72. Ci siamo quasi...

Il sole era sorto, il corno era stato suonato, l'esercito di New Troy era uscito per disporsi nella brulla arena. Uno schema ben congegnato, una ripetizione continua di una giornata di guerra qualsiasi. Dieci lunghi anni sarebbe dovuto durare quell'eterno ritorno, Jazlynn lo sapeva. Lo pensava, in piedi di fianco a Sue, mentre osservava con lei il dispiegarsi del loro schieramento. Le era stato espressamente vietato di combattere dopo che Iris, tornata dalla foresta, si era ricordata di spiegare alla Musa e alla diretta interessata la natura delle voci nella sua testa. La questione si era rivelata più inquietante del previsto, dal momento che le Androktasiasi, gli spiriti del campo di battaglia, non facevano differenze se a essere trucidati erano amici o nemici. Sue le aveva ordinato di rimanere lì con lei, perché comunque il piano non prevedeva l'intervento se non di alcuni pochi ma importanti attori sulla scena.

Dopo un attimo di esitazione e di silenzio nell'arena, il corno risuonò ancora una volta, il sipario si alzò e il primo attore salì sul palco.


Il filo della spada tagliò l'aria davanti a sé come un segnale verso l'esercito delle mirmidoni, le quali, obbedienti lanciarono un ruggito di guerra al nemico prima di scagliarsi come un unico corpo sul campo. Circondato da quelle donne formica Gabriel sentiva di poter avere finalmente la possibilità di cambiare le sorti di quella guerra che era fino a quel momento costata una vita di troppo. Senza aspettare che l'avessero superato completamente, il ragazzo corse stringendo la spada con una mano e alzando lo scudo con l'altro braccio, davanti a sé, pronto ad affrontare assieme alle sue nuove compagne di battaglia i fantasmi. Lo scontro tra i due eserciti produsse un clangore incredibile ma Gabriel non si spaventò, era musica per le sue orecchie. La corsa gli fece solamente salire l'adrenalina nell'attesa di arrivare in prima linea, dove era il suo posto.

"Mirmidoni! Sfondare sui lati!" urlò al vento, ma non si preoccupò di vedere se le guerriere avevano capito, sapeva per certo che la sua voce le aveva raggiunte e poteva vedere nella sua testa due distaccamenti assumere forma di cuneo e fare breccia nel muro di scudi che invano tentava di pararsi contro di loro. Doveva esserci abbastanza spazio per i barili di passare dalle retrovie. Doveva essere tutto a tempismo perfetto, senza nemmeno un secondo di ritardo. Avevano perso troppi giorni a menare le spade inutilmente, solo per vedere ogni fantasma ucciso essere sostituito da uno identico in uno scontro che sarebbe potuto bastare una decina di anni se giocato con le regole degli dei. Ma adesso era arrivato il momento di giocare con le regole degli uomini. Agilmente parò una stoccata con lo scudo, incassando il colpo per poi rispedirlo indietro con la stessa forza ricevuta, così come gli era stato spiegato da Scarlett in una delle prime lezioni. Non aveva bisogno di ripensare alle parole della sua insegnante... quando teneva in mano una spada sentiva che la verità sulle sue origini si faceva più reale e tangibile, era fatto per maneggiare il bronzo così come i figli di Efesto erano fatti per forgiarlo.

Dietro di lui, attendevano gli attori del secondo atto.


Shoshanah era esausta. Faceva fatica a ragionare e il suo volto era segnato da profonde occhiaie. Aveva passato l'intera notte a benedire e invocare i propri poteri su grosse botti di legno vuote, chiamando a raccolta tutte le sue capacità per fare in modo che esse si riempissero nel modo corretto. Avevano bisogno di litri di alcol, alcol puro, alcol etilico e infiammabile. Sarebbe stata la base della loro arma a sorpresa e lei non poteva fallire. In silenzio aveva perfino chiesto l'aiuto di suo padre, anche se sapeva che non sarebbe giunto, e quando si era sentita completamente svuotata di ogni sentimento dopo la terza botte riempita, aveva fatto appello alla grande fonte di rabbia nei confronti di sua madre per alimentare la sua energia. Aveva funzionato alla grande: ora una quindicina di botti cariche attendevano ai piedi di una squadra dei migliori ragazzoni del Campo Mezzosangue. Ognuno di loro sapeva cosa fare.

