La Serenissima


Sono così tanti anni che non veste panni femminili che con la veste e il mantello svolazzanti gli sembra quasi di aver aperto le ali davanti a tutti.

È un corvo, quella notte. L'abito è nero e pieno di piegoline sottilissime, e la stoffa è così leggera che gli accarezza la pelle come fosse fatta di piume. Non importa se buona creanza vorrebbe una sottoveste e un corsetto, perché non ha voglia di sentirsi costretto in alcun modo, e anche se a Febbraio a Venezia fa ancora freddo è così pieno di fuoco quella notte quasi da non avvertirlo. E così appare essere chiunque altro attorno a lui: grida e risate e schiamazzi, gente ubriaca che balla per strada, gente allegra che suona flauti e liuti e violini e tamburi.

Indossa una maschera con un lunghissimo becco di corvo, nera come il suo vestito, ma screziata d'oro. E d'oro sono gli ornamenti che gli raccolgono i capelli, lunghissimi, una cascata di onde rosso Tiziano, così sfacciate e lucenti da destare l'invidia di tutte le donne che incontra. Da dietro la maschera bordata di lunghe penne color onice le vede parlottare dietro i ventagli che coprono loro le bocche, a celare un disappunto che solletica le sue orecchie e gli formicola sulla nuca.

E gli uomini... Tutti lo guardano, ignari della sua natura fluida, doppia come quella di un serpente a due teste. Tutti vorrebbero sapere chi si cela sotto a quegli abiti tanto scandalosi, e mentre cammina rapido sente più mani cercare di ghermirlo. Le lascerebbe fare, e si farebbe spingere su di un muro e baciare e penetrare e così godrebbe di quella notte come molti stanno facendo già, nella Calle Zane. Qualcuno ha provato a tirargli via la veste. Un'altra lo ha guardato e si è scoperta il seno, invitandolo ugualmente con occhi di sfida, nonostante la sua maschera femminile.


Il carnevale a Venezia è sempre grandioso, e il giovedì grasso è un giorno speciale.

Sono già ore che la folla ha riempito le strade. Non ci sono solo veneziani, piuttosto la gente viene anche dai paesi della laguna e dell'entroterra, e qualcuno è addirittura straniero, come lui. L'accento del posto è buffo e cantilenante. Ma lui, in quanto demone, conosce tutte le lingue e tutti i dialetti. Struscia sui muri, Crowley, come una serpe, si nasconde nelle ombre. Corpi avvinghiati e gemiti di piacere, e lui gli sguscia accanto, lasciandoli alle spalle quando finalmente arriva al Campo San Stin. Qui c'è molta più gente che balla al suono di un'orchestrina sgangherata. Le luci delle fiaccole ai margini delle strade sono più forti del solito, e si vedono tanti colori sgargianti: rosso cinabro, giallo di Cadmio, azzurro oltremare. E poi ancora mille sfumature di verde e colori di terre. Cotoni e velluti, sete lisce o damascate, a volte traslucide e brillanti come se fossero intessuta di metalli preziosi.

Ma tra tutti, Crowley cerca del bianco. Non la biacca, no, che quella ingiallisce nel tempo. Lui vuole quello di titanio, candido e durevole, luminescente.


Salta su una gondola che pare abbandonata. Se pur non lo fosse, questo è solo un prestito. Il Rio de le do Torri è pieno di finestre da cui si sente il vociare della gente che abita in quelle case, nascoste alla sua vista ma non all'immaginazione. Raccoglie per caso brandelli di conversazioni.

"Quella scarabasa dell'Elisa se xe divertì a mostrarti le tète!"

"Ma te si' matta, la xe maridada co' mastro Orazio!"

"No par questo, no la xe 'na putana, imbecil!"


Crowley ridacchia. Chissà se questa Elisa aveva delle belle tette, soprattutto. Che valessero la pena di una litigata.

Sente altre parole, più in lontananza, ma non ci fa più caso. Ha voglia di tornare in mezzo alla gente, nel centro della festa. Scivola sull'acqua scura e maleodorante, con un lieve sciabordio quando l'imbarcazione struscia lungo gli strettissimi argini.

Deve piegare verso sud, o perderà troppo tempo. Dopo un po' lascia la gondola legata a uno dei pali di un canaletto secondario. Sale sopra al Ponte Storto e cammina velocemente fino alla Rugheta del Ravano. Qui è davvero molto affollato. Così tanto che deve spingersi quasi a forza nella ressa.

E quando finalmente arriva al campo di Rialto lo vede, e il cuore gli salta in gola, nonostante lo stesse già cercando da lungo tempo. Non riesce a comandarlo, anche dopo migliaia di anni. Anzi, pare solo peggiorare, e mangiare via via quelle parti di sé che lo tenevano legato all'inferno: gli sembra ormai di non appartenergli più, quasi come un ricordo sbiadito, quasi come le sue esperienze durante la creazione di quell'Universo, innumerevoli anni prima.

