17. La bruttezza salverà il mondo
Il cielo era parecchio nuvoloso quella mattina, creando quella fastidiosa sensazione di luce diffusa che tanto disturba le persone fotosensibili. Per fortuna Sue non era una di loro e se ne stava tranquilla a fissare il vuoto davanti a sé, persa nei suoi pensieri, nel via vai, nei rumori di fondo. Aveva di certo parecchio a cui pensare. Strane cose erano successe a Campo Giove, ma aveva il presentimento che altro sarebbe successo, ma tra i suoi ragazzi. Già non era stato un buon segno la comparsa di un figlio di Ade, uno dei Pezzi Grossi, e non aveva buoni presentimenti per la scoperta del padre di Gabriel. Erano arrivati assieme al campo, quindi in qualche modo i loro destini erano legati.
Con un gesto distratto si fece passare una dracma tra le dita. Chissà come mai poi Rachel non rispondeva ai suoi messaggi Iride! Proprio adesso che avevano così tanto bisogno di interpretare le parole del futuro. Si lasciò sfuggire un'imprecazione a mezza voce stringendo la dracma in mano.
"Così di cattivo umore così presto la mattina?"
Sue Peak trasalì, evitando per un soffio di mandare all'aria il tavolino al quale era seduta. Il posto davanti a lei era stato occupato.
"Ho le mie buone ragioni. E mi spiace informarti che la tua presenza non migliora affatto le cose."
Il nuovo arrivato fece un sorriso dispiaciuto ma consapevole della propria posizione.
"A New York sono sempre tutti di cattivo umore."
"Taglia corto. Cosa ti serve?"
"Io? A me non serve proprio nulla, ho tutto quello che vorrei avere, guardo il mondo dalla sua cima, bellezza!"
"Sh. Non chiamarmi bellezza. È finita da tempo."
"Sai che non potrei mai dimenticarmi come era bello stare assieme a te."
"Posso darti una mano allora, perché io ci sono riuscita benissimo."
"Però non eri così acida prima, suvvia..."
"Se ti sei fatto tutto la strada per venire qui con me ci sarà una ragione, no?" chiese con tono tagliente la donna, mettendo benissimo in chiaro che non avrebbe perso tempo con lui. Non più, per lo meno.
Il viso conosciuto sospirò e si intrecciò le mani dietro la nuca.
"Siamo stati tranquilli troppo tempo, si prospetta un bel casino all'orizzonte."
"A quello ci ero già arrivata anche io, non sai dirmi di più? Ho provato a chiamare Rachel più volte, ma Campo Giove sembra fuori campo da qualche giorno."
"Non mi stupisce. È campo Giove ad essere in pericolo."
"Anche a questo ero arrivata, e grazie tante. Ma sarai mai utile una volta nella tua vita?! Dico UNA VOLTA!"
"Mi ferisci!"
"Un bel travaso di icore non ti farebbe male."
"Senti, ti sto aiutando!"
"No, Capitan Ovvio."
"Perché non mi lasci finire!"
"E allora sbrigati. A differenza tua, io mi sono trovata un lavoro serio."
"Ignorerò quello che hai appena detto. Tornando a ciò che mi ha portato qui... ti direi di stare attenta ai nuovi arrivati del tuo campo, ci saranno altre sorprese. E ti direi anche di preparare le armi."
"Quale altra divinità primordiale si sta per svegliare e vuole rovesciare l'Olimpo?"
"Divinità? Oh no, i vecchi sono là seduti sui loro troni o a dormire sotto terra, tutti tranquilli. Il pericolo viene da ben altra parte."
Senza lasciar rispondere Miss Peak lo sconosciuto si alzò e poggiò sul tavolino di ferro delle banconote di piccolo taglio.
"Finisci pure il tuo caffè, offro io."
"Non mi hai detto da DOVE arriverà il pericolo!"
Avrebbe voluto trattenerlo, ma sapeva bene che non era persona da vendere gratuitamente le proprie informazioni. Il tipo si girò dopo qualche passo e le fece un occhiolino.
"Fossi in te, farei un ripassino di storia."
La figura si perse nella folla, sparita nel nulla... cosa che probabilmente era davvero accaduta, davanti a una caffetteria alla periferia di New York.
Ci sono due tipi di persone nel mondo: quelle che la mattina odiano tutto e tutti, tipo Sandra Orlando, e quelli che la mattina amano augurare amore e felicità a tutti, tipo Sia. Poi, in realtà, alcune volte, si hanno delle persone che rientrano in un terzo tipo, difficilmente classificabile. È una condizione instabile che si verifica solo in date situazioni. Si dà il caso che Gabriel fosse proprio in una di quelle situazioni. Dormiva abbastanza bene, per quanto si possa dormire bene in una casupola piena di casinisti, ma ancora aveva il cuore pesante. A complicare il bilancio totale del suo umore erano subentrati sentimenti contrastanti, un mescolio di gioia e fastidio. Per la lezione della mattinata successiva si era trovato in gruppo con Winton e Iris Collins, e ciò era cosa buona. Purtroppo nel gruppo era comparso anche Mortimer (così come Iris aveva continuato a chiamarlo sin dal suo riconoscimento). Il litigio di qualche giorno prima era ancora sottilmente sotteso nell'aria, elettrica ogni volta che si trovavano a meno di due passi di distanza. Fortunatamente Win si era fatto raccontare tutto da Gabriel e aveva avuto la buona idea di sedersi tra i due appena ne aveva avuto l'occasione.
