La soglia tra i mondi
Non c'è niente di misterioso per un marinaio se non il mare stesso, che è padrone della sua esistenza e imperscrutabile come il destino.
Mikkel lo sapeva bene, l'aveva sempre saputo, da quando a quindici anni suo padre l'aveva portato con sé per la prima volta. Fare da guida alle spedizioni verso la Groenlandia era una grande responsabilità: decine di vite dipendevano da lui, dalla sua conoscenza del mare, ma soprattutto del ghiaccio.
Mikkel sapeva quali indicazioni dare al capitano con largo anticipo, gli bastava intercettare un ghiacciaio, scrutarne il colore in lontananza per calcolare la giusta rotta e portare l'equipaggio e gli scienziati a destinazione.
***
Charo riavvolse la cima della sua imbarcazione per lasciare il porticciolo e far provare l'emozione di una nuotata al largo alla coppia che l'aveva assunta meno di un'ora prima.
La pelle scura splendeva come onice sullo scafo bianco, il sorriso sempre cordiale e gli occhi marroni fissi sulla distesa azzurra, pronta ad accoglierla come ogni giorno.
Un veloce riepilogo delle regole sulla sicurezza in mare e poi la schiuma delle onde si confuse dietro di loro, fino a disperdersi lontana.
L'Atlantico li aspettava.
***
Chepi osservava la costa del golfo che incurvava alla sua sinistra come fosse la falce di una luna crescente. La sabbia, resa scura dalla neve, saliva rapidamente verso dirupi inaccessibili anche al più avventuriero del villaggio.
Salire non aveva senso. Il futuro era davanti a sé, verso il mare, il grande mare freddo dell'Alaska, agitato dalla tempesta.
Si avviò spedita, calpestando la passerella di legno traballante, per salire a bordo del suo peschereccio. Un sorriso malinconico le piegò le labbra screpolate: un tempo avrebbe fatto un agile balzo; ora gli anni la costringevano a cauti movimenti.
Strinse intorno al collo la pelliccia del cappuccio e azionò il motore, sentendone a malapena il rombo.
***
Elimu remava metodicamente, spostando l'acqua davanti a sé; dava le spalle all'oceano, ma non lo temeva. Lo conosceva e lo rispettava.
Sapeva ascoltarlo, sapeva comprenderlo.
Il sogno di quella notte perciò l'aveva spinto a intraprendere quel viaggio verso il largo, a discapito dei timori della sua gente: l'incontro di due mari, una voce, il richiamo dell'acqua, un volto, e nulla più.
L'oceano gli aveva parlato e lui doveva capire.
Il suono ritmico dei remi affondati nella massa d'acqua, gli spruzzi sulle braccia e sul viso, il calore del sole sulla pelle scura.
La Madre Terra era in pace nell'eterno divenire.
Elimu era al sicuro.
***
L'aria era fredda, il cielo grigio, uno scenario che Mikkel ben conosceva, il vento però li stava facendo deviare a tribordo; continuando su quella rotta avrebbero presto raggiunto il Mar Baltico. La spedizione invece sperava di solcare solamente le gelide acque del Mare del Nord.
Il capitano gli si avvicinò ed espresse le sue perplessità, avrebbero fatto tardi sulla tabella di marcia.
Mikkel scrutò ancora la massa liquida in cui si muovevano e fece i suoi calcoli: «Ha ragione, capitano, la corrente ci sta trascinando più lontano, ma se riusciamo a passare rapidamente il punto di confluenza delle acque, presto punteremo nuovamente verso la Groenlandia.»
Il capitano lo fissò preoccupato: «La zona in cui i due mari si incontrano?»
La guida annuì: «Le correnti saranno forti, ma possiamo farcela.»
***
La costa delle Bahamas era ormai lontana e Charo ricordò ai suoi ospiti ciò che gli aveva promesso: «Bene, signori, visto che il tempo oggi è particolarmente favorevole, mi sono permessa di spingermi oltre le solite distanze. Tra poco infatti potrete ammirare uno spettacolo quasi unico al mondo.»
L'uomo e la donna pendevano dalle sue labbra, fremendo con le gambe e stringendosi le mani eccitati.
«Ci siamo quasi... ecco... si intravede già qualcosa...»
I clienti si sporsero in avanti, piegando il busto oltre il parapetto: due imponenti masse d'acqua si andavano pian piano delineando, scontrandosi l'una sull'altra, come se una fosse mare e l'altra fosse terra e viceversa.
I colori, verde da una parte e azzurro dall'altro, si mescolavano scomparendo in un bianco inaspettato.
Scogli appuntiti si issavano bitorzoluti, quasi a voler arginare l'impeto dell'oceano.
«Ma come...?» provò a chiedere la donna.
Charo sorrise e spiegò: «C'è una specie di ponte naturale, creato dalle rocce, che separa il Mare dei Caraibi e allo stesso tempo lo unisce.»
«È meraviglioso» si lasciò sfuggire l'uomo sgranando gli occhi.
«Sì» ammise Charo «lo è.»
***
L'acqua era dappertutto: sotto di lei, scendeva dal cielo, entrava con le onde, sferzata dal vento.
