56. La felicità delle volpi
Scarlett non l'avrebbe ammesso volentieri, ma si stava discretamente divertendo. Si sa, si sa: non sta bene dire una cosa simile, a meno che non si tratti di Ares o Hitler - sostanzialmente la stessa cosa - ma per una volpe di tre metri con il cervello di un canide la non dichiarata ossessione per tutte quelle cose a forma di pallina, bastoncino o bambolotto non riusciva a essere contenuta in mezzo a tutto quel bordello. All'inizio era rimasta sul bordo del campo di battaglia a incitare i suoi ragazzi come una specie di coach super incazzato, ruggendo ordini e appioppando insulti alle file nemiche, ma poi si era accorta che proprio queste ultime giocavano sporco: nonostante le spade, le lance e i dardi dei giovani semidei mietessero vittime abbastanza facilmente, non uccidevano definitivamente i non - morti. Piano piano ma in modo inesorabile i caduti si rialzavano. Lo sbuffo di fumo che sfuggiva a ogni caduta prendeva di nuovo possesso del loro corpo e tutti si risollevavano, un po' intontiti ma pronti a riprendere a combattere nel giro di dieci minuti. E questo era palesemente giocare sporco, perché i suoi bambini non si sarebbero rialzati una volta caduti.
"Maledetti baroni!" Aveva urlato, decidendo di contravvenire al consiglio fortemente sentito di Sue e di gettarsi nella mischia slacciando velocemente la sua sciarpetta e trasformandosi nella sua vera forma. Ne aveva subito schiacciati due e dilaniato un terzo con i denti. Era stato un attimo: aveva iniziato subito a divertirsi. Non era stato previsto, ma era stato improvviso e all'apparenza lecito. Era un po' come tornare ai vecchi tempi, quando non faceva altro che devastare le campagne di Teumessia, assetata di sangue e ubriaca di potere. Gli umani - o quello che era - che aveva davanti urlavano allo stesso modo mentre li faceva a pezzi. I secoli passavano ma il modo di urlare e avere paura degli uomini rimaneva invariato. Forse era questa la parte più divertente.
Mentre abbatteva l'ennesimo soldatino che aveva osato sventolarle sotto il muso il suo stupido stuzzicadenti a forma di spada, fu pervasa, dopo millenni, dalla gioia dell'uccidere. Ora era Scarlett ma in passato era stata Teumesi. Il mostro tebano. La volpe demoniaca. Il flagello di Dioniso. Sentì scorrere la saliva mentre staccava la testa a un suo nemico e fu quasi sul punto di cedere alla tentazione di perdere la presa sul collegamento alla sua parte umana. Sarebbe stata in grado di ripescarla più tardi, quando il massacro fosse finito. No?
"Scarlett! Aiuto!"
La volpe smise di accanirsi sulla sua vittima - la quale aveva smesso di urlare almeno tre minuti prima - e voltò di scatto la testa alla ricerca della persona che aveva parlato. Drizzò le orecchie notando una Sia agitatissima, al fianco di suo fratello, nel vano tentativo di non farsi sopraffare dai troppi soldati che si erano ritrovati addosso.
Miss Cadmy aveva sempre pensato alle sue due nature come a elementi separati. La parte animale era quella che l'aveva costretta ad affondare i denti nella carne di Robert quando avevano combattuto nell'arena; la parte umana era quella che l'aveva condotta al suo letto in infermeria per chiedere scusa. Cosa mai avrebbe potuto legare e congiungere per sempre le due facce di una stessa medaglia, i due volti di una volpe?
Quella che Scarlett si sarebbe data in seguito come risposta era: cuccioli in pericolo. Perché era questo che i suoi occhi di animale trasmisero al suo cervello umano: alcuni dei suoi cuccioli avevano bisogno di lei. Immediatamente, senza ragionarci più di tanto, abbandonò quel sacco vuoto del soldato sfigurato e corse a caricare come un rinoceronte quella massa di avversari che osava dare addosso al suo piccolo Rob e alla sua bambina Sia. In un attimo spazzò via almeno quattro soldati, facendoli volare e infine atterrare a qualche metro di distanza con un suono sordo, in mezzo alla polvere e al resto del baccano.
"State bene?" Domandò a entrambi, controllando velocemente che non fossero eccessivamente malconci. La ragazzina aveva solo un bernoccolo sulla fronte, mentre Rob sanguinava da un taglio vicino all'attaccatura di un orecchio. In ogni caso nulla di grave.