Le cose in fondo non andavano male.
Poi, una mattina, Gabriel incontrò Marissa. Era da parecchi giorni che non la vedeva - o che non faceva caso a lei - e quasi non ricordò il suo nome quando lei lo salutò esclamando: "Ciao, Gabriel Willow!" venendogli incontro.
"Ciao... Memo!" Quasi ringraziò il cielo che Iris avesse il brutto vizio di sparlarne.
Marissa era carina come al solito: le trecce bionde le ricadevano sulla maglietta arancione e la sua pelle aveva un bel colorito ambrato, più scuro della normale abbronzatura da muratore dei ragazzi del campo. Gli sorrise gentilmente.
"Come stai? Sei stato molto impegnato? Non ti ho più visto."
"Sì... abbastanza. Più che altro passo molto tempo a cercare di imparare il più possibile."
"Ti stai trovando bene?"
Gabriel non si ricordava di aver mai visto Marissa con un sorriso che durasse più di dieci secondi. Sembrava così gentile in quel momento.
Si sentì in dovere di essere onesto con lei, senza condirla via con una risposta di cortesia. "Molto... più o meno. Nel senso... ci sto provando, a trovare degli amici, a abituarmi a tutto."
"Ne hai trovato già qualcuno? Con chi passi il tempo?"
Si guardò alle spalle per vedere se erano ancora in giro per indicarli a Marissa ma i fratelli Collins non erano in visuale.
"I fratelli Collins... Iris e Win. Quelli biondi. Ma penso li avrai presente."
Da come il viso di Memo si contrasse, fu evidente che ce li aveva presente.
"Winton è il mio capocasa. Ho presente chi sia la sua sorella adottiva."
"Deduco non siano la tua compagnia preferita."
"Gusti personali." tagliò corto Marissa, tornando a sorridere "Sono felice che tu abbia iniziato a trovarti a tuo agio. So che non è facile. Avrei voluto incontrarti prima per parlarne."
"Sei molto gentile... grazie!"
Quella era una boccata di socialità inaspettata ma assolutamente gradita. Dopo la prima settimana, in cui aveva assunto la posizione di soffocante mentore, Memo era un po' sparita. Non l'aveva vista se non con la coda dell'occhio in tutte le lezioni che aveva seguito. Quando incrociava i figli di Demetra, forse si perdeva in mezzo a tutti quei capelli biondi e occhi verdi.
Marissa continuò a sorridere e quasi con tono imbarazzato gli chiese: "Questa mattina io seguo una lezione di ecologia con uno dei pochi satiri che non hanno paura di Scarlett. È interessante. Vuoi partecipare?"
"Non ho mai visto un satiro da vicino!" disse entusiasta Gabriel, visto che non avrebbe saputo cosa dire in proposito all'ecologia, soprattutto per non scoperchiare un vaso di Pandora chiedendo a Marissa cosa trattasse di preciso. Una voce, però, li sorprese alle spalle.
"Eccoti qui, Gab. Dobbiamo andare al campo di tiro con l'arco."
A Marissa non servì voltarsi per controllare a chi appartenesse quel tono pratico e so-tutto-io. Il suo viso ebbe una contrazione involontaria, ma con tutta la calma del mondo - nonché una certa elegante freddezza - rispose per Gabriel: "Scusa, Iris. Gabriel ha appena deciso di venire con me."
"In realtà non ho deciso proprio nulla." disse il ragazzo in questione alzando le mani a mo' di difesa dalle due semidee, troppo impegnate a guardarsi in cagnesco tra loro.
Entrambe lo guardarono e Gabriel si sentì in qualche maniera in pericolo. I loro sguardi erano gelidi e allo stesso tempo infuocati dalla rabbia. Subito dopo, tuttavia, tornarono a fissarsi e Marissa aggiunse: "Gli ho appena fatto una proposta e ha accettato. Impara ad accettare dei no, Collins."
"Ha appena detto che non ha deciso un bel niente. Levati il seitan dalle orecchie."
In men che non si dica il giovane semidio si trovò in mezzo a un fuoco incrociato verbale di prima categoria, tra le due persone che considerava sue amiche in quel campo. Ah, e poi c'era Win, muto accanto alla sorella.
Dall'espressione sembrava palese che fosse abituato ai bisticci minacciosi tra le sue due sorelle e non ne fosse sicuramente contento. Che situazione assurda viveva, diviso tra il rispetto per la sua casa e l'amore per la sua famiglia adottiva!