Colui che cercava ha una maschera d'oro con dei dettagli dipinti che non riesce a distinguere da quella distanza. Il mantello è così bianco e candido da sembrare luminescente nonostante sia quasi notte. È dall'altra parte della piazza, e lo vede andare verso il ponte che attraversa il Canal Grande. Crowley corre, quasi. Perché ha voglia di vederlo. Di condividere con lui quella notte.


Non è una notte speciale, non davvero. È solo un carnevale. Non è nemmeno un anno speciale, forse non ricorda nemmeno di preciso quale sia.

(è il settecento, questo lo sa. La gente è vestita spesso in modo ridicolo, a volte maschera la puzza del proprio corpo con degli orribili profumi fin troppo intensi, che gli fanno l'effetto di uno schiaffo in pieno viso. Ma lui conosce quello di Aziraphale: lo ricorda con ogni fibra del suo essere. Non lo perderà, come un animale da preda che ha puntato la sua vittima)

Crowley non ha alcuna giustificazione per essere a lì Venezia, in quel giovedì grasso del 1700 e qualcosa, perché non ha nemmeno una piccolissima tentazione da compiere (e che lui sappia, nemmeno Aziraphale ha qualcuno da benedire). Semplicemente spesso gli succede di sentirsi attirato da un luogo o da un evento, e nello stesso posto, a volte con stupore e segretamente sempre con sollievo, ritrova l'angelo. Che sia o meno dovuto all'Accordo, spesso passano del tempo insieme per il puro piacere di farlo - per controllare il nemico, dice a sé stesso Crowley - ma non è più la verità da tempo.

Perché per Crowley, Aziraphale è come il nord magnetico per un ago della bussola. Perché per Aziraphale, anche se Crowley ancora non lo sa, lui è come il fuoco per un viaggiatore in una notte buia, quando ne percepisce la presenza.

Il Ponte di Rialto gli offre la vista di una Venezia che si riflette nell'acqua del canale, distorta dalle piccole onde alzate da una brezza leggera. Le luci delle torce sugli argini del canale sono tremolanti come lucciole nel chiarore più freddo della luna piena, splendida e distante. Venezia è bella come una nobildonna, ricca e sussiegosa, fiera del proprio rango, altezzosa come una principessa. Crowley dovrebbe odiarla, un po' come odia tutto quello che rappresenta l'ordine costituito, ma Venezia non è solo quello. È anche potente e testarda, a volte crudele, a volte sporca e vile, a volte sguaiata come una prostituta. Ed è quel miscuglio a incantarlo.

Si è fermato troppo a rimuginare su quei pensieri, e si ferma a chiudere gli occhi per ritrovare il profumo di Aziraphale. Lo trova in mezzo all'odore del vino e delle spezie, del vomito di un ubriaco e dell'acqua sporca e immobile dei canali più piccoli.

Lo rincorre per qualche centinaio di metri sulle rive del Canal grande, e poi lo perde di nuovo. Torna sui suoi passi, e si infila in una corte strettissima e totalmente buia. È deserta e il vociare gli arriva attutito e distante e quasi lo rimpiange: non è luogo dove sostare a lungo, e si affretta a tornare in zone più affollate. Non ha voglia di perdere quel corpo, e non ha voglia di tagliare la gola a nessuno.

Scivola in silenzio tra i campi e i vicoli, attraversa un paio di ponti, e sbuca, dopo aver passato una corte coperta, nella grande Piazza di San Marco. Ah, lì c'è la vera festa: sembra quasi di essere giù all'inferno, magari tra il secondo e il terzo cerchio. L'atmosfera è così intrisa di desiderio e di follia da fargli rizzare tutti i peli del corpo. Se solo fosse ancora vivo Hieronymus, la vista della piazza quella notte gli avrebbe fornito materiale per anni.

(anche se, a dire il vero, Crowley lo aveva portato a fare un paio di giri nelle bolge, quando era ancora vivo, così per dargli un po' di ispirazione per i suoi dipinti)

(Dagon aveva sospettato qualcosa all'epoca, ma non era mai arrivata a scoprirlo)


Lo cerca a lungo, facendosi strada tra i canti e le risa. Rifiuta di danzare con quelli che lo invitano, si schernisce senza parlare. Deve solo trovare Aziraphale, non conta nessun altro. Lo vede per un attimo, luminoso in mezzo alla folla, e poi lo perde. Lo ritrova più avanti, e lo perde di nuovo.

