XV
Entriamo in una grande sala illuminata dalla luce calda e instabile di un camino e da quella flebile proveniente dall'unica finestra posta sul soffitto al centro della stanza. Ormai sta calando la notte e il bagliore che resta dell'ultimo sole è coperto dalle nuvole cariche di pioggia.
Edgar mi adagia delicatamente su un grande ed elegante divano di legno nero con le imbottiture di pelle rossa, posto di fronte al fuoco che sprigiona un piacevole tepore. Poco distante dal camino, noto il mantello del Guardiano, appeso e intriso d'acqua al punto da creare una piccola pozzanghera sul suolo marmoreo.
Il Comandante mi rivolge uno sguardo dispiaciuto e con cautela sfila l'asciugamano ormai fradicio con cui mi ha avvolta poco fa e torna in piedi al mio fianco. Sorride leggermente, probabilmente perché l'ho lasciato fare fidandomi di lui e si volta, dandomi le spalle per asciugare vicino al fuoco del maestoso camino in pietra la stoffa rossa e morbida che stringe tra le dita. Alimenta le fiamme deboli con un po' di legna per far aumentare la temperatura dell'ambiente e, mentre strofina le mani accanto al focolare, si rilassa totalmente, gettando la testa all'indietro e guardando il soffitto.
- Devo imprimere di nuovo il sigillo – esordisce, poi sbuffa.
- Che sigillo? - domando, alzando gli occhi verso l'alto e seguendo il suo sguardo.
Lo vedo.
Un enorme drago verde risplende in tutta la sua maestosità sul grande lucernario rotondo al centro della stanza. L'immagine è instabile, poco marcata, tanto da farmi chiedere se non si tratti di un simbolo come quello che ha posto Edgar sul portone di casa mia.
Servirà a proteggere il castello?
L'uomo sembra leggermi nel pensiero e fornisce una spiegazione senza che sia io a chiederla.
- Quella è una Viverna Prasio, signorina Hope, il cui compito è quello di ergere una barriera magica attorno al castello. Grazie ad essa, l'intera isola non si manifesta agli occhi dei nemici, ma nonostante l'imponenza del sigillo esso non dura per sempre; così ogni quattro mesi, al sorgere della prima luna, devo rimarcarlo. Non ricordo se il momento in questione sia stasera oppure domani.
Lo sguardo preoccupato del Guardiano della Terra mi esorta a fornirgli un parere, una risposta, così gli dico:
- Cambierebbe qualcosa se rimandassi a domani la questione? Da quando ci siamo conosciuti, due sere fa, non hai dormito granché e credo sia meglio che tu lo faccia. Non ho idea di quanto ci voglia per imprimere un sigillo così grande, ma credo che tu abbia bisogno di riposare.
L'uomo si avvicina sedendosi sul bordo del divano libero vicino alle mie cosce. Abbandono immediatamente la posizione sdraiata e rilassata che ho assunto finora irrigidendomi per il contatto inaspettato: credo che anche lui abbia percepito il mio disagio.
Seduta sulla pelle cremisi con ogni fibra del mio corpo tesa come una corda di violino, faccio quello che so fare meglio: sviare il discorso e limitare i danni.
- Che cos'è una Viverna? Una sorta di drago?
- Esatto, signorina Hope. Ad essere più precisi, si tratta di un drago bipede – puntualizza e mi poggia una mano su un fianco, poi continua - che non sputa fuoco né veleno ed ha una sorta di pungiglione sulla punta della coda.
Distoglie lo sguardo dal fuoco incandescente e lo rivolge a me: mi sta fissando con i suoi occhi stanchi e dorati.
Sospira.
Le sue dita accarezzano appena i miei vestiti ancora umidi e salgono dalla vita fino al collo, per poi fermarsi sulla mia guancia destra. Il cuore mi batte all'impazzata tanto da farmi sentire l'insistente tambureggiamento nelle orecchie.
Senza rendermene conto, le mie braccia si alzano lasciando che le mani cerchino disperatamente il suo viso. Accarezzo le sue guance calde, rese ruvide dalla barba leggera che le copre, e infilo le dita tra i suoi capelli morbidi e setosi.
Ci scambiamo uno sguardo insicuro: io mi perdo nei suoi occhi e lui nei miei.
Inaspettatamente poggia il viso sul mio petto e stringendomi a sé, si rilassa. Inconsciamente e liberando la mente da ogni pensiero, continuo a lisciargli la testa e giocare con i suoi soffici capelli, incapace di proferire parola, mentre lui, con voce bassa e profonda, afferma:
- Il vostro cuore, signorina Hope, sembra volervi uscire dal petto.
Dal suo modo di parlare, percepisco un sorriso e mi imbarazzo a tal punto da non riuscire a rispondere. Edgar alza la testa per guardarmi.
- Ad essere sincero, avete ragione, signorina Hope. Sono ben più di due notti che non dormo. Nel vostro mondo non ho trovato un giaciglio che mi permettesse di riposare come avrei dovuto e sono ormai diversi giorni che confondo il giorno con la notte. Siete gentile a preoccuparvi della mia salute: seguirò il vostro consiglio ed imprimerò il sigillo domani. Se non risulto sfacciato, vorrei che rimanessimo qui ancora qualche minuto a scaldarci e a far sì che i vostri vestiti siano asciutti, dopodiché vi condurrò nella vostra stanza per riposare. Per stanotte credo sia meglio sceglierne una adiacente alla mia, così se aveste bisogno di me, potrete venire a svegliarmi in men che non si dica – spiega sorridendo appena.
