41. Boogie-woogie Choo Choo Train
All'inizio Nigel Bluebell aveva pensato che più bella idea non avrebbe potuto avere in via sua. Fuggire. Ah! Geniale. Un gesto forte per dimostrare una forte intenzione di cambiamento. Certo che a volte gli venivano questi lampi di genio che nemmeno Odisseo. Genio. Genio indiscusso del Campo Mezzosangue.
O almeno.
Giusto per un quarto d'ora.
Questa convinzione non era durata molto. Ma non a causa sua! Diciamo che erano occorsi dei problemi di altra natura. Letteralmente di altra natura.
Per farla breve: la fuga si era presto trasformata in un rapimento.
Aveva vagato per circa sette minuti fuori dai confini del Campo, ubriaco di un'improvvisa libertà, come se la sua vita avesse dovuto ricominciare da zero di punto in bianco. Si ricordava di aver pensato: ora tutto il Campo mi rimpiangerà. Mi verranno a cercare e mi chiederanno scusa. Helen capirà di amarmi, ci metteremo assieme e saremo felici. Si era messo a ridere mentre piangeva, come un matto, mentre camminava verso la strada asfaltata.
Ma poi...
Poi era accaduto qualcosa. Non sapeva con certezza cosa, ma era accaduto, quindi qualcosa doveva pur essere. All'improvviso la frescura della mattina non ancora scaldata dal sole estivo di Long Island si era trasformata in un gelo umido. Tra i cespugli e i piccoli arbusti attraverso cui Nigel si stava tracciando un percorso era calata una foschia che puzzava di cantina allagata e poi un odore chimico - laudano? Tintura d'oppio? - aveva invaso le sue narici e... e niente. Era finita così la sua grande avventura di persona libera.
Al momento la sua situazione non appariva granché migliorata rispetto al Campo. Anzi. Era decisamente peggiorata. Quantomeno al Campo non gli avevano mai legato le mani. E non lo avevano nemmeno mai imbavagliato con un fazzoletto lercio di sudore e colonia per uomo. Certo, c'era stata quella volta in cui Helen Bucket e la sua squadra di criminali fuggiti dal riformatorio avevano riempito le federe della casa di Iride di alghe marce del laghetto delle Naiadi, ma ora sembrava quasi un ricordo divertente di uno scherzo innocente. Insomma, Nigel Bluebell avrebbe dato qualsiasi cosa, perfino ricevere uno scherzo del genere al giorno, piuttosto che continuare a fissare gli occhi smorti e slavati di un giovane uomo poco più grande di lui. Indossava una divisa blu scuro dalle maniche sfilacciate, con schizzi di fango ormai secco sui pantaloni e sugli stivali. Il suo viso non era tanto diverso da quello di un qualsiasi adolescente, decorato da una fioritura di acne sulle guance e con l'accenno della prima barba, ma c'era qualcosa che non andava in quella composizione: vuoi per il cappellino blu calcato sui capelli scuri, cappellino che aveva una palese somiglianza con un esemplare dello stesso modello che Nigel aveva visto in un museo; vuoi perché, quelle due sole volte in cui aveva mosso la testa per controllare che il telo del carro in movimento su cui erano sistemati, era successo qualcosa al suo viso. La sua pelle, come un sottile strato di carta velina, aveva dato l'impressione di lasciar trasparire quello che si nascondeva sotto. E a Nigel non era piaciuto. Non era piaciuto per niente avere la visione completa dello scheletro e degli organi della testa di quel tizio.
Il carro su cui viaggiavano ebbe un improvviso scossone e il ragazzino fece per cadere avanti faccia a terra, ma il suo guardiano, con un momento fulmineo, lo rimise a sedere diritto sulla panca fredda e umida su cui il suo fondoschiena stava lentamente divenendo insensibile.
"Mi dispiace." mormorò rivolto a Nigel "Non abbiamo scelta. È come un orologio. Prima o poi le lancette tornano al punto di partenza e tutto ricomincia."
"Mpppfmm!" rispose opportunamente Nigel, mentre i suoi occhi iniziavano a lacrima a causa di una zaffata di sudore rancido. Il ragazzo vestito in modo strano sospirò e lo fissò con i suoi occhi spenti. Se si concentrava, Nigel si rese conto, poteva vedere la cornea, il nervo ottico e parte del cervello.
"Siamo stanchi, capisci? Vogliamo solo andare in pace."
Ma di cosa diavolo sta parlando? Si chiese il figlio di Iride, aggrottando le bionde sopracciglia. Il tizio smise di guardarlo e mormorò: "Tu sei la nostra Elena."
Elena? Elena!? Oh, accidenti.
Avevano preso la persona sbagliata. Nigel capì con un'illuminazione improvvisa e grandiosa come un fuoco d'artificio. Elena... Helen! Quei tipi strani in divisa stavano cercando Helen Bucket! Ma certo. Quando succedevano cose strane al Campo era sempre colpa di Helen. Della sua Helen. Nigel guardò il giovanotto e bofonchiò sotto il fazzoletto sporco: "È inutile che tentate di averla: direbbe anche a voi che si farebbe rapire più volentieri dal suo fidanzato" ma tutto quello che il suo guardiano capì fu: "Pppmsssspf. Mmmmfffmf. Mpf."
Tuttavia continuò a dare l'idea di curarsi poco delle parole di Nigel, tanto che non si preoccupò di chiedere delucidazioni o, che so, abbassargli il bavaglio per permettergli di esprimersi. Quello che Nigel aveva inteso come un dialogo stava cominciando a prendere la piega inquietante di una confessione.
"Siamo stanchi. Davvero molto stanchi. Desideriamo solo andare in pace. Capisci? Non lo facciamo perché siamo cattivi. Vogliamo solo andare in pace."
