VI

Inizio a essere stufa di questa storia: voglio sapere chi mi sta perseguitando, chi mi odia così tanto da sapere persino che ho traslocato. Oltre a Melissa e Gabriele, non sa ancora nessuno che ho cambiato casa.

Sono affranta ma allo stesso tempo arrabbiata e di certo non intendo passare sopra questo scempio come se nulla fosse. Furiosa, entro in casa, vado in cucina, prendo un panno e lo passo sotto il rubinetto lasciando che l'acqua lo inzuppi per bene; una volta strizzato il pezzo di stoffa, esco, chiudo il portone e inizio a strofinare con vigore.

Adesso basta, sono davvero stanca, non lascerò che qualcuno mi impedisca di vivere tranquillamente per una stupida macchia su un portone. Spero solo di beccarlo se ci riproverà, così lo prenderò a sberle.

Mentre sono immersa nei miei pensieri dettati dalla collera, una grande folata di vento mi investe e porta con sé un messaggio: "Non farlo", dice una voce calda e profonda.

- Vieni fuori se hai il coraggio! Perché ti diverti a perseguitarmi? Eh? Parla!

Nessuna risposta.

La macchia è andata via subito, forse era fresca. Ancora incredula e un po' spaventata dalla voce appena udita, entro in casa, chiudo come si deve il portone e salgo in camera.

Dalla finestra penetra con leggerezza la luce dell'alba che, come una ninnananna visiva, riesce a calmarmi lasciandomi addormentare dopo neanche dieci minuti.


Sono le tre del pomeriggio e stropiccio gli occhi per il risveglio. Mi piacerebbe dormire ancora, ma sento che è arrivato il momento di alzarsi, d'altronde oggi è una giornata bellissima e questo mi aiuterà ad accantonare le mie preoccupazioni per un po'.

Approfittando del clima primaverile, decido di montare una rete che ho comprato in ferramenta al fine di recintare il cancello; ho infatti deciso di lasciare libero Happy in giardino mentre sarò a casa, ma le sbarre di ferro sono troppo distanti l'una dall'altra e bisogna intervenire. A lavoro ultimato il mio coniglietto starà molto meglio all'aperto durante il giorno, mentre la notte lo lascerò dormire in casa.

A fine installazione, decido di cenare in giardino e Happy apprezza davvero molto la sua libertà vigilata: sfreccia come una furia e fa dei salti impressionanti; a volte si ferma a riposare sotto le fronde di qualche cespuglio, altre invece, si diverte a strappare qualche filo d'erba fresca e a divorarlo in pochi secondi.

Ancora presa dalla felicità incontenibile del mio animaletto, inizio a sparecchiare portando in casa le posate, l'acqua e metto a posto anche il piccolo tavolo pieghevole da giardino; lascio solo la sedia fuori, così da potermi godere ancora un po' questa magnifica serata e il venticello che mi scompiglia leggermente i capelli.

Trascorso un po' di tempo a disegnare figure nel cielo con l'aiuto delle stelle, decido di rientrare a lavare i piatti permettendo a Happy di giocare ancora per un po' fuori, impiegando diverso tempo nel pulire la cucina: lo faccio sapendo che lì fuori qualcuno con la coda a pompon sta scorrazzando da una parte all'altra indisturbatamente.

Esco per prendere la piccola peste in braccio, la accarezzo e la porto dentro. Happy è felice dello spazio verde a lui dedicato, ma si rifugia tranquillamente nella sua gabbietta perché quello è il suo posto sicuro sin da piccolo. Torno nuovamente in giardino e ripongo la sedia accanto al tavolo, che avevo messo da parte prima al riparo sotto il balcone della mia camera. Mi dirigo verso l'ingresso e, dopo aver dato un'ultima occhiata alle stelle, mi appresto a entrare in casa. Non ho molto sonno, data la sveglia fuori programma nel pomeriggio, ma mi sento comunque un po' spossata perciò immagino una serata di relax davanti alla tv sul mio nuovissimo ed elegantissimo divano in pelle nera.

Apro la porta e un'ombra mi travolge.

Cado a terra.

Un rumore assordante perfora le mie orecchie e l'istinto mi porta a coprirle con i palmi delle mani; mentre chiudo gli occhi, qualcosa mi afferra facendomi sentire letteralmente catapultata altrove. Sento la porta di casa aprirsi e richiudersi. Silenzio.

Apro gli occhi e mi tocco il viso: sto piangendo.

Sono seduta a terra con la schiena rivolta alla porta e davanti a me la luce del ballatoio illumina le scale che portano fino alla mia camera.

Il portone è così morbido e confortevole, così caldo. No. Non è legno quello che sento premermi sulla schiena.