Annuisco ancora a disagio e l'uomo si rimette comodo senza lasciarmi andare. Mi sento stranamente confusa e stanca al punto da non dare peso al fatto che l'individuo, la cui testa poggia sul mio petto, lo frequento soltanto da un paio di giorni: questo mio nuovo comportamento è decisamente non affine al mio modo di essere abituale.
Il crepitio del fuoco ci culla e il calore ci riscalda, lasciando che il Comandante non faccia fede alla sua promessa. Infatti ci addormentiamo sul divano, mentre la pioggia colpisce con violenza la finestra marchiata con la Viverna Prasio morente.
Un rumore assordante invade il castello e squarcia il silenzio in cui era avvolto fino a poco fa: spalanco gli occhi verso il soffitto.
È buio.
La Viverna verde non c'è più.
Edgar si alza di scatto dal divano, indossa il suo mantello ancora umido e impugna la sua spada che si illumina di verde.
- Hope, state indietro! Sono arrivati per catturarvi, ma vi proteggerò! Giuro sul mio onore che non vi prenderanno, fidatevi di me.
Ancora un po' stordita per la sveglia fuori programma, mi sembra di vivere un incubo, ma capisco perfettamente quello che mi è appena stato detto: vogliono rapirmi, farmi prigioniera.
Perché?
Una lacrima mi riga il viso, mentre un altro rombo assordante mi spacca i timpani.
Ho paura.
Corro a ripararmi dietro il mantello di Edgar.
- Che cosa devo fare? Posso aiutarti?
- No, signorina. Non allontanatevi da me e state allerta.
Il Guardiano della Terra corruga la fronte e si blocca a riflette un attimo, poi esordisce:
- Forestis, adesso, sta combattendo lì fuori per far in modo che il nemico non entri nel castello, perciò abbiamo ancora un po' di tempo. Nella stanza accanto a quella in cui ci troviamo adesso, c'è una sorta di armeria; non so in che condizioni siano attualmente le armi perché sono decorative, ma sotto il tavolo più grande che c'è in mezzo agli espositori, ho fatto costruire una botola. Se qualcosa dovesse andare storto, usatela per fuggire. Avete capito?
Un'altra goccia salata scende dai miei occhi e mentre il respiro si fa più veloce e corto, annuisco.
- Siate forte, signorina Hope. Non abbiate paura, non adesso. Andrà tutto bene – afferma e mentre pronuncia queste parole, una decina di grossi basilischi invade la sala.
Edgar alza la spada e con un incantesimo rigenera la legna consumata nel camino, la quale comincia a riardere lasciando che la luce del fuoco divampi nella stanza.
La battaglia contro gli esseri metà serpente e metà gallo ha inizio.
Il Comandante sferza colpi decisi e potenti contro gli esseri orribili davanti a lui, i quali hanno sguardi magnetici e di pietra.
- Non guardateli negli occhi - grida, sovrastando il rumore della sua spada.
- Perché?
- Il loro sguardo pietrifica chi lo incrocia, dovete impedire che ciò avvenga. Avete capito?
- Sì. Non li guarderò negli occhi – dico, cercando di restare alle spalle del mio protettore.
I basilischi cadono sotto i fendenti mortali di Edgar, ma nella stanza, a pochi metri da noi, si manifesta un altro essere. Una donna con le ali e con le zampe uncinate come quelle di un rapace, cammina nella nostra direzione.
Il nemico sprigiona una folata di vento tagliente con un solo battito d'ali e lame invisibili graffiano la pelle della mia mano, l'unica parte di me che sporge da dietro il mantello di Edgar
- Scappate Hope! Andate dove vi ho detto prima - mi urla Edgar.
- Perché! Non voglio lasciarti solo!
- Non contradditemi e andate via!
La sua espressione è più dura che mai.
Intimorita, lo ascolto.
Mentre l'arpia combatte contro il mio protettore, ne approfitto per dirigermi verso l'armeria, attraversando l'uscita della stanza, da cui l'essere riluttante è entrato poco fa.
- Correte, Hope - grida Edgar.
Mi volto in preda all'agitazione e osservo la scena sgomenta: il Guardiano della Terra è in ginocchio che si preme la mano su un fianco, mentre l'arpia lo sta fissando con un sogghigno dipinto sul viso.
La creatura alata distoglie l'attenzione dall'uomo e la concentra su di me: mi sta sfidando col suo sguardo diabolico.
Trasalisco.
Corro, giro l'angolo e supero la porta: sono nell'armeria di fronte a tre tavoli, cerco il più grande e sotto di esso trovo la botola. Mi avvicino, ma quando sto per abbassarmi, mi blocco.
- Dove scappi, ragazzina.
L'arpia è sulla soglia della stanza ad alcuni metri da me e trascina Edgar con sé stringendolo dal colletto del suo mantello.
- Se fuggi, lo ammazzo. Se vuoi salvargli la vita invece, dovrai venire con me.
L'essere per metà donna e per metà rapace sprigiona una potente aura maligna che si percepisce dal suo sguardo incandescente e dal ghigno che le caratterizza l'espressione nefasta.
- Non datele ascolto, fuggite - ordina Edgar provato dalle ferite, ma io non voglio abbandonarlo.
Mi schiaccio con la schiena contro il tavolo alle mie spalle e con le dita sfioro qualcosa che si trova su di esso: un arco e una freccia sono proprio alla mia portata.
Non ho idea di come si usino queste armi, ma l'unica possibilità che ho è quella di scoprirlo adesso, in fretta e senza la minima esitazione. Impugno velocemente arco e freccia, prendo un bel respiro e porto avanti l'arma.
Uno sguardo sul pavimento insanguinato.
Miro e scocco.
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