68. Dioniso ed Efesto, barbecue indigesto
Il bullone davanti a sé era muto. E grazie tante, era così che la realtà andava. Era normale che un pezzo di metallo non gli avrebbe risposto. Tuttavia da qualche tempo la sua definizione di normale, già distorta rispetto a quella che avevano tutti gli altri esseri umani non semidivini, era stata parecchio ridefinita. Il ritorno al campo non era stato come se l'era immaginato: non c'era stato nessuno ad aspettarli, come se nessuno se ne fosse nemmeno accorto della sua assenza e di quella di Shoshanah, la quale era scomparsa appena arrivati al limitare delle prime tende, voltandosi solamente a guardarlo per una frazione di secondo.
Era stato un viaggio rapido, nemmeno troppo combattuto, ma li aveva cambiati entrambi più di quanto volessero ammettere. Rob rivolse un ultimo sguardo alla macchia nebulosa grigia che era il bullone. Il metallo avrebbe dovuto calmarlo, fargli riempire la testa di idee creative, ma tutto ciò a cui invece riusciva a pensare era distruzione. Distruzione di New Troy e di chiunque vi fosse dentro. Distruzione tra le fiamme fino a lasciare un'enorme landa di cenere. Quei pensieri non sarebbero neanche entrati nel suo cervello se al suo fianco ci fosse stata sua sorella ma Sia, seduta di fianco alla tenda dell'armeria gli era sembrata già parte di quegli spettri che combattevano: grigia, spenta. Vuota.
"Perfetto. Davvero perfetto." mormorò prendendo e lanciando il bullone nel suo zaino aperto per terra. Le bende gli tiravano sulla pelle delle braccia e del collo e avrebbe voluto liberarsene ma non vedeva il bandolo iniziale della stoffa e per questo provò a strappare dove riusciva con le dita.
"Ciao." Una voce, incredibilmente monotona, incolore e soprattutto vicina lo fece sobbalzare. Si voltò verso l'ingresso della tende e riconobbe una massa informe e nera, sormontante un corpo bianco e rosso. Non ci fu nemmeno bisogno di chiedersi come mai quella ragazzina nana e dotata di una massa di ricci, quella strana ragazzina bicolor continuasse a comparire come un folletto maledetto ogni momento cruciale della sua esistenza da qualche mese a quella parte.
"Aiutami a levare queste maledette bende."
Shoshanah rimase a fissarlo silente per quasi mezzo minuto, poi fece un primo passo avanti, seguito da un secondo e da un terzo. Si sedette dove solitamente si posizionava Sia e allungò due mani piccole e troppo calde a srotolare il burrito di bende sulle braccia di Rob. Fu inaspettatamente rapida.
"Prego." Disse, con il suo solito modo, ma con una leggerissima venatura di ironia nella voce.
"Grazie. Ciao. Cosa ci fai qui?"
Sho esitò per un solo istante. "Com'è morta?"
Avrebbe dovuto immaginarlo che sarebbe venuta lì per quello. Sperò che non avesse intenzione di vomitare di nuovo lì su due piedi dove avrebbe dovuto poi dormire.
"L'hanno colpita dalle mura con una balestra gigante, penso."
Shoshanah rimase in silenzio e questa volta latitò in quello stato per quasi tre minuti. Non era un dialogo molto normale, fatto più di pause di mutismo che di parole. Ma la situazione sembrava andare bene per entrambi.
"È stato doloroso?"
"È morta in fretta. No." In realtà nemmeno il ragazzo lo sapeva, sperava solo che non avesse sofferto troppo.
"Ti ha detto qualcosa?"
Avrebbe voluto rispondere Sì, certo ma al momento di dirlo la sua bocca si bloccò. Scarlett aveva detto qualcosa, ma al momento non riusciva a ricordare cosa fosse. Sembrava così assurdo, ci si ricorda sempre le ultime parole in punto di morte dei propri cari, no? Evidentemente no.
"Io... non me lo ricordo."
