86. E tutto sarà cenere per volere del fato
La nuova eternità giungerà alla fine
Sia non poteva credere a quello che le era accaduto. Le sue mani, le sue braccia, il suo corpo. Ogni cosa bruciava. Ogni singola cellula del suo corpo aveva ricevuto la benedizione di suo padre e una gioia nuova, mai provata, le gonfiava il petto. Era selvaggia, feroce e primordiale. Le fiamme ruggivano attorno a lei e il fuoco cantava la sua nenia di brontolii. L'aria rovente che la circondava aveva rapito i suoi lunghi capelli neri in un ciclone e mentre si avvicinava al Palladio, quella maledetta statua assassina e traditrice, sentì montare dentro di sé il potere. Era questo che provavano i semidei della mitologia? Era questa l'inebriante emozione data dal potere?
Non era mai stata così forte, così grande, così bella. Non poteva guardarsi in viso, ma le fiamme che bruciavano tra le sue dita, come cuccioli vivaci, non mentivano, non potevano: vedeva riflesso il suo potere sui suoi fratelli. Tutti loro stavano bruciando della stessa brillante luce del dono di quel padre che non li aveva dimenticati neanche lì, rinchiusi in mura bianche come la morte. Per la prima volta da molti anni Sia si rivolse a se stessa con rispetto.
Li vedi? Li stai guardando? Loro sono come te. Li trovi bellissimi, vero? Pensa: anche tu ora sei così. Anche tu ora sembri una dea e stai bruciando. Le fiamme consumano il tuo ossigeno senza ucciderti. Sono le tue fidate bestie feroci. Sono i tuoi leoni. I tuoi lupi. Le tue amate fiere. Ascolta il loro richiamo, lo senti? Riesci a capire cosa dicono? Stanno implorando il permesso. Il tuo permesso. Ti chiedono umilmente, con affetto sconfinato, di lasciarle andare. Ti chiedono di scatenarle, di sciogliere il cappio con cui le tieni legate a te. Vogliono correre libere, compiendo un balzo sulla vittima, bruciarla fino all'osso. Glielo permetterai, Sia? Glielo lascerai fare?
Più le fiamme roboavano nelle sue orecchie, più la sua testa si elevava nell'estatica contemplazione della meraviglia della propria forza. Rob non le aveva mai parlato di quanto fosse deliziosa quella sensazione. Perché non l'aveva fatto? Avrebbe tanto voluto immaginarsi com'era stare tanto bene. E ora, incredibilmente, poteva viverlo. Il fuoco cantava per lei la melodia della combustione e per un secondo Sia fu quasi convinta a cedergli. Cosa sarebbe successo se avesse semplicemente chiuso gli occhi e aperto le braccia? Cosa avrebbe fatto quel suo docile ma ferocissimo animale? Avrebbe danzato in una colonna di fuoco o avrebbe divorato la stoffa, i capelli, la pelle di chiunque si fosse trovato sulla sua strada? Per un solo istante il pensiero di Sia corse a Callan e le fiamme elevarono un ululato di gioia.
Ma, poi, Rob parlò.
Distrutta dal nulla di un eroe mai nato
Se c'era una cosa che Robert conosceva da molti anni, questa era di certo il potere ammaliatore del fuoco. Oh, come negarlo. Aveva ceduto al suo fascino nemmeno quattro giorni prima, quando aveva ubbidito al suo richiamo e aveva sguinzagliato la sua rabbia contro tutto e tutti per una morte di cui nessuno era stato fautore, se non del destino. Ricordava la fatica che aveva fatto per imparare a controllarsi, per evitare che ogni alterazione del suo umore non scatenasse la furiosa gioia dei lapilli e per questo non poteva credere che i suoi fratelli, digiuni da qualsiasi allenamento, fossero in grado di resistere alla suadenti parole di quell'elemento così volubile. Nutriva fiducia in loro, ma non nelle capacità umane di resistere a una tentazione. Perciò richiamò all'ordine tutti, uno a uno, a cominciare da Sia.
Sia. Sia si era voltata verso il pubblico di semidei in attesa e sembrava cercare qualcuno. Rob non poteva leggere nella sua testa, ma poteva immaginare che cosa il fuoco le stesse sussurrando.
"Sia. Vieni." Ordinò secco, facendola trasalire e tornare in sé. "Serve la forza di tutti."
I sette figli di Efesto circondarono la statua del Palladio e tesero le loro mani, posandole sul freddo metallo del simulacro. Le paure del capocabina – cosa sarebbe successo se quella dannata effige si fosse nuovamente nutrita della loro energia? - vennero subito smentite dall'immediata reazione del bronzo che fece resistenza per pochi istanti, prima di iniziare a colare.
"Così!" Esclamò, mentre la sua fiamma ruggiva gioiosa. "Così! Funziona!"