L'ennesimo scossone annunciò che il carro si era fermato piuttosto bruscamente. Nigel fece per scattare in piedi, ma il suo compagno di viaggio lo aveva già afferrato per le spalle e sollevato con una forza impensabile per un diciottenne. Il telo che copriva il retro del carro si spalancò e la luce del sole al tramonto illuminò la figura di un uomo adulto con una divisa molto simile a quella del ragazzo, solo grigia.
"Andiamo." disse, senza guardare quel sacco di patate gorgogliante che il giovanotto portava in spalla. Quest'ultimo scese dal carro. Un improvviso odore di fumo di carbone con uno strano retrogusto di metallo surriscaldato li avvolse e come in un sogno Nigel vide dinnanzi a sé un binario vecchio e arrugginito e sul binario un treno fatto di legno e ferro. C'erano solo tre vagoni e la locomotiva, nera come la pece, brillava superba nel riflesso del sole morente.
Di fianco al treno si trovavano cinque o sei uomini di tutte le età vestiti con quelle divise blu e grigie. Si voltarono tutti a guardare lui e la sua portantina umana, come in un inquietante corteo funebre.
Il giovanotto salì scortato da un paio di compagni sulla carrozza di mezzo e Nigel si ritrovò in un ambiente molto simile a quello di un film western: l'arredamento era costituito da dure panche di legno disposte sui lati e vetri troppo spessi e troppo opachi per permettere di guardare fuori. Un odore di muffito e di polvere riuscì a superare perfino la barriera del fazzoletto sporco quando fu deposto seduto su una di quelle assi vecchie e consunte. Alla spicciolata salirono tutti gli altri uomini e poi uno di loro lanciò un grido. In risposta, la locomotiva emise un fischio e qualcosa fece intendere al semidio che erano in procinto di partire.
In preda a questo pensiero e alla paura cieca di essere rapito per davvero, cercò per l'ennesima volta di alzarsi e fuggire, ma il suo accompagnatore si limitò a premere sulle sue ginocchia con una mano, pesante come un macigno, per trattenerlo. Nigel si mise istantaneamente a piagnucolare e piccole lacrime trasparenti cominciarono a colare sulle sue guance tracciando sentieri nella polvere. Gli uomini alzarono uno ad uno la testa per guardarlo, mentre i pistoni del treno iniziavano a mettersi in moto. Non sembravano arrabbiati. Nemmeno divertiti. Parevano solo profondamente dispiaciuti per quello a cui stavano assistendo.
"Ci dispiace." mormorò uno tra i più vecchi, provvisto di una barba rada e sporca di carbone "Siamo diventati troppo vecchi per soddisfare i suoi requisiti."
"È da due secoli che siamo suoi schiavi. Il tempo avanza e lei vuole nuove persone." aggiunse un suo compagno più giovane con folti capelli color rame. Aveva talmente tante lentiggini da apparire abbronzato. Nigel guardò tutti quelli che avevano parlato, poi quelli che erano rimasti zitti e continuò a piangere. Scosse la testa disperato: non capisco, non capisco, non capisco. Gli uomini si guardarono tra loro, poi quello con la barba chiese: "Tu non sai niente?"
Nigel scosse di nuovo la testa e i suoi rapitori si rivolsero l'ennesimo sguardo. Alla fine fu un altro giovanotto, particolarmente trasparente, indossante una divisa grigia, a parlare.
"Durante la Guerra di Secessione un gruppo di soldati Unionisti tra i migliori si spinse di parecchio nei territori del Sud. Furono intercettati da un drappello dei nostri e ingaggiarono battaglia. Furono però distratti da qualcosa: la sparizione di entrambi i loro ufficiali. Più interessati a ritrovarli che a uccidersi a vicenda, si misero alla loro ricerca. Incuranti di ogni cosa camminarono per giorni fino a quando non incontrarono una zingara che disse loro di aver visto i due uomini su un treno in partenza per il Messico. La figlia della zingara, una giovinetta dalla pelle scura e la testa piena di riccioli, volle seguirli. Per cantare le loro gesta, diceva. Non ci impiegarono molto tempo a scoprire dove si trovava il treno: l'avrebbero riconosciuto, per chissà quale motivo, tra mille. Salirono a bordo e si affidarono al destino. Tutti semidei, anche se all'epoca non lo sapevano. Tutti figli di divinità greche. Una maledizione."
L'uomo tacque e abbassò gli occhi, mentre il suo cranio emetteva un timido bagliore di ossa nella sottile lama di luce rossa che entrava dal finestrino. Gli altri lo imitarono.
Nigel di tutta questa storia aveva capito poco, ma sicuramente una cosa importante: quelli erano soldati della Guerra Civile. Avevano più o meno duecento anni. Eppure non erano polvere e cibo per vermi ma anzi, sapevano sollevare ragazzini di quindici anni come fuscelletti e prendevano il treno. Fortunatamente aveva realizzato anche un'altra cosa interessante: stava capitando a lui quello che era capitato ai loro ufficiali. E se le somiglianze non finivano qui... tutti i semidei del Campo Mezzosangue erano in pericolo. Nigel Bluebell rimpianse con tutto il cuore la propria decisione di abbandonare il luogo che fino a quel momento l'aveva protetto e, forse, anche amato. Questo pensò tra le lacrime mentre il treno lasciava gli Stati Uniti con il suo carico di non-morti, diretto chissà dove e chissà perché.
Ciao a tutti! Siamo ancora qui con Seconda Iliade!
Ma ci credete che è 41 settimane consecutive che i nostri eroi non ci abbandonano! E con vostro immenso piacere posso anche comunicarvi che con i prossimi capitoli si concluderà la seconda parte del romanzo!
Alla prossima!
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