VII
Guardo un po' in giro ancora insicura che non ci sia nessuno oltre me, ma alla fine decido di alzarmi nonostante fuori sia ancora buio. Sono talmente sudata per l'incubo di poco fa che difficilmente potrei continuare a dormire; ho bisogno immediatamente di una doccia che lavi via anche le mie preoccupazioni oltre al sudore.
Mentre poggio sul letto i vestiti puliti da mettere dopo il bagno, inizio a ripercorrere con la mente ciò che mi è accaduto prima di addormentarmi; così penso all'uomo che mi ha scaraventata in casa e portata in camera da letto, devo aver sognato anche quello.
Nel mio appartamento l'unica vera porta che c'è è quella d'ingresso, mentre ci sono tre grosse lunghe tende rosse che separano un ambiente dall'altro: una al piano terra tra il bagno e la sala da pranzo, una al primo piano fra l'altro bagno e la mia stanza, e infine l'ultima tra la camera e le scale.
Allontanandomi dal letto noto che il bagno è completamente nascosto dal telo cremisi in velluto, nonostante ieri abbia avuto cura di lasciare le tende tutte legate poiché, vivendo da sola, non ho problemi a passare da una stanza all'altra in totale libertà.
Improvvisamente realizzo che Melissa ha usato il bagno della mia camera ieri a pranzo e così, senza indugiare ulteriormente, scosto il morbido telo per raggiungere finalmente la doccia e togliermi di dosso l'angoscia che porto con me già da un po'.
No, non sono sola.
La sua schiena è percorsa da brillanti gocce d'acqua che danzano insieme a ritmo dei suoi muscoli che si muovono sotto la pelle bronzea e liscia mentre si friziona i capelli con un asciugamano. Non sembra essersi accorto della mia presenza, ma poi esita un attimo e alzando la testa incrocia il mio sguardo incredulo nello specchio appeso davanti a lui. Imbarazzata, lascio scivolare la tenda tra le dita e mi volto per scendere velocemente le scale che mi portano al piano inferiore, entro in bagno e sciolgo la stringa che lega il velluto pesante, per poi restare immobile ad ascoltare ciò che accade fuori.
Al momento del mio risveglio ho creduto fosse stato tutto un sogno, ma mi sono sbagliata: è tutto reale. Non so cosa fare in questo momento, non riesco a fidarmi di quest'uomo, ma allo stesso tempo mi chiedo perché mai dovrebbe mentirmi. Mentre resto in attesa di udire i suoi passi che scendono i gradini, penso al suo vestiario elegante, ai suoi modi di fare cortesi come quello di darmi del voi, cosa assurda tra le persone comuni del ventesimo secolo.
Il mio cuore palpita e maledico il momento in cui non ho afferrato il telefono per chiamare soccorsi, avrei potuto avvertire la polizia se soltanto fossi stata più scaltra, ma l'unica cosa cui riesco ancora a pensare sono gli occhi penetranti dello sconosciuto che c'è al piano di sopra.
Decido di tentare il tutto per tutto e sguscio da dietro la tenda per raggiungere il cassetto dei coltelli che si trova dall'altro lato della stanza, ma sbatto la fronte contro qualcosa. Alzo la testa, tuttavia, non riesco a reggere il suo sguardo, i suoi occhi sono così magnetici da immobilizzarmi e farmi dimenticare il pericolo che sto correndo. D'impatto, non mi accorgo nemmeno che l'uomo è coperto soltanto dall'asciugamano saldamente legato in vita.
- Vi domando immensamente perdono, signorina Leone, ma sono giorni che veglio su di voi tra le strade di questa città e ho ritenuto necessario approfittare di un bagno caldo – dice bloccandomi mentre cerco di sottrarmi dalle sue iridi luminose e color miele.
Resto in silenzio a massaggiarmi la fronte indolenzita, poi cerco di svegliarmi dal torpore in cui sono caduta e scrollando la testa, mi sposto da lui più che posso, sfilando il polso dalla sua mano con cui mi ha delicatamente afferrata senza che io me ne sia accorta.
- Non ti conosco, esci da casa mia o chiamo la polizia! - dico a gran voce cercando di intimidirlo e di raggiungere l'unica arma possibile che ho in casa, ma il cassetto delle posate resta ancora troppo lontano.
Spaventato dal baccano, Happy inizia ad agitarsi e neanche la sua gabbietta gli sembra un posto sicuro, tanto da saltarne fuori. Quel che accade mi fa trasalire: l'uomo, incurante delle minacce, si piega sulle ginocchia abbassandosi il più possibile e lasciando che il coniglio si avvicini per annusarlo. Happy strofina il naso prima sui piedi nudi del mio nemico, poi cerca qualcosa dove il suo odore sia ancora più forte: le mani.
L'uomo resta come incuriosito dalla bestiolina e lascia che l'animale gli ispezioni le dita, finché Happy comincia a leccargliele in segno d'affetto.