Negli occhi della ragazzina avvampò il dolore, ma fortunatamente Rob non era in grado di notarlo. La sentì solo schiarirsi debolmente la gola. Quando parlò di nuovo, la voce le tremava: "Mi dispiace che sia capitato a te."
Il silenzio che seguì queste parole durò molto più a lungo degli altri. Abbastanza perché Rob si sedesse sul suo letto e si alzasse un paio di volte, indeciso su cosa fare e cosa dire.
Non aveva idea di come trattare l'argomento. Sapeva bene quale tipo di legame era stato stretto da Shoshanah e Scarlett. Non avrebbe semplicemente potuto dire condoglianze, no. Rimasero zitti per un tempo che parve interminabile ma alla fine fu sempre la ragazza a riprendere il discorso.
"Voglio tornare a casa."
"Non possiamo. Finché non vinciamo o perdiamo non possiamo andarcene. E se perdiamo non torneremo in ogni caso."
Shoshanah era stata in battaglia? Non se la ricordava in nessuno degli scontri a cui aveva partecipato e non riusciva ad immaginarsela con un'armatura e una spada in mano.
"Allora dobbiamo vincere." Rispose lei, voltandosi a guardarlo.
"Non possiamo nemmeno vincere. Non sei mai stata in battaglia. Non sai come sono quei cosi."
Capì subito che il commento l'aveva indispettita, perché notò un movimento più veloce, quasi brusco, mentre Sho piegava la testa su un lato.
"Sì che ci sono stata." Rispose, quasi offesa. "Come tutti. E certo che ho visto i soldati. Ho usato il sirto su di loro."
"Ma non è bastato!" proruppe Robert alzandosi in piedi e fronteggiando la ragazza, svariate decine di centimetri più alto. "Nemmeno bruciare decine di loro e dei nostri è bastato!"
Shoshanah rimase seduta dov'era, immobile e rigida come poco prima. Parve riflettere su qualcosa, poi commentò, come se Rob non le avesse appena sbraitato contro: "Per questo tu non vuoi più rientrare in battaglia." Prima che lui potesse negare o arrabbiarsi di nuovo, Sho aggiunse: "Ho parlato con un informatore. So."
"Non voglio bruciare nessun altro. Non torno sul campo." si difese improvvisamente lui puntandole un dito contro.
Tranquilla, Shoshanah rispose: "Non torneremo a casa se l'unico prediletto da un dio non scende sul campo."
Rob boccheggiò un secondo e ci mise un altro secondo a trovare una risposta. "Abbiamo due figli di divinità maggiori. Loro scendono in campo."
"Non sono stati scelti con doni particolari dai loro genitori. Sono stati semplicemente riconosciuti, dopo lunga e penosa attesa." La voce di Shoshanah, sempre incolore, aveva assunto una strana intensità. "Solo tu hai avuto un dono. Da quanti anni non era concesso a un figlio di Efesto?"
"L'ultimo è nato quasi quarant'anni fa."
"Leonidas Valdez." Convenì la ragazza. "Uno dei Sette. Me l'ha detto Sue. Sue l'ha conosciuto." Sho si alzò lentamente, fece un passetto verso Rob e lo convinse a tornare seduto, mettendosi da parte a lui. Sembrava essere trasfigurata: che ne era della monosillabica figlio di Dioniso in grado solo di mugugnare? Certo, era sempre lei: il suo modo di parlare non mentiva. Eppure ogni sillaba uscita dalla sua bocca era ammantata da uno strano vigore. Rob non poteva guardarla negli occhi, ma sentiva il suo sguardo addosso. Anche quello era intenso.
"Tuo padre era suo padre. Efesto è un dio generoso?"
Robert scosse la testa.
"Il dono del fuoco è stato dato a uno dei Sette. Il dono del fuoco è stato dato a te." Continuò Sho. "Tuo fratello lo usò, molte volte. C'era in palio la salvezza del mondo. Robert Hart lo avrà solo usato per dare la caccia alla volpe che l'aveva allevato come un figlio."
"E Robert Hart ha anche ferito un sacco di persone. Cosa che mio fratello non ha fatto, non è mai esploso quasi uccidendo i suoi fratelli. Sia era terrorizzata da me."