Mi pulisco gli occhi e tento di asciugare le lacrime che mi offuscano la vista ed è solo in questo preciso istante che mi accorgo di avere quattro gambe. Ancora intontita e ignorando del tutto ciò che mi è accaduto nell'ultimo minuto, salgo con lo sguardo osservando con attenzione il mio corpo e noto un braccio che mi cinge la vita. Sento la schiena inarcarsi a intervalli e comincio a percepire i brividi che scaturiscono da un respiro ansioso che mi scalda il collo.

Qualcuno è seduto a terra dietro di me.

In preda al panico non riesco a proferire parola e resto immobile per qualche attimo, finché non mi si palesa nel cervello l'immagine di qualcuno che voglia farmi del male.

Improvvisamente raccolgo tutte le mie forze e, come una leonessa che balza sulla sua preda, mi alzo, o almeno è ciò che tento di fare, ma non ci riesco perché il braccio misterioso mi stringe più forte tirandomi indietro e una voce strozzata, calda e profonda si insinua nei miei pensieri accarezzandomi le orecchie.

- Non muoverti.

Cado nel terrore più totale dopo aver realizzato che c'è davvero qualcuno con me e che non sto vivendo un sogno o un incubo ma la realtà, vivida e concreta. La paura che mi investe e che si dirama lungo ogni fibra del mio corpo è quella che non permette di muovere neanche un muscolo e così vedo ciò che mi accade da spettatrice, come se la mia anima spirasse e si ponesse davanti al mio corpo.

L'individuo si protende in avanti e io scivolo all'indietro ormai inerme, cinge le mie spalle con il braccio che prima mi circondava la vita e infila l'altro sotto le mie ginocchia rese molli dal terrore; si alza con delicatezza lasciando che le sue spalle sorreggano il mio peso e si guarda intorno prima di iniziare a salire le scale che conducono alla mia camera. Il suo respiro torna normale, nonostante lo sforzo di portarmi in braccio. Non avendo la forza di incrociare lo sguardo di questo sconosciuto, resto con gli occhi socchiusi e abbandono il viso sul suo petto. Nella mia visuale tutto appare di un unico colore e sfumatura: nero.

Con la mano destra tasto i suoi abiti più vicini al mio viso e riesco a percepire che l'uomo veste di pelle, poi oso spostando le dita più su con lentezza infinita, impaurita da una sua eventuale reazione e cercando, pertanto, di non farmi scoprire. Qualcosa di morbido e soffice copre il collo dell'individuo che ha ormai quasi raggiunto la mia stanza: velluto. La mia esplorazione e il mio tentativo di acquisire più informazioni possibili sul mio presunto carnefice finiscono qui perché vengo delicatamente adagiata sul letto della mia camera.

Che cosa vuole farmi?

L'uomo si dirige ai piedi del mio giaciglio, vicino alla soglia della stanza e resta di spalle, permettendomi di sbirciare la sua figura nella speranza di non essere scoperta. Ciò che non posso fare a meno di notare sono le spalle larghe che gli hanno permesso di portarmi fin quassù e un mantello nero che copre le sue forme fino ai piedi; i capelli sono castani e lunghi, tanto da arrivargli al collo, inoltre, allacciato a sinistra della cinta, spicca il lungo fodero di una spada che completa la mia visione. È un uomo alto.

Prima che io possa prendere anche la più pazza ma giustificata delle decisioni, come quella di mettermi a urlare, l'individuo dal vestiario sospetto si gira e torna al mio fianco. Con fermezza e decisione si inchina poggiando il ginocchio destro a terra per poi afferrare con la mano destra la mia, mentre tiene il braccio sinistro sul ginocchio alzato.

- Non dovete avere paura di me, signorina Leone – mi rassicura, tenendo lo sguardo basso per non incrociare il mio.

La frase che pronuncia non mi tranquillizza affatto poiché trovo agghiacciante che uno sconosciuto sappia il mio cognome; sono sempre stata una persona piuttosto prevenuta e discreta; pertanto, non ho mai scritto il mio nominativo sul citofono del mio vecchio appartamento né tanto meno sono riuscita a farlo in questa casa, in cui ho trascorso a malapena una notte.

- Sono qui per proteggervi, dovete fidarvi di me - pronuncia, lasciando che la sua voce calda e profonda sia come un balsamo per le mie orecchie e stranamente cado in un sonno profondo, come se avessi subito un incantesimo.


Un essere ripugnante mi insegue e mi blocca, poi altre quattro creature simili alla prima mi afferrano mani e piedi. Cerco disperatamente di divincolarmi ma sono immobilizzata e i miei aguzzini senza faccia vogliono farmi a pezzi: chi mi tira una gamba, chi vuole staccarmi un braccio. Ma il più spaventoso è lui: quello che mi infila le dita in bocca e mi stacca la lingua.

Mi sveglio di soprassalto e mi ritrovo madida di sudore nel mio letto: era un incubo.

Mi metto a sedere, accendo l'abat-jour e analizzo ciò che mi circonda spaventata.

L'individuo misterioso non c'è più.

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