La sognatrice
La ragazza era sdraiata sul parquet freddo, luccicante, del salone. I capelli di fiamma viva rimediavano all’asetticità bianca del pavimento, distante con il suo minimalismo dal sonno eterno di un’anima da sempre in pena, per tutta la stringata vita in cerca di una realtà simile ai suoi sogni, di cui erano gravide le pillole che aveva ingerito la fanciulla. Le apparentemente innocue pasticche erano ammucchiate vicino alla mano della giovane, abbandonata sul legno, come quella di Biancaneve del film Disney dopo il suo avvelenamento. Perle parevano: perle di una collana invisibile nel reale, visibile nella fantasia. Perle inghiottite con sofferenza e fatte rotolare nella gola con la spintarella dell’acqua nei giorni buoni, o vino bianco nei giorni cattivi. Perle che avevano cucito l’arazzo dei mondi ultraterreni, e che in quel pomeriggio d’autunno del 2022 avevano ucciso la vittima-carnefice che le aveva acquistate in farmacia. La loro scatola colorata era stata lasciata in cucina: era abbandonata sul tavolo. Sulla plastica era stato scritto con i pastelli a chi fosse entrato di buttarla. Di bruciarla da qualche parte. Però nessuno si era azzardato a varcare la soglia. Peccato. La sognatrice aveva usufruito dei pastelli per niente. Prima delle pillole(perle) aveva sempre fatto le cose per niente. Studiare per sei ore senza pausa, scrivere poesie e descrizioni di sogni, fuggire questa società, scappare da casa o da scuola con la carrozza e l’amante fittizi, indossare una maschera perturbante di trasgressione, imprimerla fino a far sanguinare il volto e il cuore triste, sfuggente, interpretando così la bad girl di un romanzetto da spiaggia. Tutto questo era stato fatto per niente, trascinato nel pozzo nero della morte. Chi era stata fino a quel momento, la sognatrice, se aveva mentito a sé stessa per tutto quel tempo? C’era una versione trasparente e non migliore di sé? C’era stata? Si sì, eppure nessuno l’aveva compresa, l’avevano guardata con disgusto, come se fosse un fantasma pazzo. Chi è questa? Che vuole da noi, dalla massa che aspira alla produttività e alla felicità? Che si conformi alle nostre leggi e si decida a usare i filtri con cui colorare lo sfondo del cellulare. Se mette la scritta aesthetic, tanto meglio. Così non abbiamo una presenza scomoda nella nostra esistenza. Era stato uno spettro protetto da una felpa oversize, nera, in contrasto con il pallore malato del suo viso. Il viso. Era il viso di una bambola di porcellana gettata nella cantina, per farla impolverare ben bene. Bianchissimo, una luce a neon impressa sulle guance e le labbra cadaveriche. Occhi neri senza luce, due tunnel che ti potevano condurre nell’immaginazione o nella malinconia. La sognatrice non era un essere umano, avevano detto gli idioti. O pareva la parodia di un vampiro, o qualcos’altro. Certamente, non era un pezzo di carne con due gambe e due braccia. Un pezzo di carne sotterra la sua vera anima, e si impegna a compiacere il Sistema misterioso, che ti vuole figo fino all’età adulta. La carne non trova un modo per scappare, non ne ha la possibilità. E allora affronta la vita indossando gli abiti migliori, pettinandosi i capelli e truccandosi pesantemente, fino a diventare il clown del pianeta terra. La sognatrice non è carne, è uno spettro che pochi sopportano, e a quei pochi succhia il desiderio di salvarla dalla perdizione, li trasforma in amici incapaci di porre paletti e li lascia in lacrime. Soli. Soli con il loro senso di colpa, che spinge al rimpianto perenne, circolare come l’infinito. Insieme a Rimpianto vivranno fino a che i loro capelli si sbiancheranno, avranno le rughe e andranno nell’Aldilà. Lo Sveglio era uno di loro, un amico della sognatrice, di quattro o cinque anni più grande, con il quale aveva schiuso le porte dei suoi segreti, sicura che non l’avrebbe lasciata. Prima di morire. Prima che la voce molle del sogno l’avesse attirata. Prima di finire sdraiata sul pavimento bianco di casa sua. Prima della tragedia. Prima di……tutto. Era stato il solo ad essere per lei reale, perché le persone, i palazzi di marmo annerito, le foglie secche, la frustrazione di tutti non erano reali. L’umanità non era reale. Era troppo disgustosa per essere reale. Come poteva essere credibile, nello squallore e nella cattiveria? Erano reali i sogni. Sì, erano reali. Solo loro potevano generare verità. I sogni non mentivano mai, mostravano sempre la magia delle cose, l’amore vero e l’amicizia. Le figure laggiù erano buone e cattive. Affascinavano come la melodia di un flauto, ora cristallina, ora scura. Sebbene fossero fantasie, percepivano la sofferenza, udendone la vibrazione impercettibile. Avvertivano il profumo dei gelsomini e comprendevano i segreti della Bellezza. La Sognatrice e lo Sveglio immaginavano che la Bellezza fosse una donna sensuale, seminuda, con capelli ondulati che ricadevano sulle spalle e gli occhi trasognati. La si doveva rispettare, dato che cercava i segni del futuro per gli umani, e il suo lato immacolato. A lei non piaceva gli ossequi. Troppo falsi, troppo irreali. Si spettava il silenzio da loro. Mai parlare, mai ridere sguaiatamente, altrimenti la Bellezza si sarebbe dissolta insieme agli incantesimi. Senza la Sognatrice, non c’era più Bellezza, non più fiori, né amore. Ogni frammento dello specchio interiore si era sparso, senza alcuna direzione. Ad un tratto la porta si aprì, e lo Sveglio si ritrovò tra le lacrime e i pensieri.
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