XII
Scortati dalla sentinella, varchiamo la maestosa porta d'ingresso, alta non meno di quattro metri, per poi iniziare a percorrere il lungo corridoio davanti a noi.
L'arredamento che caratterizza l'interno dell'edificio è semplice ma curato: il marmo grigio scuro della pavimentazione, parzialmente celata da un infinito tappeto pervinca, è lo stesso delle pareti che si dividono in paraste collegate alla sommità da archi scolpiti e intarsiati con frammenti di pietre colorate. Nello spazio sottostante posto tra i due pilastri, lunghe tende di velluto rosse sottraggono alla vista piccole stanze, che invece si possono notare laddove il tendaggio è legato da fibre di cotone grezzo intrecciate a formare una corda.
Al termine del tappeto che attraversa l'infinito corridoio, c'è un'altra imponente arcata, ma alcunché a coprirne il vuoto inferiore. Questa deve essere la sala principale, la quale si mostra immensa ed elegante; ci sono poche finestre, ma sono così grandi che illuminano al punto giusto la zona centrale. La stanza dal perimetro di forma ettagonale è in marmo chiaro ed è forse questo che aiuta la luminosità dell'ambiente. Spostandosi verso l'esterno, ci sono sette grandi troni posti tutt'intorno ed equamente distanti l'uno dall'altro, riccamente imbottiti e ognuno rivestito con un velluto di colore particolare: uno rosso, uno blu, uno verde, uno bianco e tre neri. Le prime quattro poltrone, sono caratterizzate da draghi direttamente scolpiti nella pietra, ciascuno diverso dall'altro.
Seduto su ogni trono c'è un individuo, eccetto sui due che restano vuoti: quello verde e quello bianco.
Una voce interrompe la mia curiosità:
- Comandante Edgar Wahren, siamo lieti di avervi di nuovo con noi. Aspettiamo il rapporto relativo al vostro viaggio sulla Terra.
Edgar si incammina dalla soglia per raggiungere il centro della sala. Si mostra fiero ed orgoglioso mentre, con fare plateale, mi tende una mano lasciando svolazzare il suo mantello.
- Ho trovato la Promessa - dice senza battere ciglio, rimanendo con lo sguardo fisso sul suo interlocutore.
Un uomo canuto, con una barba lunga fino al petto, si alza dalla poltrona nera centrale davanti ad Edgar e si dirige verso di lui per raggiungerlo. L'anziano indossa una veste lunga e dorata e, avvicinandosi al giovane comandante, gli poggia una mano sulla spalla, per poi esordire:
- Ben fatto, Guardiano della Terra, speriamo che questa sia la soluzione a tutti i problemi del nostro mondo. Draconem ha bisogno di pace o cadrà su sé stessa.
- Vi ringrazio Alvise, desidero anch'io che la Promessa sia la soluzione definitiva che metterà fine alle nostre preoccupazioni – risponde Edgar rivolgendosi all'individuo, il quale mi sta guardando. L'uomo mi fa un cenno invitandomi a raggiungere il centro della stanza, ma mi sento fuori posto ed intimidita, così faccio finta di non capire restando immobile.
- Promessa, venite avanti e rivelatevi ai Guardiani degli Elementi e a noi Custodi, membri del Consiglio.
La voce dell'anziano non suona come un ordine, poiché il suo tono è pacato e lascia trasparire la ricerca infinita di una piccola speranza. Volente o nolente, devo avvicinarmi, perché anche Edgar è impaziente di avermi vicina e sospetto sia inquieto per il mio comportamento.
Con passo indeciso, come quello di un trampoliere alle prime armi, mi dirigo verso i due uomini e l'unico rumore che si percepisce nel silenzio della sala sono le suole delle mie Converse, che bussano sul pavimento di marmo.
Alvise è serio e come avevo pensato poco fa, Edgar non è l'unico draconiano formale. Guardandomi dritto negli occhi, intuisco che l'individuo cerca di carpire qualche informazione, mentre io ricambio le sue attenzioni con uno sguardo timido. Sono secondi che durano un'eternità, ma all'improvviso il volto dell'uomo si apre in un grande sorriso.
