78. liofilizzati

Apatia generale, questa era la definizione più calzante per la situazione che la attorniava. Tutto era iniziato in modo graduale, senza che nessuno se ne accorgesse davvero. Erano tutti stanchi, seduti chi nel cortile principale, chi nelle enormi sale vuote che si trovavano affacciato e su di esso. Tuttavia non si poteva dire che si fosse trovato un rifugio dal caldo: all'inizio le sale erano sembrare fresche, ma solo fino a che la porta non era rimasta aperta abbastanza, allora avevano iniziato anch'esse a scaldarsi come forni. Sfondare le finestre non era servito, l'aria non circolava. La luce e la polvere si divertivano a creare pigri vortici di particelle luminose e ipnotiche, interessanti come il disturbo bianco e nero sfarfalloso di un vecchio televisione a tubi catodici. Iris, nella sua testa, tentava di ripercorrere le tappe che avevano potato la situazione a quel punto. Come erano arrivati ad essere così?

All'inizio si erano divisi in gruppi, esplorando la cittadella alla ricerca di pozzi, attacchi dell'acqua o di provviste. Nessuno aveva trovato nulla e così le prime tre ore erano andate perdute. A questo erano seguiti i battibecchi sempre crescenti prima a gruppi, poi all'interno dei gruppi stessi. Fratelli e sorelle che si voltavano vicendevolmente le spalle, case impegnate più a litigare piuttosto che a cercare la vera soluzione al problema. Nota positiva della giornata era stata la proposta dei figli di Efesto di abbattere di nuovo le porte ed uscire come erano entrati, tuttavia ogni volta che Shoshanah aveva provato ad evocare dell'alcol questo era evaporato immediatamente appena materializzatosi, anche nella stanza dalla temperatura più bassa che era riuscita a trovare. Dopo anche questo fallimento tutto si era spento.

Qualcuno dei feriti aveva delirato, Sia aveva provato ad accennare una canzone, ma poi io gnomo si era chiuso nel proprio silenzio. Iris poteva capire, non era famosa per essere bionda e stupida. Erano tutti impegnati a pensare come sarebbe stato il futuro. Sarebbero riusciti ad uscire e a salvarsi? Oppure la fantomatica fortuna dei semidei si era inaspettatamente esaurita lasciandoli soli nelle mani di un tale crudele destino, lo stesso che avevano provato ad evitare per tutto quel tempo finendo solamente per buttarvisi tra le braccia? Non è ironico?

Questo era quello che aveva pensato, ma ora iniziava a ricredersi. Quel silenzio stava durando troppo a lungo e anche lei stessa non aveva voglia di parlare. È proprio in questo vi era qualcosa di profondamente sbagliato. Gli ingranaggi del suo cervello, forse insozzati dalla polvere che continuava a spirare ovunque, o forse stanchi di girare incessantemente, si erano inceppati. La profezia si era insinuata tra di essi come uno scomodo sassolino bloccando mano a mano tutto il sistema. Con fatica si alzò dalla tenda che aveva piantato lungo un lato del maschio, cercando con lo sguardo una testa familiare. Quando identificò i capelli castani di Courtney, si diresse verso la ragazza a passi silenziosi. Nessuno si girò a guardarla. In quello non c'era niente di anomalo, se non fosse che anche la figlia di Ares non si girò quando venne chiamata.

"Courtney?"

Nessuna risposta.

Con un gesto esitante la figlia di Atena le toccò la spalla e solo allora la ragazza si girò di scatto verso di lei.

"I-Iris?"

"Ciao - salutò sedendosi - sei andata a vedere come sta Jack?"

L'altra scosse la testa senza interesse.

"Ah...pensavo di sì. Magari passerò io dopo."

L'altra fece spallucce e diede un colpo di sopracciglia.

"Courtney...sto parlando con te."

"Lo so."

"E allora?"

La ragazza tacque, e non ci fu più modo di farle parlare. Immediatamente Iris si alzò e si diresse verso un altro semidio, procedendo così fino a che la gola secca non si fece sentire troppo costringendola a tornare alla sua tenda dove teneva la borraccia piena delle sue ultime scorte d'acqua. Logicamente parlando, era impossibile che la città non avesse il minimo attacco ad una fonte idrica, ma fino a che non ne avessero trovata una era stato deciso che si sarebbe provato a fare economia dei liquidi. Tuttavia la sete era ormai intollerabile e le labbra avevano iniziato ad essere così secche da spaccarsi e sanguinare. Sarebbe stata calda come piscio, poco ma sicura, ma era di sicuro meglio che niente.

Come previsto la borraccia aveva una temperatura poco raccomandabile, assieme a tutto il contenuto del suo zaino. Avidamente Iris l'aprì, con le dita che scivolavano sul tappo di metallo il quale strideva contro le scanalature dell'imboccatura. Altrettanto avidamente si attaccò al collo del contenitore aspettando il disgustoso rivolo caldo che le avrebbe per lo meno lavato via il sapore di ferro e sangue dalla bocca. Ma non arrivò quello che si aspettava.

La bocca le si riempì di sabbia bollente. Le mucose protestarono con acute fitte di dolore mente lei gettava via la borraccia a iniziava a sputare e tossire per liberare le vie respiratorie da quei minuscoli granelli di arenaria. Solamente dopo svariati minuti di tosse e conati di vomito finalmente la ragazza riuscì a rimettere lo scarso contenuto del suo stomaco. Gli acidi le fecero andare la bocca in fiamme, facendole capire l'estensione del danno. Bruciava tutto, le girava la testa e dovette abbandonarsi sulle ginocchia.

Se qualcuno fosse stato sveglio o per lo meno cosciente l'avrebbe vista sporca di vomito su tutta la maglietta, i capelli appicciati alla testa e con la bocca gonfia. Ma a chi importava?

Cercò con lo sguardo Sue, sperando che per lo meno la sua natura divina l'avrebbe protetta dall'apatia che regnava imperterrita.

Gli ingranaggi si fermarono.

Ma perché preoccuparsi? Sarebbero morti comunque. Diventare fantasmi non era una così brutta prospettiva in fondo. Sarebbe stato bello...

NO! Cosa stava pensando?! Come poteva anche solo immaginare di ridursi a una larva di sé stessa? Come poteva anche solo pensare di arrendersi? Con una mano si toccò la bocca, cercando di farsi male. Se era quel dolore a farla rimanere cosciente ci avrebbe provato fino alla fine.

Tutto ciò che respirava aveva un vago odore metallico, a causa delle ustioni. Eppure tanto valeva provarci. Dopo aver svuotato il suo zaino completamente aveva scoperto che non solo l'acqua ma anche l'acqua ossigenata e le provviste si erano tramutate in polvere rovente. L'unica speranza che rimaneva era l'ambrosia, accuratamente nascosta sotto tutti i vestiti per riuscire a tenerla al sicuro e per non avere la tentazione di usarne troppa. Dopo aver gettato alle sue spalle un paio di mutande dimenticate in fondo a quel casino le sue dita trovarono il pacchettino argentato che avrebbe potuto significare il confine tra la vita e la morte. Sapeva che non appena il dolore fosse sparito anche lei si sarebbe ridotta come uno degli altri. La speranza si accese come una misera fiammella dentro di lei a sentire che la confezione era solida, non conteneva polvere di alcun tipo. Ma altrettanto velocemente si spense quando, aprendola si ritrovò davanti a una solita tavoletta di pietra marroncina. Solo allo si permise di piangere.

Non avrebbero mai lasciato New Troy.



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