53. O protagonisti o nessuno

Gli esploratori della casa di Ermes avevano agito in fretta la notte prima, osservando con i loro occhi scaltri, aiutati da un incanto di Helen, più determinata che mai a riparare il suo errore. Tuttavia quando il sole era sorto e già il suo calore era intenso, i suoi raggi accecanti, la piana aveva assunto un aspetto completamente diverso. L'aria era carica dell'umidità scesa durante la notte e degli odori di una foresta brulicante di vita. Scarlett sarebbe stata in grado di distinguere decine di aromi in quel bouquet. Il profumo muschiato di un capibara nascosto in una zona umida, intento a masticare una pianta acquatica. Il fetore di un grosso felino dai passi felpati, acquattato nell'ombra di una felce. La fragranza di un fiore che si schiude per permettere a un colibrì di suggere il nettare. Il tanfo di una scimmia maschio morente a causa di una ferita infettatasi dopo uno scontro per la detenzione del territorio. Ogni odore, ogni aroma vibrava nelle nari della volpe, mentre s'aggirava lentamente per il brullo campo, le orecchie e il muso tesi per percepire ogni movimento, ogni rumore, ogni stranezza che avrebbe potuto rappresentare un pericolo.

Sulla foresta una turchina nebbiolina umida indugiava ancora. Scarlett sapeva che quando si sarebbe diradata, avrebbero iniziato.

Bisognava solo attendere che la bruma scomparisse, così come fanno i sogni, così come fanno le illusioni. Bisognava solo aspettare.


Mettersi l'armatura per giocare a Caccia alla volpe e mettersela per andare in battaglia dovevano essere due sensazioni molto diverse, ma non tutti riuscivano a rendersene conto. Gli animi erano divisi: molte persone non sentivano la differenza, non essendo mai stati in una battaglia prima d'ora. Poi, più in disparte, si potevano riconoscere quelli che avevano avuto la sfortuna di combattere per la propria vita in una maniera più cosciente degli altri, più grandi d'età e più silenziosi: Robert, primo tra tutti, ma anche Jack e Winton. Tutto era silenzio, anche gli sguardi lanciati di sfuggita da un volto all'altro erano muti dei sentimenti che di sicuro, dentro ogni anima, si stavano agitando. Una silenziosa bufera. Un esercito di silenziose bufere tenute dentro a forza perchè nel momento in cui una sarebbe uscita, anche le latre si sarebbero liberate e sarebbe stata la fine di quella calma apparente. Ma era necessario che quella farsa durasse fino all'inizio dello scontro vero e proprio. 

Sospiri. L'ansia nelle mani incerte che stringevano cinghie. I brividi lungo la schiena nonostante il caldo tropicale. Le occhiaie di chi non aveva dormito tutta notte. Un gruppetto di figli di Atena stava guardando la mappa disegnata dagli esploratori la sera prima e tra le teste bionde spuntava quella colorata di Brice, le dita sottili di entrambe le mani tese a indicare la piana tra il loro accampamento.

"... e ci muoveremo in queste due direzioni... non possiamo prenderli di fronte..."

"... taglieremo loro la ritirata..."

"... dobbiamo impedire che tornino dentro le mura..."

"... o perderemo il vantaggio."

Accanto al tavolo di comando, assieme a una folla sempre crescente di semidei, stava anche Sue, per la prima volta vista da tutti in una veste divina. Avvolta in un chitone bianco molto semplice e più corto di quello elegante delle altre divinità sembrava una persona diversa, ma allo stesso tempo appariva perfettamente normale. Era la sua natura, che le piacesse o meno. Stava ritta, nella bruma spettrale, nervosa tanto quanto gli altri ma sempre con il mento alzato lievemente e lo sguardo accigliato. Nella mano sinistra aveva i suoi pon-pon argentei con cui qualche volta la si era vista allenarsi al campo.

Lo sentiva. La foschia stava evaporando. Si stava alzando. Un intero sipario si stava alzando e sul palco salivano i primi attori. Gli attori di quella grottesca commedia fatta di non - morti e bambini che ancora non avevano l'età per bere. La satira era sempre piaciuta al mondo greco. E quella era una satira bellica. Eppure, appunto per questo, ancora più stomachevole.

La nebbia si stava alzando. E nei cuori dei suoi ragazzi, nel suo stesso cuore, calava la prima tenebra.


Quando la bruma si diradò e lo spettrale velo azzurrino sparve alla vista, gli enormi portoni della città comparvero in tutta la loro massiccia carica intimidatoria. Furono percorsi da un brivido, vibrarono come un animale percorso dal brivido elettrico della tensione. Poi iniziarono a spalancarsi, emettendo lo stesso lamento di una bestia furente e ferita. Lento, inesorabile, snervante il movimento di un battente che si apre verso l'esterno con lo stesso cigolio di pensieri arroventati dalla paura e dallo sconcerto. Tutti furono scossi da un tremore antico come il mondo quando i loro occhi incrociarono per la prima volta quelli dei loro avversari. Con sgomento ci si rese conto del numero, delle uniformi, delle forme umane mentre quei manichini ripieni di speranza avanzavano nella polvere nel più viscoso silenzio mai esistito dal momento in cui Pandora spalancò la porta al male e al dolore.

