85. Baby Light My Fire

L'urlo che straripò dalla gola di Robert non aveva nulla di umano. Ebbe l'effetto di un ruggito in mezzo alla giungla e mentre uno stormo di uccelli tropicali si levava in volo dalla foresta nei dintorni di New Troy, tutti gli altri semidei sparsi per il suo perimetro interno, chi intento a fare strategie, chi fermo a fissare il piccolo catafalco su cui riposava il corpo di Fabrice in mezzo a tante e candide corolle chiuse alla timida luce dell'alba, sentirono un brivido spiccare un metaforico volo lungo la loro colonna vertebrale. Non tutti avevano avuto la possibilità di udire il grido che il figlio di Efesto aveva lanciato nel momento in cui Scarlett era divenuta polvere tra le sue braccia e forse per questo nessuno, nemmeno i più addormentati, poté evitare di essere testimone della disperazione di Robert Hartless che, forse, di cuore ne aveva fin troppo per provare tanto dolore e manifestarlo in modo così vivo.

"Cosa accidenti..." Mormorò Win, intento in una fitta chiacchiera con Iris riguardo proprio le possibilità che Rob avrebbe avuto di distruggere il Palladio. Immediatamente il suo sguardo saettò verso Sandra che era lì di fianco. La ragazza si era voltata di scatto e fissava la piccola porta nascosta del naos. Era diventata molto pallida.

"C'è qualcosa che non va." Affermò, tesa.

Win e Iris fecero un passo avanti nella medesima direzione.

"Si sarà ferito?" Domandò il ragazzo alla sorella. Iris fece un secco cenno negativo con la testa, ma non si fermò.

"Il fuoco è un dono che Efesto difficilmente toglie ai suoi figli. Non penso che..."

"E se gli è caduto addosso qualcosa?"

Iris non aveva previsto quella idea. Si mise direttamente a correre, seguita a ruota dal fratello, da Sandra e da tutti gli altri ragazzi spaventati.


L'istino fu quello di arrabbiarsi, così come era successo quando era morta Scarlett. Vi era un'unica piccola differenza: Sia era sua sorella di icore e poteva dire che fosse a tutti gli effetti il membro della sua grande e strana famiglia che amasse di più. Potè sentire le fiamme ruggire dentro il petto, dove probabilmente stavano annidate in attesa del giusto momento quando Rob se ne dimenticava. Non le possedeva, non erano sue. Nonostante tutte le persone che gli dicessero di come fosse un dono, non poteva togliere dalla sua mente l'impressione che fosse solo un comodato d'uso. Poteva usarle, ma non erano sue. Appartenevano a suo padre e non avrebbe mai asserito di averle come proprietà individuale. Le amava, per metà delle volte. Per il resto le odiava. Facevano paura oltre che spaventare le persone; facevano danni oltre che risolvere problemi. Bruciavano, oltre che scaldare. Bruciavano, sì, come stava bruciando Sia.

Il fuoco era divampato all'improvviso, violento e quasi bianco. Aveva dovuto chiudere gli occhi per la forte ondata di luce e calore. La sua pelle fortunatamente era abituata a tali temperature e stava reggendo l'ondata di energia senza risentirne troppo. Per ora.

I gradi crescevano ma Rob sapeva dentro di sé che non poteva perdere il controllo: Sia non era ignifuga e se fosse esploso dentro quello spazio chiuso l'avrebbe ustionata a morte. Già soffriva così com'era, avvolta in un bozzolo di luce. Non poté fare altro che stringerla cercando di assorbire quanto più possibile. Gliela aveva sempre detto, alla sua sciocca sorellina, che avrebbe preso su di sé ogni offesa fattale, ogni dolore arrecatole da chiunque. Lui era grande e grosso, lei era piccola e fragile, tanto fragile che le persone spesso si divertivano a lanciare i suoi sentimenti in giro attendendo in momento in cui fossero caduti e si sarebbero rotti in un milione di pezzetti. Azzerò completamente il suo calore, relegò il suo fuoco sempre più dentro, sempre più in fondo sperando che le fiamme che lambivano la piccola Inuk attecchissero a lui nel vano ragionamento di poter in qualche modo attirare il fuoco da lei.

L'urlo angosciato lanciato qualche secondo prima aveva attirato l'attenzione delle persone nei paraggi. Ciò che videro in un primo momento fu Robert, i vestiti tutti macchiati di fuliggine e bruciato, intento a cullare quasi con nervosa tenerezza un bozzolo infuocato. Capire chi o cosa fosse tra le braccia del figlio di Efesto fu possibile solamente qualche secondo dopo quando, con grandissimo stupore di tutti, le fiamme decisero di flettersi riflettendo i loro bagliori dorati ovunque e gettando ombre allucinate sulle pareti. Si piegarono come vetro scaldato e fluido, assumendo uno stato della materia a loro improprio. Come sottostanti a una forza superiore si elevarono dal cuore della ragazza, rivelandola agli occhi di tutti, in nastri di fuoco arancione e rosso e giallo. Rob fu costretto ad allontanarla un minimo, pieno di meraviglia, per poter osservare la cosa più strana che gli fosse mai capitata di vedere. Sia non stava bruciando, Sia non era carbonizzata. Sia era cullata dal fuoco come Rob ricordava di essere stato cullato dalle fiamme da bambino.