L'unica persona a cui il mio coniglietto ha mai baciato le mani sono sempre stata soltanto io e questa cosa mi sconvolge lasciandomi spiazzata e senza parole. Di scatto prendo in braccio il traditore e corro verso la cucina prima che l'uomo si rialzi e possa raggiungermi, apro il cassetto, afferro un coltello e mi giro per puntarlo in direzione dell'individuo.
- Chi sei, cosa sei venuto a fare qui? Va via! - dico arrabbiata e quasi in preda a una crisi di nervi.
- Vi prego, signorina Leone, - dice l'uomo mantenendo la calma – non voglio farvi del male, tutt'altro. Sono qui per proteggervi dai nemici: dovete credermi, sono sincero e sono stato inviato qui soltanto per occuparmi di voi.
Non essendo più in grado di reggere la tensione, inizio a piangere e ad armeggiare freneticamente con il coltello e a questo punto Happy si spaventa, cercando di sgusciarmi dalle mani. Preoccupata per la mia povera bestiolina, decido di lasciarla scendere con calma e resto sola con la mia lama, incerta nell'usarla, mentre torno a guardare l'uomo.
L'individuo mi ha dato le spalle e Happy gli gira intorno alle caviglie.
- Mi rivestirò e aspetterò che siate voi a volermi ascoltare, ma per la vostra incolumità e per quella del mio regno, vi scongiuro di fare in fretta a darmi udienza – dice e si dirige verso le scale.
- Fermo! Prendi i tuoi vestiti e torna giù in fretta senza perdere tempo a indossarli.
L'uomo comincia a raggiungere la mia stanza e io inizio a pensare che sto avendo un'idea malsana: quella di ascoltarlo.
Macinando gradini uno dietro l'altro, lo sconosciuto è nuovamente davanti a me e aspetta istruzioni.
- Adesso tu vai dietro quella tenda, in bagno e ti vestirai, mentre io andrò di sopra ad avvisare i miei amici di avvertire le autorità qualora non ricevessero mie notizie nei prossimi dieci minuti. Voglio darti una possibilità, ma devi lasciarmi un po' di tempo per pensare.
Mentre si dirige verso la stanza che gli ho indicato, noto che stringe tra le mani soltanto un pezzo di stoffa e inizio a chiedermi perché non abbia con sé il resto.
Mi accingo a salire le scale dicendo a gran voce:
- Non seguirmi.
Lo vedo annuire per poi sparire dietro la tenda, che scivola e torna pesante dopo il suo passaggio.
Non mi sembra il caso di chiamare Melissa a quest'ora della notte, penso mentre corro su per le scale, ma lui non sa che ho mentito e che ho intenzione di lavarmi e vestirmi più veloce che posso, così afferro la tela più grossa che ho in camera e la posiziono davanti alla tenda che c'è dopo le scale, in modo che lui non possa vederla qualora decidesse di raggiungermi. A quel punto sentirei il fracasso del quadro sfracellato a terra e riuscirei a chiamare la polizia col telefono che c'è in camera.
Afferro i vestiti dal letto e corro in bagno. Noto che il suo mantello, gli stivali, la camicia e il suo fodero, con tanto di spada, sono poggiati sul mobile che c'è vicino alla doccia e realizzo così che lo sconosciuto è totalmente disarmato. Cercando di non perdere tempo, mi spoglio e mi infilo sotto l'acqua in men che non si dica, facendo la doccia più veloce nella storia dell'essere umano.
Chiudo le manopole e mi avvolgo in un soffice asciugamano che ho preso dal mobile, poi esco poggiando i piedi ancora bagnati sul morbido tappeto che ho messo fuori dalla doccia prima che ci entrassi.
Mi pettino i capelli e li friziono velocemente con l'asciugamano, giusto per non bagnare tutta la casa e una volta zuppo, getto il telo di cotone nel cesto della biancheria sporca. Indosso la tuta leggera in fretta e furia e dopo aver tolto il cartone telato dalla tenda, scendo al piano di sotto e rivolgo lo sguardo alla mia destra, notando che il nemico è seduto sul divano, dandomi inevitabilmente le spalle.
- Chi sei? - chiedo parandomi davanti a lui mentre scivola dolcemente sul divano gettando la testa all'indietro e guardando il soffitto, lasciando che i suoi capelli, ancora umidi, scendano lisci.
- Ve l'ho detto, signorina Leone. Sono qui per proteggervi.
- Questo l'ho capito. Qual è il tuo nome? - domando impaziente e scocciata.
- Perdonatemi, non ho avuto modo di presentarmi – dice, poi chiude gli occhi e accarezza il bracciolo del divano di pelle, si alza in piedi e mi guarda negli occhi per qualche secondo, inginocchiandosi di colpo.
- Edgar. Il mio nome è Edgar Wahren, comandante della prima armata di Draconem, per servirvi e proteggervi.
Solleva lo sguardo e mi fissa immobile, finché non lo esorto ad alzarsi.
Mi scappa una risata isterica, ma la sua espressione non cambia: è serio. Non l'ho ancora visto fare un sorriso, neanche quando Happy lo ha ispezionato teneramente come solo un coniglio sa fare.