"E tu lo eri di me quando ti ho trasformato in un'arvicola." Rispose Sho. "Eppure mi parli."
Non attese una risposta di Rob: sapeva che avrebbe denunciato il fatto che una metamorfosi in roditore non è equivalente a essere bruciati vivi. Estrasse lentamente il suo stuzzicadenti dorato dalla tasca dei pantaloni e lo tenne stretto con una mano.
"Mi è stato donato a dieci anni." Spiegò. "Nessun figlio di Dioniso aveva mai ricevuto un dono del genere. Pensavo che fosse un grande onore. Il suo modo di dirmi che ero la sua favorita."
"Io ho un sacco di fratelli e sorelle. Non mi piace essere il suo preferito. Anche tutti gli altri sono figli e figlie di Efesto quanto me. Perché devo avere io questo regalo?"
"Perché sei l'unico che può usarlo. Non capisci, Rob?" Sho lo guardò dritto nei suoi occhi privi di iride. "Ti ha dato un'arma. Come a me ne è stata data una. Ci sono state date per utilizzarle in questa guerra."
A Robert il discorso iniziava a non piacere. Shoshanah stava lentamente trasformando il suo nobile proposito di evitare altri incidenti astenendosi dalla battaglia in un chiaro tentativo di sfavorire la vittoria del Campo Mezzosangue. Lo stava quasi facendo sentire in colpa, come se avesse una cosa preziosissima e non volesse condividerla con gli altri.
E in tutto questo era ancora sbalordito dalla sua improvvisa e brillante parlantina. Stava spendendo ora tutte le parole che mai aveva utilizzato nel corso della sua vita oppure aveva un lato ben nascosto del suo carattere che ancora non era saltato fuori? Ripensò al di lei genitore e quasi ne trovò la conferma: da una divinità imprevedibile ed eclettica come Dioniso c'era da aspettarselo.
"Beh, non saranno un sirto e delle fiamme a cambiare il corso di questa battaglia." Rispose sulla difensiva. "A meno che tu non voglia trasformare ogni soldato in un ratto."
"Non so fare solo quello."
"Io invece sì. So solo dare fuoco alle cose." Rob si sentì forte delle sue poche certezze e insistette: "Coi nostri poteri possiamo al massimo organizzare un bel barbecue."
Shoshanah rimase in silenzio per un lungo, lungo istante. Solo quando Robert pensò di averla finalmente convinta su quanto si stesse illudendo, la ragazza disse: "Alcol e fuoco."
"Già ." Concordò Rob. "Alcol e fuoco. E nient'altro."
"Alcol e fuoco." Ripeté Sho. "Alcol e fuoco. Ottima idea." Lo guardò. "L'alcol può prendere fuoco."
"Ecco, vedi? Potrei semplicemente darti fuoco più velocemente."
"Rob, non hai capito: stiamo creando un'arma."
Il ragazzone non capì immediatamente quello che la figlia di Dioniso gli stava dicendo. Il suo cervello dovette mettere al suo posto diversi algoritmi, in un ambiente notevolmente incredulo, prima di trarre le sue conclusioni. Ma quando finalmente ci riuscì, quasi boccheggiò.
"Cioè? Pensavi a delle molotov?"
"Pensavo molto più in grande."
"Sarà una cosa molto stupida."
"Funzionerà."
"Sempre stupida rimarrà."
"Va bene: scommettiamo?"
"Ho scommesso con Scarlett l'ultima volta. Non lo farò di nuovo."
Pensava che come risposta avrebbe convinto Sho, ma si rese ben presto conto che la ragazzina sapeva rigirare le cose a proprio vantaggio.
"Ottimo. Dal momento che non vuoi scommettere, mi dai automaticamente ragione." Concluse, senza margini per ribattere. "Dobbiamo andare da Sue. Subito."
"Ti odio quando fai così." Rispose lui, assolutamente infastidito.
"E per il resto del tempo, quindi, cosa fai?"
Rob serrò la bocca e incrociò le braccia.
"Mh. Andiamo da Sue."
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