"A posto." Confermò il capocasa di Efesto, dietro le sue spesse lenti, tra un ansimo di fatica e l'altro.
"Quanti ne hai già abbattuti?"
"Una decina."
"Scommetto che io so fare di meglio!"
Lo diceva perché voleva che quella battaglia diventasse una sorta di gioco per loro. Una cosa divertente, da prendere come tale. Voleva che si dimenticassero il motivo per cui erano lì: in fondo avevano rischiato ben di peggio in alcune cacce alla volpe. Potevano riuscirci. E, fortunatamente, Rob colse il desiderio di Scarlett e decise di assecondarlo.
"Vedremo."
Armato di martello e sufficientemente arrabbiato dopo aver visto Sia aggredita, Rob decise che era tempo di sfoderare un po' di voglia di fare. Sfidare Scarlett gli parve un buon modo di tenere il conto dei suoi nemici abbattuti. E poi il loro sodalizio si era esteso a tutto questo, dopo il loro scontro.
Fu per questo che né l'uno né l'altra si accorsero dei cannoni spuntati sulle bianche mura di New Troy.
Sapete, il Destino è una creatura capricciosa ma implacabile. Il Fato, tempo prima, aveva deciso che quello specifico gruppo di semidei, la generazione della volpe e della Musa, avrebbe combattuto davanti alla città di Nuova Troia. Avrebbe combattuto, sì. Come stava facendo. Ma non tutto stava andando secondo i piani del Destino, perché un mostro combatteva con loro. Sue l'aveva temuto, ma dirlo a Scarlett sarebbe stato inutile, perché nulla avrebbe potuto distogliere una madre dai suoi cuccioli, men che meno una banale minaccia di morte. Scarlett avrebbe riso, perché era fatta così. Ammirevolmente stupida. Ridicolmente coraggiosa. E per questo Ananke, la dea senza volto e senza corpo che regola le leggi della Necessità di cui anche Zeus ha paura, decretò che questo piccolo inconveniente venisse risolto immediatamente.
"Otto! Otto in pochi minuti!" Latrò felice Scarlett, sguazzando nella polvere dei suoi nemici. Si ritrasformò in umana, per riprendere fiato e sorridere a Rob, parandosi davanti a lui a braccia spalancate, come una Benedetta Parodi qualunque che mostra con orgoglio la sua cucin - carneficina. Robert tirò appena le labbra in uno stitico sorriso e fece per ribattere con un poca roba. Non riuscì mai a tradurre il pensiero in parole a causa del botto che si udì in quel momento, fragoroso come un colpo di cannone reale. Alzò gli occhi alla ricerca della provenienza dello scoppio, come se gli fosse davvero possibile date le sue ridotte diottrie, ma subito dopo un suono molto più vicino attirò la sua attenzione. Era stato il delicato fruscio di qualcosa che si strappa, seguito da un oh! di sorpresa. Ci mise un secondo a capire che quello che stava fissando in modo stordito era una lancia. Una lancia dalla punta di bronzo. Una lancia dalla punta di bronzo celeste.
Una lancia dalla punta di bronzo celeste che si era infissa nell'esatto centro del petto di Scarlett.
"Oh." Ripeté lei, ancora a braccia spalancate, un'espressione di sconcerto che lentamente iniziava a virare verso la consapevolezza in volto.
Non gli serviva vedere i nemici, li sentiva: sentiva i loro passi, il fischio delle loro armi a mezz'aria. Sentiva l'odore di ferro e sangue che proveniva da ogni dove, ma questo non ingannava i suoi sensi. Riusciva a distinguere i suoi compagni dai nemici. Per questo il suo martello non mancava il bersaglio, quando decideva di porre fine a un'esistenza, non sicuro che si potesse chiamare vita quella dei fantasmi. Bronzo chiamava bronzo. Con una mezza giravolta, girando sul suolo reso scivoloso dalle migliaia di piedi che lo stavano calpestando, abbatté la mazza sulla schiena di uno sventurato fantasma, per poi spostarne il corpo con un disgustato colpo di scudo. La polvere sollevata lo avvolse momentaneamente come una nube. Immediatamente altri soldati giunsero e Rob si accorse, senza troppa sorpresa, che si era fatto strada fino alla prima linea. Scarlett al suo fianco mieteva vittime con ferocia, tanta quanta poteva averne in corpo una volpe gigante. Poteva essere stata una sua impressione, ma nel marasma di colori disordinati che vedeva, gli parve di vederla ghignare. Eppure non si lasciò distrarre: a colpo sicuro si parò davanti a Sia per incassare più di un colpo con il suo scudo, ormai ammaccato. L'ignaro avversario provò ad attaccarlo ma ancora prima che si fosse ripreso dalla vigorosa parata del figlio di Efesto, il martello era già calato sul suo piede prima e sul suo elmo poi, sfondando con poca grazia tutto quello che trovava sulla traiettoria. Tirando il braccio indietro disincastrò la testa dell'arma dai rimasugli del fantasma mentre Teumesi saltava in avanti portando sempre più in là la loro linea di attacco. Erano una macchina inarrestabile.