- Signorina...
- Chiamami Hope, per favore, non sopporto essere chiamata con il mio cognome – lo interrompo.
- Perdonatemi, signorina Hope... - dice sospirando e continuando a fissarmi negli occhi.
Tentando di non farmi abbindolare, mi allontano dal divano lasciandomelo alle spalle insieme al tavolo da pranzo e raggiungendo la cucina alla quale mi appoggio con la schiena, solo dopo aver riposto il coltello che avevo portato fino in camera al momento della doccia.
- Dimmi, che cosa vuoi da me? Da cosa dovresti proteggermi? Insomma, fammi capire qualcosa. Perdonami in caso tu stia dicendo la verità, ma mi sembrano tutte cavolate quelle che dici. Per quanto mi riguarda, potresti essere un maniaco che tenta di fregarmi – dico sbraitando e lo fisso nel tentativo di captare anche la più impercettibile reazione.
Niente. Resta impassibile e comincia a spiegarmi.
- La storia è lunga, signorina, ma farò del mio meglio per presentarvela in breve. Sono Edgar Wahren, comandante della prima armata a protezione di Draconem, un luogo popolato da esseri come voi e me, in cui l'equilibrio è regolato dai draghi, come avrete potuto intuire dal nome. Draconiani e draghi hanno sempre vissuto in armonia fra loro sin dai tempi più antichi, ma cinque anni fa apparve una creatura malvagia che noi chiamiamo Nigradraco, un essere molto simile a un drago, ma allo stesso tempo altrettanto differente: non ha squame a ricoprirne le carni e possiede una pelle liscia, dura come la roccia e nera come la pece – spiega prendendo un lungo respiro prima di ricominciare, ma lo interrompo prima che ci riesca.
- Edgar, o chiunque tu sia, mi hai preso per una sciocca? Come puoi soltanto immaginare che io possa crederti, i draghi non esistono; pensi di essere nel Medioevo?
- Ventitré gennaio millenovecentottantacinque, opera centoventisette. Vi dice qualcosa questa frase?
La sua voce è più bassa e profonda, mentre pronuncia queste parole e un velo di tristezza gli oscura il volto. Resto in silenzio fissando il comandante ripensando a ciò che ho appena ascoltato e al fatto che conosco molto bene ciò a cui si sta riferendo.
- Prosegui - lo esorto restando immobile.
- Come vi dicevo, il drago oscuro è comparso cinque anni fa, qualche giorno dopo rispetto alla data che vi ho appena rivelato. Le scaglie del Nigradraco non brillano come quelle di un drago, ma sono spente e buie, mentre la sua figura si muove di notte, quando gli altri draghi volano a rifugiarsi nelle più buie delle caverne. Questo essere malvagio fa ingenti stragi decimando i villaggi che sono invece protetti dai draghi delle classi più basse. Purtroppo, non è solo ad attaccare il mio regno perché con lui si sono schierati i Nequam, una minoranza che lotta per la supremazia e il possesso dei draghi per rubarne la linfa vitale. Nequam e Nigradraco insieme sono inarrestabili e mirano all'estinzione dei draghi e alla nascita di un nuovo popolo magico e potente.
Sono esterrefatta, sembrano tutte fandonie, ma devo credergli, mi sta dicendo la verità per quanto assurda essa possa essere. La data e l'opera che ha pronunciato fanno parte del mio passato e nessuno le conosce eccetto me; poi Happy si fida di lui e questo mi fa pensare che forse questo tizio mi abbia già incontrata, forse anch'io ho già avuto a che fare con lui in passato, ma non ho memoria di una persona così bizzarra.
- E dimmi, questo Nigradraco, che interesse avrebbe nell'aiutare i Nequam e da chi stai cercando di proteggermi? - domando incuriosita.
- Il drago malvagio invidia le squame brillanti e sgargianti dei draghi, sa di essere diverso. La sua pelle non è lucente e a scaglie, ma viscida, spenta e allo stesso tempo dura e coriacea, così i Nequam gli hanno promesso l'estinzione dei draghi, lasciando che il Nigradraco sia l'unico a regnare e a tenere in pugno le sorti di una Draconem ormai irriconoscibile. Signorina Hope, ho il compito di proteggervi dai Nequam; vi hanno trovata e siete in pericolo, – dice avvolgendomi una mano con le sue, poi conclude - dobbiamo andare.
Spiazzata dalla sua ultima frase rispondo senza pensare bene alle parole:
- Edgar, ma cosa c'entro io? Non faccio parte del tuo regno, che tra l'altro non ho capito neanche dove sia. Non ho fatto nulla di male, sono una persona qualunque, vivo la mia vita...
Inizio a balbettare e non so più come concludere: oddio, sto diventando pazza.
- Dovete fidarvi di me, tutto vi sarà chiaro al momento della partenza.
Mi fissa intensamente e finalmente riconosco il suo sguardo in quello che ho visto qualche sera fa.
I suoi occhi dorati, limpidi e brillanti, stavolta mi tranquillizzano.
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