"Sai cosa fare." Disse semplicemente Sho a Daphne, vestita di tutto punto come una Cacciatrice di prima classe, prima di affidarle una fiaschetta di vetro. Senza esitazione Daphne annuì e anche quando Shoshanah si fu allontanata lentamente, non ebbe la tentazione di svuotarla con un solo sorso. In quel momento tutti erano seri. Perfino le regine degli scherzi.


Sandra combatteva con una grazia che nessuno avrebbe mai potuto associare al suo corpo. Era scesa in campo assieme agli altri capocasa, conscia che avrebbero dovuto finire la partita che avevano iniziato assieme come un gruppo unito, nonostante avessero ormai un validissimo esercito di guerriere selvagge che da solo riusciva a sbaragliare i nemici. Forse non sarebbe stato necessario unirsi a loro, ma era stata una questione di onore. Ogni capocasa avrebbe dovuto dare il miglior esempio ai suoi fratelli e il coraggio era una virtù degna di essere celebrata.

Con un sibilo, la sua lama mozzò le gambe a uno dei fantasmi, che esplose subito in una nuvola di fumo. Si aggiustò gli occhiali sul naso quando questi si impolverarono e si voltò, pronta a fronteggiare il nuovo nemico. Era eccitata: se avessero vinto, sarebbero tornati a casa. Sandra non vedeva l'ora di tornare alle sue vecchie abitudini, alla sua pace e ai suoi scherzi. Voleva tornare al Campo e ridiventare Orlando la Scaltra, la fidanzata segreta del più affascinante figlio di Afrodite nonché sua arcinemica in pubblico. Pensava a lui, sperando che William avesse deciso di ubbidire e rimanere nelle retrovie, al sicuro.


Fortunatamente aveva obbedito, a differenza di Jasper che si era rifiutato di indossare l'elmo. Non lo sopportava, gli stringeva la testa, era scomodo e cacciava caldo. Inoltre la placca frontale non faceva che spedirgli i capelli sugli occhi, impedendogli la vista anche di più...quindi, in tutta sincerità, preferiva vedere chi stava arrivando, piuttosto che sperare che qualcuno decidesse proprio di tentare di spaccargli la testa invece che colpire al petto. La corsa dei capicabina aveva un non so che di epico nel suo aspetto tuttavia grottesco. Una linea di ragazzini vestiti di bronzo che urlano e mozzano arti. Lui di certo non poteva mozzare, ma la sua lancia era perfetta per infilzare, fare sgambetti e pestare crani. La sua scarsa altezza non era che un vantaggio in quel mare di persone più alte di lui. Le gambe erano proprio a portata di lancia e tac. Cadevano senza neanche rendersi conto di cosa li aveva falciati: ci avrebbero pensato le retrovie a finire chi trovavano per terra. Il loro compito era aprire la strada e a quanto poteva vedere davanti a sé, Gabriel lo stava prendendo estremamente seriamente, tutto ricoperto di bronzo luccicante e aggraziato col suo xiphos in mano. Sembrava proprio l'eroe che tutti dicevano era destinato ad essere. Un sorrisino di sfida fiorì sulle labbra di Jasper: nemmeno lui sarebbe stato da meno. Avrebbe aiutato ad aprire la strada per gli altri. Stava per terminare il primo atto.


Fabrice se l'era pensata bene la sua genialata. In una notte, con l'aiuto dei figli di Efesto, aveva progettato botti sufficientemente robuste per essere fatte rotolare - sì, come quelle che rollano sempre sui ponti delle navi pirata durante una battaglia! - e abbastanza leggere per permettere a due persone di guidarle. Lui se l'era dovuto mettere l'elmo, sotto la minaccia di Sue. Aveva anche preso le sue medicine e ora sudava come un salmone al cartoccio. Ma era troppo emozionato per accorgersene: avrebbe guidato la retroguardia verso le mura, come un vero condottiero. Aveva disegnato una cartina e l'aveva fatta imparare a memoria ai suoi colleghi. Aveva calcolato tutto, disponendo carte mentali sulla sua personale plancia di gioco. Attendeva solo che la strada fosse completamente sgombra. Bastava un ultimo soldato... un ultimo...