Chepi provò di nuovo a tirare la rete in mare, ma questa si attorcigliò facendola imprecare nuovamente. E di nuovo afferrò la manovella per avvolgerla, ritirarla in barca.
Non poteva continuare così; non avrebbe pescato nulla quel giorno.
Decise di rientrare al porto, ma la corrente era più forte di quanto era abituata ad affrontare in quelle zone. Presto si ritrovò a faticare contro lo stesso mare che le aveva sempre dato di che sopravvivere.
Il golfo era lontano, i ghiacciai spariti all'orizzonte, finché non si ritrovò a metà tra due mari, o almeno così le sembrò: l'acqua turchese del golfo contrastava nettamente con quella scura dell'Oceano Pacifico.
Le parve di stare sospesa tra due mondi, con la forza della Terra che la chiamava da una parte e la mutevolezza del Cielo dall'altra.
Credette di sentire una voce, cupa, provenire dagli abissi: «Vieni...» e poi un'altra, stridula, un urlo quasi, calare dal cielo come un avvertimento: «Fuggi!»
***
Elimu smise di remare solo quando raggiunse il confine: la soglia tra questo e l'altro mondo, si diceva; il punto in cui il Mar di Tasmania e l'Oceano Pacifico mescolavano le loro acque senza toccarsi.
Impossibile, si diceva, eppure eccola lì, quella lunga e immensa striscia di schiuma nella quale confluivano acque calde da una parte e fredde dall'altra.
Il luogo in cui nasce la vita, in cui tutto ha origine, in cui bene e male si annullano e tutto è perfetto.
Elimu chiuse gli occhi e si mise in ascolto, in attesa che il mare gli parlasse.
Invece accadde ciò che non era mai accaduto: proprio lì, nel punto in cui tutto è movimento, le acque si fermarono, ogni suono cessò, ogni alito di vento calò.
Il ragazzo riaprì gli occhi per constatare ciò che aveva percepito con le orecchie: tutto era immobile, non una goccia d'acqua si scontrò con la sua barca.
Era come se il tempo stesso si fosse fermato.
***
Mikkel fissò il mare sotto di loro, nulla più si muoveva, i suoni erano scomparsi.
L'equipaggio mormorava bestemmie e preghiere indistintamente.
«Ma come...?» chiese di nuovo la donna a Charo, solo che stavolta voleva capire perché le onde erano scomparse.
«È terribile» confermò il compagno.
Charo lasciò saettare lo sguardo tutt'attorno, senza trovare alcun motivo per contraddire questa sua impressione.
E d'improvviso tutto cessò. Chepi smise di ripararsi il viso dalla pioggia, le sue orecchie si riposarono dal rumore della tempesta, ogni cosa era immobile, ogni singola goccia d'acqua smise di ondeggiare.
La barca sembrava uno zircone incastonato in una roccia.
«Vieni» le ordinò di nuovo la voce, ma nessuno le disse ancora di fuggire.
«Vieni» ripeté e lentamente, come la pelle di un tamburo che vibra, piccole onde incresparono quella superficie solida che era diventato il mare.
Lungo la linea di demarcazione dei due mari si crearono creste e avvallamenti.
Elimu osservò le acque riprendere a muoversi, senza però riconoscerne la direzione; le onde sembravano formare una figura.
«Vieni» La voce continuava a chiamarlo, imperiosa, esigente, finché la figura si trasformò in volto e il volto mosse le labbra e le labbra urlarono il loro ordine sputando acqua e sale: «Vieni!»
Le onde si alzarono per oltre trenta metri, il volto liquido aveva occhi vuoti di pupille ma pieni di orrore. Le fauci si spalancarono come cavalloni che avvolsero la nave da entrambi i lati.
La fuga dell'equipaggio era inutile e lo scetticismo degli scienziati ancor meno.
Mikkel osservò la massa d'acqua calargli addosso come la scure di un boia, con l'accettazione della rassegnazione.
Charo era inorridita e affascinata allo stesso tempo: non riusciva a staccare gli occhi da quel volto gigantesco che si innalzava dal mare.
«Vieni!» urlava, ma a lei sembrava un invito, tanto che fece addirittura un passo avanti, allungando una mano.
Le grida isteriche della donna alle sue spalle la infastidivano e l'inutile ciarlare dell'uomo la spingeva ancor di più verso quello strano essere sorto dagli abissi, o forse fatto di abissi.
«Eccomi!» urlò anche lei, sperando di essere ascoltata.
Il volto marino parve mostrarle un ghigno prima di abbattersi sulla sua imbarcazione e inghiottire tutti.
«Non ti renderò le cose facili!» urlò Chepi al vento.
E quello rispose, sollevando il mare sulla sua testa e facendolo piombare sulla sua vita.
«Chi sei?» provò a chiedere Elimu «Cosa vuoi?»
Ma lo strano essere di acqua lo ignorò, mulinò attorno alla sua barchetta, la alzò in aria e la scaraventò sulla soglia tra questo e l'altro mondo.
Dopo che il volto fu sazio, nulla rimase della sua distruzione, del suo passaggio, della sua esistenza. In attesa che altri quattro individui conducessero le loro imbarcazioni alle soglie tra i mondi nello stesso momento, tornò a inabissarsi e a fondersi con le correnti.
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