71. Una scintilla per Callan

In un mondo che si rispetti esistono eroi e antagonisti, buoni e cattivi. Bianco e nero.

Sì, in ogni storia c'è bianco e nero. Altrimenti non si potrebbe andare avanti, giusto? Qualcuno deve pur indurre il buono a fare il bene e qualcosa deve pur scatenare le idee crudeli del malvagio. Sempre era stato così e sempre sarebbe stato.

Callan, tuttavia, non si era mai reputato una persona malvagia. I suoi dispetti verso gli altri e in particolare verso Sia erano sempre stati meritati: i deboli lo innervosivano, lo facevano arrabbiare. Era palese che Sia fosse così perché era schifosamente pigra. Era sovrappeso e bruttissima perché non si teneva, ecco la verità. Aveva un buco in mezzo ai denti e non aveva mai messo l'apparecchio. Callan si era semplicemente premurato di farglielo presente, proprio per mettere in moto quel bene che sicuramente avrebbe migliorato la vita sua e di coloro che le stavano attorno.

Continuava a ripetersi questo come un mantra per tentare di comprendere il sentimento che sentiva montare dentro di sé guardando Sia lavorare. Era stato incaricato da Theresa di portare ai figli di Efesto alcune spade spuntate per prepararsi a quello che, si sperava, sarebbe stato l'ultimo combattimento nell'arena dinnanzi a New Troy. Callan aveva combattuto al fianco dei suoi fratelli come qualsiasi altro semidio, apparendo quasi come una persona normale, ma quando si era trovato davanti solo Sia e aveva capito che sarebbe stata l'unico fabbro disponibile per affilare le lame, il suo solito sentimento di rabbia si era impossessato di lui. Eccola lì, quell'odioso rotolino. Lei e la sua faccia piatta, stupida, con gli occhi piccoli e l'espressione da animaletto spaventato. Quella mattina sembrava addirittura più infelice del solito. Neanche l'aveva guardato in faccia quando le aveva scaricato le spade ai piedi: si era messa subito a fare il filo alle lame, come se lui non fosse lì davanti, in piedi, a fissarla. Era tutta colpa di Sia se la sua rabbia cresceva: non faceva altro che stuzzicarlo. Callan quasi godeva del disprezzo che nutriva nei confronti della ragazza: era incredibile pensare che una persona potesse essere tanto inutile e brutta quanto lei.

Sì, Callan sapeva di non essere malvagio a pensare certe cose. Era solo nell'ordine naturale delle cose: lui era il bianco e Sia il nero. Sia faceva schifo su tutti i fronti. Sia era ciò che tirava fuori il peggio di lui, anche se era più che certo che fosse una reazione positiva, dopo tutto. La gente gli aveva detto più e più volte che soffriva di qualche problema di contenimento della rabbia, ma da parte sua Callan pensava semplicemente che la gente avrebbe dovuto farsi i fatti propri.

Quando Sia iniziò a lavorare sulla terza spada, il ragazzo decise che ne aveva più che abbastanza.

"Hey, Rotolino." L'apostrofò con il suo solito fare strafottente, un sorrisetto sarcastico sulle labbra. "Ti hanno tagliato la lingua in combattimento?"

Lei non rispose. Continuò a mantenere gli occhi su quello che stava facendo, senza battere ciglio. Fu come lanciare benzina sul fuoco.

"Sto parlando con te, Coniglio. Non ci senti più?"

Sia persistette nel suo silenzio e Callan boccheggiò, incredulo. Cos'era quello, un oltraggio? Non era mai successo che lei non rispondesse in qualche modo alle sue provocazioni. Di solito iniziava a sudare o balbettava o tentava di scansarsi. Tutte cose che facevano piacere al ragazzo. Non era mai successo che lei semplicemente lo ignorasse. Quasi tremando dalla rabbia le schioccò le dita a un pelo dal naso.

"Sveglia! Sveglia, Rotolino! Sei diventata una scema di guerra?"

Finalmente Sia alzò gli occhi su di lui. Erano privi della paura che normalmente vi abitava. Callan non poté fare a meno di evitare di pensare che fossero spenti, vuoti. Non aveva idea che Sia avesse toccato il fondo della propria sopportazione. Le cose probabilmente non sarebbero cambiate se lui avesse saputo che qualcosa in lei si era rotto un paio di giorni prima, quando aveva pianto tutte le sue lacrime capendo di essere un'inetta, ma forse Callan si sarebbe comportato in maniera più cauta.