"Andiamo!" Urlò ai suoi ragazzi, tra cui si trovava anche Mark, subito dietro di lui. Alzò il suo leggerissimo spadino. "Ora!"


La strada non sarebbe mai stata larga abbastanza per farli passare senza una protezione. Per questo Mark e Will si trovavano ai fianchi di una botte: uno nauseato dal caldo e l'altro dalla preoccupazione. Theresa li guardò entrambi quando vide al centro della fila lo spadino di Fabrice alzarsi.

"È il segnale, andiamo!"

L'altissima figlia di Apollo iniziò a far rotolare il barile mentre Will sentì la terra mancargli sotto i piedi all'idea di Sandra in prima fila. Mark però se ne accorse e con un colpo sullo scudo lo fece riprendere. "Muoviti, Brody! Dobbiamo approfittare della breccia." Breccia, quale breccia? Quella che si stava formando poco a poco davanti a loro, grazie agli sforzi dei figli di Demetra, la cui carica aveva creato un chiaro passaggio da raggiungere prima che si chiudesse. Le gambe risposero finalmente all'ordine facendo prima caracollare in avanti, poi correre dietro a Theresa. Aggiustarsi lo scudo sul braccio non lo fece sentire minimamente al sicuro, non era bravo a combattere e non poteva paralizzare i suoi nemici. Tuttavia, invece, vedere Mark che invece pugnalava al cuore senza molte remore chiunque gli si parasse davanti, sì. Dovevano continuare a rotolare, e raggiungere le mura.


Non avrebbero mai raggiunto le mura! Non con quel nano di Bucket alla guida di un barile. Le sue gambette corte spingevano, il viso era contratto ma il barile arrancava sulle asperità del terreno. Erano stati quei deficienti dei gemelli Maugham a insistere di voler proteggere il barile, in quanto gemelli e figli di Nike, non avrebbero tollerato di essere in due ruoli diversi. Ora però tutti e tre si stavano pentendo della loro decisione, soprattutto perché la breccia entro cui erano riusciti a infilarsi stava già iniziando a chiudersi alle loro spalle.

"Dannazione, a voi due!" fu costretta a urlare per la frustrazione la piccola ragazza, mollando il barile ed estraendo la spada.

"Continua a spingere, Helen!" gli urlò il primo dei due fratelli, Philipp.

"E farmi uccidere. Grazie ma, no, grazie! Voi e le vostre stupide idee." Il barile incustodito rollò tristemente, mentre la sua pilota si prendeva una pausa per sgozzare qualche fantasma.

"Stupido barile!" imprecò Lucas, il secondo di quei geni figli di Nike, quando il barile gli schiacciò malamente un piede facendolo rotolare per terra. Il pugnale di Helen bloccò una lancia che stava per abbattersi sul suo cranio ferendo il braccio che la imbracciava.

"Ho avuto un'idea! Presto. - disse salendo in piedi sul barile in equilibrio - proteggete i fianchi e statemi lontano."


Winton ne aveva viste parecchie di cose strane nella sua vita, ma forse quella le batteva tutte. Era talmente assurda che fu costretto a fermarsi per un secondo, basito. Cosa stava combinando quella molesta di Helen Bucket? E che ne aveva fatto del suo barile?

"Memo!" Urlò, in direzione della sorella di sangue, che evitava nemici e li colpiva nella schiena per farli cadere ai piedi di Win, dove ricevevano il colpo di grazia.

"Cosa?" Gridò lei in risposta. Lui gli indicò il punto in cui fino a pochi secondi prima Helen si era arrampicata sul barile e anche lei sgranò gli occhi. Non c'era più alcun barile, ma un'enorme palla da circo, come quella su cui fanno camminare i cagnolini ammaestrati. Era anche tutta colorata, viola brillante, il colore di Ecate e il colore del vino. Sopra di essa, novella barboncina, si trovava Helen, che camminava attenta, facendola avanzare. I due figli di Demetra si guardarono.

"Ma cosa..." Iniziò Win, prima che Marissa lo interrompesse.

"Non ora! Lasciala fare! Non è il momento di farsi certe domande!"

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