Ad un certo punto, però, Memo cambiò strategia. Si rivolse al diretto interessato e sfoderando tutto il fascino gentile che aveva saputo tirar fuori poco prima, chiese: "Gabriel? Tu cosa ne dici? Dovrai pur decidere con chi andare."
Ritrovandosi improvvisamente interpellato, Gabriel decise di adottare un piano di fuga abbastanza velato.
"Win... non hai voglia di andare all'armeria a fare un po' di pratica?"
"Scelta saggia." commentò lui, mentre Gabriel si voltava per seguirlo. Lanciò un'occhiata severa alle due ragazze che stavano squadrando Gabriel come se avesse appena detto insulti irripetibili ad entrambe e commentò: "Se non volete portare rispetto a Gabriel o a voi stesse, la prossima volta ricordate di portarlo almeno alle nostre madri e comportarvi in maniera decorosa."
Il ragazzino si chiese a quali delle tre madri - Demetra, Atena o la madre adottiva dei Collins - Win si stesse rivolgendo, ma in ogni caso l'effetto fu sortito, perché Iris e Marissa arrossirono in sincronia. Il capocasa non disse altro se non un: "Andiamo, Gabriel." e assieme si allontanarono nella giornata nascente. Le due si lanciarono un'ultima occhiata in cagnesco, prima di abbandonare il luogo dello scontro come se nulla fosse successo, mentre i due ragazzi raggiungevano un manipolo di figli di Ares sullo sterrato per l'allenamento. Era un gran giorno, e loro nemmeno se ne rendevano conto.
Ci sarebbe voluto naso per sentire odore di novità e se c'era qualcuno dotato di straordinaria sensibilità, era il capocasa della baracca di Ermes.
Sandra Orlando non era divenuta capocasa della baracca di Ermes perché era la più anziana, oh no. Più grandi di lei c'erano due o tre fratelli. Ma nessuno di loro aveva e avrebbe mai avuto il suo carisma. Era stata eletta all'età di quindici anni e da due ormai amministrava la cabina come se fosse stata una minuscola città-stato.
Sandra non era neanche bella, anzi. Si poteva con certezza dire che fosse la più brutta semidea presente al campo, con quella sua faccia gonfia, i capelli stopposi, i denti storti, un oceano di acne e la forma di una pera Kaiser. Ma dalla sua aveva un'autostima adamantina e la sicurezza di essere più sveglia e scafata di almeno tre quarti del Campo Mezzosangue. Non era arrogante, ma realista.
Per questo, se avesse scommesso in dracme d'oro sulla vera natura del suo ex ospite, Jasper Smith, avrebbe probabilmente ricavato tanto di quel denaro da ricostruire in marmo la casa di suo padre.
"Ci avevo visto giusto." aveva commentato soddisfatta in presenza del suo vice, il buon vecchio e truffaldino Mark, qualche giorno dopo la partenza di Jasper per la cabina Tredici "Era per davvero il figlio dell'Ospitale."
L'idea che Jasper potesse appartenere al mondo degli Inferi le era venuta in mente osservandolo di sottecchi e annusando con cautela l'aria attorno a lui.
Tutti i figli delle divinità avevano una caratteristica fragranza che li distingueva dagli altri: esattamente per lo stesso motivo per cui agli dei si sacrificavano cibi il cui profumo sarebbe salito in cielo, ognuno dei genitori divini apprezzava un certo odore attorno alla propria prole. Così i pargoli di Demetra sapevano di erbe selvatiche, la figliolanza di Efesto aveva un retrogusto di limatura di ferro e carbone e la progenie di Ermes profumava di polvere e spezie.
Jasper non rientrava in nessuna delle categorie che Sandra aveva stilato nel corso del tempo. Lo circondava un'aura fredda che sapeva di due cose ben distinte: il profumo dolciastro di un qualche tipo di fiore e quel leggero tanfo stantio che rimane appiccicato sui vestiti quando si sta in una cantina umida per troppo tempo. Peccato che loro non ce l'avessero una cantina.
Non le ci era voluto molto tempo e molto sforzo a collegare l'odore a caratteraccio, occhiaie e colori tendenti al nero. Non l'aveva detto a nessuno semplicemente perché sarebbe stato pericoloso.
E ora tutti sapevano. Jasper si era ormai trasferito nella sua legittima casa e la cabina di Ermes aveva riguadagnato un metro quadro di spazio per i suoi legittimi occupanti. Ora l'unica cosa che rimaneva da fare era trovare una sistemazione anche a Gabriel. Sandra aveva annusato anche lui e non aveva l'odore dei figli di Ermes.
"Sarai un'altra sorpresa. Ne sono più che certa." disse tra sé, osservandolo attentamente mentre svolgeva il turno di pulizia spazzando l'ingresso della sua casa, nel momento in cui ben due semidee si scannavano per lui.
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