Poi... oh.
Scarlett si girò a guardarlo, felice come solo una volpe può essere. Ma tosto la gioia si tramutò in pianto. Un colpo sordo fece venire la pelle d'oca a Rob. Era stato un cannone, puntato in una particolare direzione... ma prima che il pensiero riuscisse a formarsi nella sua testa, sentì un rumore. Un rumore di qualcosa di appuntito che trapassa qualcosa di morbido ma non troppo. Come se avesse attraversato un sacco di carne. Come se avesse attraversato un corpo. Immediatamente gli occhi di Rob corsero a Scarlett, ancora a braccia spalancate, ma le braccia non si muovevano più. Concentrandosi sentì il proprio cuore accelerare i battiti e quello della volpe calare irregolare fino a smettere. Immediatamente fece per andare verso di lei, balbettando, paralizzato da quello che non poteva essere vero. Le labbra tremanti in una supplica muta. Avrebbe voluto stringela in un abbraccio ma quando arrivò a pochi centimetri da lei, l'inevitabile avvenne. Crepe comparvero.
Scarlett sollevò sconvolta un braccio in cui, seguendo la graziosa ramificazione dei suoi vasi sanguigni, uno splendido arabesco dorato si allargava come una macchia di benzina iridescente dalle pelle visibile delle braccia verso le mani e su, su sul collo, sul viso, attorno agli occhi. Rob si risvegliò dallo shock e corse a soccorrerla, cingendola con le braccia, incapace di decidere se stringere per impedire al suo corpo di sgretolarsi o essere gentile per paura di accelerare il processo.
"Rob Rob io non posso io io non posso..." piagnucolò la donna, senza riuscire a stare ferma, nel vano tentativo di sfuggire a qualunque cosa le stesse succedendo.
"Tranquilla, tranquilla." Rispose lui, provando la straniante sensazione di parlare da solo. "Ora chiamiamo qualcuno, ti rimettono a posto."
"No no io..." La voce si bloccò nella gola di Scarlett quando le sue dita iniziarono a scomporsi in minuscoli granelli dorati. Sapeva perché non era esplosa come faceva la maggior parte dei mostri: Dioniso le aveva donato la durevolezza dell'essere umano quando l'aveva sfiorata col suo Sirto, il suo primo giorno di lavoro.
Ma stava morendo. Perché nessuno avrebbe mai fatto di lei un'umana per davvero.
"Non posso lasciarti, non posso lasciarvi! Tu, Shosh..." Mormorò, con la voce superiore di un'ottava, aggrappandosi con quello che rimaneva delle dita alle spalle del ragazzo, sentendo la forza e la sensazione di avere degli arti abbandonarla. Rob la strinse a sé, disperato, senza capire cosa fare, cosa dire, se chiamare qualcuno o sperare semplicemente di svegliarsi dall'incubo.
"Rob..."
"Ora ti sollevo e ti porto da Sue, ok? Andrà tutto bene."
Scarlett fissò il suo ragazzo, l'ex bambino obeso che aveva allevato con quel nuovo istinto materno che non aveva mai pensato di possedere, mentre questi tentava, goffo ma deciso, di salvarle la vita. Si commosse per un fulmineo pensiero: alla fine, se anche lui mi vuole bene, non sono stata tanto male.
Dopodiché la volpe cadmea, il flagello delle campagne di Teumessia, la bestia imprendibile, la madre devota dei suoi cuccioli semidei, fece quello che fanno tutti i mostri: scoppiò in migliaia di centinaia di frammenti di polvere dorata, che immediatamente vennero rapiti dal vento, in una folata che si alzò verso il cielo.
Quando si rese conto di avere solo polvere stretta tra le braccia, Robert si accorse che avrebbe voluto vedere in quel momento. Vedere che aspetto aveva chi aveva ucciso quella che non poteva essere definita in altro modo che la sua seconda madre.
E in quel momento fu solo fuoco.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top