A un tratto tutto si zittisce attorno a lui, e resta solo un vago brusio. Sono tutti con il naso verso l'alto, e così anche lui volge lo sguardo al cielo. Su di una fune tesa tra la torre campanaria alle sue spalle e la balconata del Palazzo Ducale un ragazzo cammina con un lungo bilanciere tra le mani. Più volte sembra essere sul punto di cadere, e più volte si riprende all'ultimo come per miracolo. La folla grida e strepita, quasi come se ognuno dei presenti fosse quel ragazzo che rischia di morire per una bravata. "Il Volo dell'Angelo", lo chiamano. A Crowley sembra un'idiozia che solo qualcuno dei suoi compari demoni potrebbe inventare, per poi costringere un poveraccio a farla, ma gli umani sembrano amare quelle sciocchezze. Dopo un tempo che pare infinito, il giovane arriva alla fine del percorso, e con un balzo salta di fronte al Doge, che applaude deliziato. La folla applaude di rimando.

Crowley riesce a scorgere Aziraphale. È appoggiato con la schiena su di una delle ampie colonne del porticato dinnanzi alla basilica. Lo vede mentre chiude gli occhi e sospira vistosamente. Gli va incontro, ma lui non da segno di averlo riconosciuto. Gli volta le spalle e si allontana, ma stavolta Crowley è determinato a raggiungerlo. Lo segue a distanza, senza perderlo più di vista, fin dentro a un palazzo privato, ormai nella zona dell'Arsenale. Scaccia con un gesto della mano il servitore che aveva tentato di fermarlo: lo ha rincorso tutta la notte, non sarà un omuncolo qualsiasi a impedirgli di parlare con lui.


Aziraphale è seduto sulla cornice di una finestra che da su un giardino, e lo guarda mentre gli si avvicina. Non c'è stupore nei suoi occhi, ma una dolce arrendevolezza. Crowley si toglie la maschera. Quella di Aziraphale è poggiata per terra vicino ai suoi piedi.

"Mi hai trovato, alla fine" dice l'angelo con un sorriso mesto.

"Ti eri accorto di me?" gli chiede, con un velo di tristezza nella voce.

Aveva sperato che fosse un piacere per entrambi quello di vedersi.

"Ti ho visto ore fa. Eri insolente e fiammeggiante sul Ponte di Rialto. Non è possibile che qualcun altro abbia quella massa sfacciata di chiome rosse" sorride ancora.

"Perché non mi hai aspettato?"

"Questo era un mio piccolo segreto. Vengo qui ogni anno, se riesco".


La gelosia per un attimo gli stringe il cuore in una morsa. Non conosce ogni suo spostamento, certo, ma pensava di essere l'unico con cui Aziraphale avesse desiderio di festeggiare qualcosa.

Aziraphale deve aver visto qualcosa passare sul suo viso, perché alza una mano e continua a parlare.


"Il Volo dell'Angelo, sai. Io... non voglio che qualcuno muoia per una bravata. Controllo che nessuno cada. Non volevo che mi giudicassi sciocco".

A Crowley viene da ridere e da piangere contemporaneamente, ma non riesce a fare nessuna delle due cose. Rimane muto di sollievo e di tenerezza per il piccolo segreto che gli era stato nascosto, e allo stesso tempo combatte quei sentimenti tanto indegni di un demone importante come lui. Non dovrebbe provare certe cose. Eppure sono lì, infuriano dentro di lui. Non lo sopporta.

"Ed infatti lo sei. Sono solo umani" dice infine.

Aziraphale scuote la testa e gli tende una mano per farlo avvicinare. Crowley gli si siede accanto e per un po' restano in silenzio, ma quando l'angelo fa per dirgli qualcosa, Crowley scatta nervoso e poi salta dall'altra parte, cercando di mettere della distanza tra di loro. Non vuole cedere, per qualche ragione. Aziraphale lo prende per la vita.

"Sciocco demone" dice.


Gli appoggia una mano su una guancia, arrossata di emozioni in tumulto. Crowley gliela la prende con l'intenzione di scansarsi, ma lo guarda per un attimo di troppo.

I loro occhi, azzurro cupo come un cielo tempestoso e gialli come l'oro più puro, si incontrano.

Aziraphale posa un bacio sulle sue labbra tremanti.


Nel giardino che volge a est sta quasi sorgendo il sole.


***



Note: Il Volo dell'Angelo è una vecchia tradizione del Carnevale di Venezia, durata un paio di secoli, da metà cinquecento a metà settecento. Ogni anno funamboli, artisti di strada e perfino giovani ragazzi veneziani attraversavano la piazza dalla torre campanaria della basilica di San Marco fino alla balconata del Palazzo Ducale. Nel 1759 (esattamente un anno dopo rispetto a questa storia, nella mia idea), un acrobata cadde e morì durante l'esibizione. Forse quell'anno Aziraphale non era riuscito ad andare.



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