Il dono del fuoco ti promette un grande destino.

Il dono del fuoco stava gettando un fascio di luce immenso sul destino di Sia, accumulandosi sulle sue braccia come due pesanti manicotti incandescenti.

"Robert!" girdò Iris accorredo quando più veloce possibile. Fu costretta però a fermarsi a più di tre metri da loro e ad indietreggiare tenendosi la gola. L'ossigeno nell'aria era pochissimo e la temperatura era troppo alta.

"Stai indietro, Iris!" Urlò di rimando Rob, cercando di avvertirla che Efesto aveva tracciato il suo limite ben preciso.

"Cosa sta succedendo?!" Rispose la ragazza indietreggiando il più possibile pur rimanendo a portata di voce.

Lui scosse la testa, ne sapeva tanto quanto lei e non aveva idea di cosa questo potesse davvero significare, ma nello stesso istante Sia spalancò gli occhi. Era viva. Viva più che mai, tanto che subito spalancò la bocca, cercando disperatamente l'ossigeno di cui le fiamme, avvolgendola, si erano nutrite fino a quel momento. Come un animale riportato a ragione da una sgridata, il fuoco sulle sue braccia si fece più pallido, rabbonito ma non spento, permettendo alla ragazza di respirare, anche se boccheggiando.

"Sei viva." Mormorò Rob, mentre il suo stupore si trasformava rapidamente nella gioia viscerale e grata di chi ritrova qualcuno che pensava di aver perso. Rivolse immediatamente e in modo istintivo un ringraziamento a suo padre, che non aveva permesso che sua sorella perisse per la stessa mano che l'aveva creata.

"Sì." Ansimò Sia, i suoi occhi concatenati alla danza delle fiamme sulle sue braccia nude. "Non capisco... io... mi sono sentita male... questo è il..."

Robert l'abbracciò, ignorando i suoi balbettii confusi. Non gliene fregava niente: né di non esser riuscito a sciogliere il Palladio, né che Sia avesse ricevuto un dono inaspettato: stava bene, parlava, non era bruciata viva. Era tutto ciò che c'era d'importante. Nessuno gliel'avrebbe strappata. Non si sarebbe mai ripetuto l'episodio di Scarlett.

"Rob!"

La voce di Iris si alzò potente all'ingresso del naos. Probabilmente l'avevano già chiamato diverse volte e li aveva sempre ignorati. Però al grido perentorio, autoritario della figlia di Atena, non poté sottrarsi: alzò gli occhi offuscati e trasecolò: altre piccole pire, tre o quattro, si erano alzate dal capannello di semidei attirati dalla sua disperazione di poco prima. Tre o quattro altri figli di Efesto si erano incendiati come paglia, dopo aver emesso un sospiro di sofferenza ed essere caduti a terra. Il gruppo degli altri si era spaccato e quasi tutti si erano ritirati, con muto orrore, vicino alle porte della sala. Ma ora Rob non aveva più paura. Stava succedendo qualcosa, ma forse sarebbe stato qualcosa di buono. Non era mai successo che la prole del dio del fuoco elargisse a così ampia mano il suo dono più pericoloso. Forse... forse stava strizzando loro l'occhio.

Non appena lo capì, sentì un altro fuoco divampare dentro di sé: quello della speranza.

"Riprovate." Comandò Iris, che sembrava avergli letto nel pensiero. Robert la guardò e lei insistette: "Non appena i tuoi fratelli torneranno in sé, riprovate a sciogliere il Palladio."

Il capocabina si limitò a un unico, deciso assenso con la testa. Da solo non ce l'aveva fatta ma, forse, con la forza di tutti i suoi fratelli riuniti...

Da qualche parte, arrampicata in un angolino del naos, Daphne si era appena calata i suoi fantastici occhiali da sole argentati – da dove li aveva tirati fuori? Non potete sapere tutte le tasche che possiede una faretra, credetemi – sugli occhi, con un sorriso tutto denti ben disegnato in viso. Avrebbe voluto tirar fuori la fiaschetta e godersi lo spettacolo imminente in tutta la sua gloria, come un falò di primavera in spiaggia, ma per una volta la prudenza aveva avuto la meglio sul trash: avrebbe rischiato di prendere fuoco. Sì, perché anche lei aveva compreso l'idea di Iris. E le piaceva. Un casino. Avrebbe battuto le mani a chiunque le avesse proposto una pirotecnica sessione di svago ed eccola lì, pronta a godersela in prima fila. Mentre aspettava e osservava i figli di Efesto che dopo qualche tentennamento si rimettevano in piedi, ognuno con due pesanti bracciali di fuoco roboante stretti ai polsi, si mise a canticchiare.

"Come on baby, light my fire."

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top