare lo sguardo di Edgar, vengo ripagata quasi immediatamente: il comandante scambia qualche parola con Adrian, dopodiché si volta nella mia direzione. I nostri occhi si fissano per un leggero istante, prima che entrambi siamo costretti a dirigerci altrove: lui nella Sala del Consiglio ed io verso la Biblioteca Centrale scortata da Alvise.

- Signorina, non potete restare qui, abbiamo un'importante riunione a cui partecipare. Sarete sola quest'oggi durante lo studio; approfittatene per assorbire quante più informazioni possibili – si raccomanda l'anziano, svoltando a sinistra e percorrendo al mio fianco il corridoio che conduce alla biblioteca.

- Farò del mio meglio, signore – lo rassicuro.

- Siete una brava fanciulla. So che sarete in grado di trovare tutte le risposte alle vostre domande nella nostra Biblioteca Centrale – dice sorridendo, prima di lasciarmi davanti all'ingresso della stanza da lui appena nominata.

Si congeda in silenzio e percorre la strada a ritroso per partecipare alla riunione del Consiglio.

Varco la soglia della biblioteca.

Sospiro.

Come avrei voluto parlare con Edgar, quantomeno salutarlo. Era così affascinante, anche senza il suo mantello addosso. Ripensando ai suoi occhi dorati accarezzo inconsciamente la stringa del mantello allacciato sul mio petto, ma quando me ne accorgo, smetto subito per paura di essere vista da qualcuno.

Decido di riprendere la lettura che ho interrotto ieri pomeriggio e così mi dirigo allo scaffale che già conosco, prendo il libro e vado a sistemarmi tra i cuscini vicino alla finestra. Guardando al di là del vetro limpido, realizzo che non ho alcuna voglia di studiare.

Mi manca Edgar, mi manca la compagnia di Nina e mi manca soprattutto Happy. Chissà come se la starà cavando Melissa con il mio appartamento e con la peste dal codino a pompon.

Sbuffo. Sono triste.

Odio la solitudine, per questo mia nonna mi ha regalato un coniglio, perché sono animali affettuosi anche con chi ha il cuore freddo come il mio, che non riesco a fidarmi di nessuno.

Dopo aver perso lo sguardo nel vuoto per una decina di minuti, decido che è giunto il momento di mettersi a studiare davvero, sia perché non ho altro da fare, sia per non buttare il mio tempo. Voglio capirci qualcosa.

Riprendo la lettura da dove ho interrotto ieri e rifletto sulla data che tanto mi ha sconvolta.

Ebbene, esattamente cinque anni fa, proprio il ventitré gennaio duemila undici, finii di dipingere un'opera e vi apposi la mia firma.

Avevo scelto di partecipare ad un concorso per giovani pittrici, poiché mi allettava l'idea di un'esposizione tutta al femminile. Inoltre il tema sarebbe stato comunicato soltanto una settimana prima, questo per evitare che i lavori fossero commissionati a terzi. Ho imparato che le persone sono disposte a tutto pur di vincere.

Così, esattamente una settimana prima dell'esposizione, ricevetti una lettera da parte degli organizzatori della competizione con all'interno il tema del concorso: creature fantastiche, mitologiche e leggendarie.

Ebbi immediatamente un'ispirazione folgorante e scelsi di dipingere l'eterna lotta fra bene e male, rappresentata da due draghi, uno bianco e uno nero. Realizzai questa magnifica tela mettendoci corpo e anima, ma poi cambiai idea e optai per il dipinto di una splendida sirena.

Quando arrivai alla galleria d'arte per esporre la mia opera, mi accorsi che tutte le concorrenti avevano intriso le loro tele di creature femminili: fate, elfi, sirene e folletti. I giudici non sembravano entusiasti di quelle opere, probabilmente le ritenevano un po' frivole e lo stesso pensavo anch'io. Tuttavia, conquistai la medaglia d'argento, mentre il primo posto se lo aggiudicò una ragazza col suo splendido ed imponente gargoyle.

Avrei potuto vincere con la mia opera principale, ma non ho avuto il coraggio di esporla.

La motivazione sta nel fatto che uno dei due draghi, quello nero sul quale mi ero maggiormente focalizzata, aveva uno sguardo diabolico, terrificante, che incuteva timore soltanto a guardarlo. Quegli occhi scarlatti mi riempivano l'anima d'inquietudine e non riuscivo ad osservarli per poco più di un istante, il mio corpo restava in tensione.

Ad ogni modo, ricordo che finita la competizione tornai afflitta a casa e mi fiondai subito in camera per ammirare ancora la mia prima scelta, stupidamente scartata.

La tela era ancora sulla mia scrivania, ma i due soggetti non c'erano più. O meglio, il drago che rappresentava il male sparì quella notte, l'altro mi abbandonò due anni dopo, proprio quando mi comparve la ciocca di capelli bluastra. Fu in quel momento che bruciai la tela e mi trasferii ad Ancona. La mia opera centoventisette, sono solita dare sempre numeri primi ai miei quadri, del ventitré gennaio duemila undici finì tra le fiamme del camino.

Cercai dentro me stessa innumerevoli spiegazioni per quanto accadde, ma mi raccontai soltanto bugie. Mi è sempre piaciuto pensare che quel drago nero si fosse offeso per essere stato scartato e che avesse preferito volare via. Successivamente, ipotizzai che l'altro fosse andato a cercare il primo per continuare l'eterna battaglia altrove. Riguardo ai miei capelli invece, conclusi che il cambio di colore non fu altro che una conseguenza dello stress causato dagli avvenimenti.

Queste furono tutte mie supposizioni, nelle quali ho creduto per andare avanti con la mia vita.

Mentre sono seduta sui cuscini della splendida ed insolita biblioteca, sento bussare alla finestra, così alzo lo sguardo e vedo il muso di Forestis.

Mi appresto subito a girare la maniglia per spalancare il vetro che ci separa.

- Ciao Forestis, sono felice di vederti. Come stai? E... Edgar, come sta?

- Ragazza, dov'è il mantello? L'ha dato a voi, vero? - mi chiede, ignorando del tutto le mie domande.

Dopo qualche attimo di confusione raccolgo il mantello appallottolato tra i cuscini per mostrarlo al rettile.

- Eccolo. Ho notato però che si è strappato su un lembo e credo sia stata colpa mia – dico mortificata abbassando lo sguardo sulla parte mancante dall'indumento.

- No. Non siete stata voi. Signorina Hope, Edgar sta bene ed anch'io, ma il suo mantello lo protegge, a patto che sia integro. Dobbiamo trovare il pezzo mancante e ricongiungerlo con il resto della stoffa.

Annuisco senza controbattere. Mi basta sapere che Edgar stia bene.

- Forza, uscite dalla finestra e salitemi in groppa – ordina.

Non esito nemmeno un istante: prendo lo zaino, stringo il mantello al petto con una mano e mi aggrappo al davanzale della finestra, per poi scavalcarlo e montare in sella a Forestis.

Dove saremmo diretti?

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