Quaranta, quarantuno, quarantadue. Soldati di azzurro e grigio vestiti uscirono silenziosamente dalle mura, andando a formare ordinate file, come un tessuto che si fila da solo, nella piana deserta davanti a loro. Cinquanta, cinquantuno, cinquantadue... quanti erano? Quante vite erano state spezzate prima ancora di iniziare, prima ancora di sapere la verità sulla propria esistenza? Quanti di loro avevano avuto una madre, un padre, una fidanzata, un fratello in attesa di una loro lettera dal fronte? Sessanta, sessantuno, sessantadue... erano diventati militi ignoti? Era questo che sarebbe successo anche a loro, se non avessero saputo agire nel modo corretto? Esistevano i semidei ignoti? Se sì, sarebbe stato seriamente un onore farne parte?

Sessantanove e la conta di fermò. Sessantanove soldati schierati davanti alla nuova generazione di semidei, armi obsolete nelle mani e sguardo più vivo di tutti loro messi assieme. C'è chi stava perdendo la speranza e chi l'acquistava. Chi vedeva la liberazione e chi vedeva l'inizio del tormento.

Equilibrio, avevano detto. Equilibrio avrebbero trovato.


"Ragazzi, ragazze. Giovani Semidei e semidee. - Sue si permise di prendere fiato prima di far tuonare la sua voce sull'accampamento. - Quello che ci attende non è un allenamento e lo sapete bene. So che avete paura ed è giusto così, perché nessun eroe sarebbe tale senza la paura.

Paura di morire, di soffrire, di perdere.

Ma per la prima volta non siete schierati per la salvezza di qualche culo Olimpico, no! Siete qui, schierati con le vostre spade, lance, scudi, per voi stessi.

Non battetevi per nessun altro al di fuori di voi, di chi vi aspetta a casa e di chi non volete lasciare al campo. Battetevi per la vostra dislessia, per la vostra disattenzione!

Battetevi perché nessun altro come voi debba passare dai cancelli di New Troy, perché nessun figlio di nessun Dio debba combattere una battaglia persa, perché né io né nessuna delle mie sorelle debba più cantare i versi di questo bagno di sangue.

Non oggi non siamo qui ad assecondare il destino, l'avete già fatto troppe volte. Siamo qui, oggi, adesso, insieme, per riscrivere i versi di questa carneficina. La bilancia del destino da oggi si sentirà sollevata di una buona parte di responsabilità, perché oggi saremo noi a decidere. Ogni figlio di Atena apra occhi ed orecchie, pianifichi e pensi; ogni figlio di Efesto affili le armi dei suoi amici! Ogni figlio di Demetra chieda agli alberi e ad ogni filo d'erba di essere testimoni dell'impresa di oggi, e ogni figlio di Apollo abbondoni la cetra per il proprio arco! Ogni figlio di Ecate e ogni figlio di Ermes inganni, e ogni figlio di Nike vinca! Che ogni figlio di Nemesi vendichi i propri amici quando cadono, e i figli di Hypnos siano pronti a essere svegli come non sono mai stati. I figli di Afrodite preparino i pegasi e i figli di Ares ogni arma possibile. Voglio che la nostra figlia di Dioniso faccia impazzire, la nostra cacciatrice colpisca le sue prede, il nostro figlio di Zeus faccia piovere fulmini, e il figlio di Ade apra la terra, perché ci saranno molte anime da spedire negl'Inferi domani.

Non lasciate che nessun sacrifico sia vano! Siate eroi, siate protagonisti di questa farsa! O protagonisti... o non siamo nessuno! - si rivolse poi alla schiera senz'anima, alzando ancora di più la voce, portandola ancora più in là accompagnando il suono con un braccio. - Guardateci, abbiamo paura! Abbiamo paura perché siamo umani, e da umani combatteremo questa battaglia! E se cadremo, cadremo da umani. Nessuno di voi ha meritato quello che ha patito, ma non per questo questi ragazzi seguiranno la vostra sorte. Questo è il mio peana, questa è la mia danza di guerra."

Abbassò il braccio, lasciando che le ultime sillabe rimbombassero nel cuore di tutti i presenti, poi lentamente si girò verso i suoi ragazzi.

"Questo è il mio peana, l'inizio della mia danza di guerra. Che vi sia propizio. Che possiate essere i veri protagonisti di questa vicenda e salvando Nigel spezzare questa immensa giostra di morte che vi fanno credere governi la vostra vita. E ora indossate gli elmi! Abbiamo un figlio di Iride da salvare." 

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