- Voi dovete essere la signorina Leone. Sono anni che vi stiamo cercando, da quando tutto questo disordine ha avuto inizio. Adesso siete al sicuro dai Nequam e dai loro servitori. Il Comandante Edgar si prenderà cura di voi, vi mostrerà le nostre terre e vi istruirà su come vivere a Draconem. Io sono Alvise, membro apparentemente più anziano del Consiglio di Draconem e sarò pronto a rispondere ad ogni vostra domanda - mi spiega con entusiasmo e tranquillità allo stesso tempo.
Ammaliata da tanta gentilezza e formalità, tento un leggero inchino e in modo impacciato, mi presento all'anziano signore:
- Mi chiamo Hope Leone, sono lieta di conoscervi. Sono ancora poco informata sulle vicende di Draconem, ma il comandante Ed... Wahren mi ha elencato i punti salienti. Vi ringrazio per il vostro interesse nel proteggermi.
- Signorina Hope, non dovete inchinarvi, non sono un re! C'è qualche domanda che vorreste pormi? Non c'è nulla che vi incuriosisce?
Mantenendo un leggero sorriso, aspetta la mia risposta e scruta smanioso il mio volto, in cerca di un tentennamento.
- No signor Alvise, nulla che mi venga in mente in questo momento.
In realtà vorrei chiedergli centinaia di cose: perché mi proteggono, perché mi stavano cercando da tanto tempo, perché devo imparare a vivere a Draconem, e soprattutto, perché i Nequam vogliono farmi fuori. Vorrei conoscere ogni minimo dettaglio, ma sono in soggezione al centro di una sala così grande e fredda che preferisco restare in silenzio.
Alvise ci volta le spalle ed io lancio una rapida occhiata in direzione di Edgar, che a sua volta mi sta guardando con aria interrogativa.
- La Promessa è salva, il Comandante Wahren si occuperà personalmente di lei durante il periodo di addestramento. Le impartirà gli insegnamenti di Draconem, la aiuterà a cacciare e la proteggerà dai nostri nemici, perché sono anche i suoi.
Il vecchio pronuncia queste parole solennemente senza aspettare risposta: non ci sono alternative a quello che dice, è un'asserzione, una legge in piena regola. Si gira nuovamente verso di noi, ci raggiunge e abbassando la testa vicino al mio viso mi sorride, poi bisbiglia:
- Porrete tutte le vostre domande al Comandante Wahren, immagino siate più a vostro agio con lui che con un vecchio barbuto come il sottoscritto.
Mi sorride dolcemente accarezzandomi appena una spalla, poi riassume la sua solita postura fiera e decreta:
- Siete congedati, ritiratevi pure, non abbiamo altro di cui discutere oggi.
Alvise torna a sedersi sulla sua poltrona in velluto nero e sparisce nella zona più esterna ed ombrosa della stanza.
Sdraiati sul prato verde che circonda il palazzo del Consiglio, Edgar sta mangiando una mela appena colta dall'albero, non togliendomi gli occhi di dosso neanche per un secondo.
- Siete agitata, signorina Hope?
Ricambio il suo sguardo per un attimo, ma non rispondo: sono imbarazzata dal suo continuo fissarmi, così torno ad osservare il cielo sereno e ripenso a come tutto questo ha avuto inizio qualche giorno fa.
- Perché siete preoccupata? Adesso siete al sicuro, non dovreste avere paura. Quando vivevate sulla Terra, eravate più serena, nonostante foste in pericolo a vostra insaputa. Cosa c'è che vi turba? Volete dirmelo? - mi chiede.
- Non sono agitata, è che non ci sto capendo nulla, ci sono troppe cose che vorrei sapere, ma non me la sono sentita di fare domande ad Alvise. Per quanto possa sembrare un uomo disponibile, non mi sento pronta ad affrontare un discorso simile con uno sconosciuto - gli rispondo alzandomi.
Mi sposto con calma di un paio di metri e calcio qualche filo d'erba più lungo degli altri. Rimango in piedi a guardare il Comandante senza proferire parola, mentre lui si alza per raggiungermi e, con il viso ad un palmo dal mio, domanda:
- Preferite affrontarlo con me questo discorso così angosciante?
Attende che io gli risponda e rimane a guardarmi con i suoi occhi dorati, limpidi e brillanti.
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