"Dai, scema di guerra, dì qualcosa! Dì qualcosa, stupida!"

Iniziò a picchiettare con un indice contro la fronte di Sia e quando lei tentò di allontanare la sua mano, cominciò a farlo sui suoi capelli.

"Cos'è, hai troppa fame? La tua ciccia soffre? Oppure ti stai sciogliendo come un ghiacciolo? Non ti manca casa tua, Rotolino? Te l'ho detto centinaia di volte di tornarci, che al Campo tu non c'entravi nulla."

I movimenti dell'affilatura divennero più meccanici e decisi, senza la dovuta attenzione. Callan ebbe un moto di gioia quando si rese conto che la ragazza aveva iniziato a tremare leggermente. Continuò a darle schiaffetti sui capelli, le tirò lo chignon e la insultò tirando fuori tutto il suo repertorio. L'aveva affinato in anni e anni, sperimentando quali commenti facessero più male a Sia: se iniziava ad avere gli occhi lucidi e le labbra le tremavano, era un buon insulto. Se a tutto ciò si aggiungeva un Rob furioso che veniva a cercarlo per intimargli di stare lontano da sua sorella, era un ottimo insulto.

Era davvero divertente punire quella brutta e goffa ragazza. Se fosse nato nella Germania nazista, forse non si sarebbe fatto molti problemi a favore della tortura. Eccolo lì, a imporre fisicamente e psicologicamente la sua asfissiante presenza alla sua vittima preferita. Tutto perché non aveva avuto la fortuna di nascere fortunata come lui.

Qualcosa d'altro si ruppe in Sia. Un paio di giorni prima aveva dato l'ultimo colpo di pala alla sua fossa personale e vi era precipitata senza poter neanche gridare aiuto, ma quando il gioco di Callan divenne solo un fastidio e le sue parole iniziarono a divenire pericolosamente ingiuriose, qualcosa d'altro emise uno scricchiolio nella sua buona anima. La goccia che fece traboccare il vaso fu il commento con cui il figlio di Apollo pensò di scatenare il suo pianto.

"Te l'avevo detto di andartene, Rotolino! Cosa ci fa una codarda come te qui, con noi? Quando butteremo giù le mura di questa merda di città, tu salirai sul carro del vincitore senza aver fatto nulla. Ti pare giusto, eh? Sai dov'è il tuo posto? In Alaska, assieme agli orsi ciccioni e a tua mamma. Non hai un padre, no? Tua madre deve assomigliarti talmente tanto poter piacere solo a un tizio orribile come Efesto. E a lei lui è andato bene, perché altrimenti non l'avrebbe mai voluta nessuno. Proprio come succederà a te! Peccato che Efesto si sia già sbattuto lei, forse avrebbe potuto considerar-"

Callan non riuscì mai a finire la frase: Sia vibrò un colpo con la cote tale da far sprizzare un numero spropositato di scintille e queste, come se il vento le avesse improvvisamente rapite, finirono sui peli biondi delle gambe di Callan, sui suoi pantaloncini e sulla sua maglietta. Il ragazzo fu colto di sorpresa dall'improvvisa piccola bruciatura, ma subito si rese conto che il danno era sicuramente maggiore, dal momento che il tessuto aveva già preso fuoco.

"Maledizione!" Urlò, facendo qualche passo indietro, cercando di spegnere la lingua di fuoco che aveva già iniziando a divorargli la maglietta. Sia smise di lavorare e lo fissò freddamente, senza alcuna intenzione di aiutarlo. Dopodiché si rimise al lavoro. Non sapeva cosa avesse generato le scintille, se fosse stata la cote o qualcos'altro, qualcosa di soprannaturale, ma era certa che l'avrebbe rifatto, se Callan le si fosse avvicinato ancora per dire certe cose su sua madre. Sia aveva toccato il fondo, ma non avrebbe mai permesso a nessuno di insultare la persona che più amava al mondo. Soprattutto non quello stupido biondino. Soprattutto non poche ore prima della battaglia della loro vita. 

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