Funzionava? Forse. Ma anche solo l'idea, la speranza di poter vincere, di poter uscire da quel luogo di dannazione, di tornare a casa, al Campo, dai propri genitori, alla propria vita di semidei adolescenti – una vita difficile, piena di dolori, difficoltà e sofferenza ma anche di divertimento, gioie e meraviglia, affetti e cose incredibili - rinforzò il desiderio di ognuno dei sette. Quel Palladio andava abbattuto. Andava distrutto, colato. Andava rottamato come un'automobile vecchia. Andava schiacciato come una lattina di Pepsi terminata. Andava sciolto come una fede di matrimonio dopo un divorzio. Esagerato? Beh, era quello che pensava Daphne, quindi niente critiche, solo complimenti.
Rob pensò ai sacrifici che New Troy aveva richiesto. Pensò al sorriso di Scarlett, alla sua stupida sciarpetta inquietante e al calore del suo corpo quando lo aveva abbracciato, dai suoi dodici anni in poi. Pensò al viso di Fabrice, quel bizzarro e grissinoso figlio di Atena con cui aveva sì parlato poche volte ma a cui voleva bene, perché aveva amato la sua sorella prediletta.
Pensò anche a tutte le anime di semidei che quella cittadella maledetta aveva richiesto, come se fosse dovuto, come se fosse giusto. Beh, non era giusto. Non lo era affatto. Non era giusto che lui fosse lì, che rischiasse di veder morire le persone che amava. Che gli dei andassero a farsi fottere: era finito il tempo delle prostrazioni. Toccava al Palladio inchinarsi di fronte a tutti loro.
Il rosso frutto macchierà mani assassine
Era stata tutta colpa di quella statua. L'odore acre che gli giunse alle narici, disgustoso e quasi vomitevole, lo riempì di una gioia quasi insensata e folle. Gli venne da ridere prima piano e poi sempre più forte, attirando l'attenzione di Jazlynn che fino a pochi secondi prima era stata completamente presa dal fissare il vuoto. Non aveva bisogno di vedere quello che stava accadendo per sapere il destino a cui stava andando incontro il Palladio. Sarebbe bruciato e sarebbe morto, Atena avrebbe ricevuto ciò che si meritava per averli costretti, anzi per averLO costretto a sacrificare il suo migliore amico. Non aveva nemmeno bisogno di essere nella mente di una divinità olimpica o avere il potere della premonizione per essere certo che la colpa del sacrilegio sarebbe caduta su tutti loro e in particolare su di lui che aveva osato spargere sangue di fronte al simulacro di una dea immortale. E non sangue qualunque, sangue a lui caro. Rise di cuore.
Che morisse. All'orco.
Si tirò in piedi a fatica scostando il braccio della figlia di Ares che stava tentando ancora di tenerlo accanto a sé. Le catene ai suoi polsi tintinnarono e lo obbligarono a tenere le braccia dietro la schiena. Dopo ore con le gambe piegate le sue ginocchia protestarono ma riuscì comunque a muovere qualche passo. Davanti ai suoi occhi vide sorgere un'enorme colonna di fumo. La terra iniziò a tremare e non riuscì a capire se era l'ira degli dei o la sua gioia nel vedere Atena crollare.
Rise.
Rise a pieni polmoni di tutto quello che stava succedendo. Sia per sfogo ma anche in memoria del suo amico, sicuro che in una tale situazione avrebbe riso anche lui.
E tutto sarà cenere per volere del fato
A Jazlynn fece paura quella risata folle di fronte alle fiamme che si levavano alte e fiere dal naos. Tutti, ovunque nella città, sentirono la terra tremare sotto i loro piedi ma la ragazza lo percepì più di tutti.
Gabriel, che si era fermato a all'ingresso della sala, quasi urlò quando l'intonaco delle case attorno al tempio iniziò a sfarinarsi. Le pietre poco a poco iniziarono a scivolare le une sulle altre, cadendo a terra con tonfi preoccupante. L'onda di distruzione sembrava diramarsi dal Palladio per tutta la città e ogni semidio e semidea non riuscì a scegliere nel proprio cuore se essere felice per la libertà guadagnata o temere per la propria sicurezza.
Sue, dalle retrovie, urlò mentre con un rumore assordante le mura di New Troy, cadevano rivelando il loro aspetto reale: pietre consumate dai secoli, dai millenni, tondeggianti agli angoli, macchiate di sangue, di fumo e graffiate dalle armi di centinaia, migliaia di semidei.
Non rimase pietra su pietra di quella città maledetta.
Solo quando tutto smise di tremare le figure piene di polvere dei ragazzi del Campo Mezzosangue fecero capolino da dietro le macerie fissando, con lo sguardo arrossato dalla polvere e dallo spavento, la piana della battaglia. E mentre guardavano l'orizzonte tutto ciò che Troia era stata si disfò in cenere incolore.
Come se non fosse mai esistita e fosse tutto stato un bruttissimo e realissimo sogno.
Come se Brice e Scarlett sarebbero tornati indietro.
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