12. L'iride di Atena
"Questa proprio non me l'aspettavo. Sei proprio sicuro di non sapere come hai fatto?"
La voce di Sue era serissima, intonandosi male all'arredamento pacchiano che l'ex direttore del campo, il signor D. aveva lasciato alle sua partenza. Jasper era seduto davanti alle due responsabili, ancora tutto imbrattato di terra e con il pettorale di cuoio dell'armatura addosso. Le pareti della Casa Grandi sembravano fissarlo intensamente esattamente come Sue e Scarlett. Lo sguardo di quest'ultima aveva anche una palese sfumatura offesa.
"Forza, cosino. Non possiamo star qui tutto il giorno."
"No, ve l'ho già detto! Non ne ho idea!"
Le insegnanti si guardarono e la loro occhiata non piacque per nulla al ragazzino. Potevano guardarlo come volevano ma la risposta era una e sola: non sapeva come delle pareti di roccia fossero spuntate dal nulla a comando di un suo urlo.
"Comunque quanto è successo potrebbe essere un indizio chiaro sulla tua provenienza divina."
Quelle parole scossero il ragazzo, che improvvisamente le fissò con i suoi occhi scuri.
Erano occhi così diversi da quelli che Scarlett aveva visto per la prima volta un mese prima, quando il signorino Smith era giunto al Campo Mezzosangue. Probabilmente nella mente di Jasper ormai non regnava altro che l'associazione MissCadmy-mostro, ma in quanto volpe, Scarlett era sempre stata brava ad osservare e classificare ciò che la circondava. Aveva capito da un pezzo che l'aggressività di quel marmocchio era andata dissipandosi con i giorni. Jasper voleva apparire arrabbiato anche in quel momento, solo perché non conosceva un altro modo per difendersi. La possibilità che Sue aveva appena messo in ballo - aver capito la sua origine divina - avrebbe potuto rovinare il delicato equilibrio che aveva trovato per la prima volta in quindici anni di grama esistenza. Non era il primo ragazzino che vedeva passare per quel purgatorio. Ma le dispiacque comunque: Mortimer le dava l'idea di essere un cosetto interessato ad integrarsi seriamente nel gruppo. L'aveva visto stringere amicizia con Jazlynn, aveva notato quanto si impegnasse nelle attività, anche se aveva la tendenza a lamentarsi per tutto.
Jasper voleva disperatamente essere parte del Campo Mezzosangue. E si vedeva che non voleva che le cose cambiassero. Purtroppo le cose non erano così semplici, anche se a Scarlett il cuore piangeva.
"Quindi sarei in grado di spostare il terreno?"
"A quanto abbiamo visto sì. E nella lista degli Dei che possiedono questo potere, non ne figurano molti. Di sicuro non Demetra."
Sue si sedette sulla poltrona accanto a quella di Jasper, prese un profondo respiro. Non sapeva come la notizia sarebbe stata accolta, per questo lanciò un fugace sguardo a Scarlett.
Scarlett decise che sarebbe stato utile tirarla per le lunghe.
"Non che abbiamo mai pensato che tu potessi essere un figlio di Demetra. Insomma, non sei esattamente biondo. Non una spiga di grano. Più... come dire... una carruba. Ecco."
"Tuo padre potrebbe essere qualcuno di importante. Un... Pezzo Grosso."
"... e anche qui, continui a non essere esattamente un brillante figlio di Zeus. Non so se mi spiego."
"La Geokinesi è segno di Ade, Dio dell'oltretomba. Ma fino a che non ti riconoscerà ufficialmente, tutto questo sarà solo una congettura."
"Come può essere una congettura... se è l'unico che può farlo?"
"Perché con gli Dei non si può mai stare tranquilli, e ti assicuro che avrai tutto il tempo di provarlo sulla tua pelle."
La terra sembrò mancare sotto i piedi di Jasper alla notizia. Non che non volesse sapere chi fosse suo padre, ma una parte di lui sentiva che l'equilibrio faticosamente costruito in quei giorni fosse sul punto di crollare. Soprattutto perché essere il figlio del dio degli Inferi non poteva di certo essere una buona notizia. La sua immaginazione corse a tutte le rappresentazioni dell'Oltretomba, rabbrividendo all'idea di che potere potesse scorrere dentro le sue vene. Lo negava e lo negavano anche le sue due interlocutrici, ma più lo negava, più sentiva quella parte di sé che aveva fatto sollevare i lastroni di pietra gioire.
"Questa sera faremo una prova per vedere se davvero è così."
"Davvero quei muri li ha tirati su dal nulla?!"
La domanda più ripetuta della giornata Gabriel se l'era sentita dire almeno un centinaio di volte. All'inizio aveva tentato di far capire che in stato di criceto non è che avesse capito molto, ma, dopo aver compreso che questo scatenava solamente l'ilarità dell'interlocutore, aveva smesso di dire la verità e rispondeva semplicemente di sì. Aveva anche tentato di mantenere la calma, ma quando Helen Bucket era arrivata a chiedergli cosa fosse successo, Gabriel le aveva solo dato uno spintone sgraziato ed aveva continuato a camminare fino alla casa di Ermes. Entrato, era stato assalito da altre domande. Per la miseria! Era lì solo per prendere un asciugamano e dirigersi ai bagni del campo!
"Non potete lasciarmi in pace!?"
Tutti tacquero. Non l'avevano mai visto sbottare. I loro occhi comunicavano anche un certo senso di colpa, ma a Gabriel non importava.
"E smettetela di fissarmi!"
Preso rabbiosamente l'asciugamano si allontanò a grandi passi dalla baracca. Stupidi, stupidi che si facevano imbambolare da quattro pareti di pietra tirate su dal nulla. Bhe... erano pareti di pietra tirate su dal nulla, ma non era quello l'importante. Il vero fulcro di tutta la sua rabbia si concentrava sul suo essere solo. Per la prima volta capiva la rabbia cieca di Jasper e il suo brutto carattere. Non era affatto divertente essere soli. Il suo cuore fece un tuffo nel vuoto pensando ai suoi amici di scuola: chissà cosa erano stati portati a credere dalla Foschia, di cui aveva parlato Miss Scarlett a lezione... chissà come stava la mamma. Era tutto un disastro! Essere figlio di un Dio dell'Olimpo greco era suonata come una realtà allettante alle sue orecchie, il primo momento che aveva messo piede al campo. Ora invece sembrava una sfiga più grossa del Lincoln Memorial. Soprattutto se quello stesso Dio dell'Olimpo greco non dava segni di volerti riconoscere.
Arrivato, i bagni erano tutti occupati. Sperò non da qualche figlio di Hypnos addormentato sulla tazza del cesso. Le sfortune non vengono mai da sole. In un impeto di rabbia sbatté l'asciugamano contro un lavandino e se ne uscì.
Due ragazzi stavano passando in quel momento nel cortile davanti ai bagni. Aveva presente chi fosse il maschio, anche se non se ne ricordava il nome, ma non conosceva la ragazza al suo fianco. Aveva una voce calma, pacata ma in qualche modo così sicura da sembrare in grado di tagliare lastre di metallo con un monosillabo. Pareva profondamente immersa in una dissertazione di fondamentale importanza.
"Ascoltami, Win: una cosa che forse non tutti sanno è che le volpi soffrono di claustrofobia. Impazziscono, letteralmente, se vengono chiuse in una tana troppo stretta, in una cuccia troppo bassa, figuriamoci se si ritrovano sepolte vive in una specie di mausoleo di lastre di roccia nera come la notte. Qualcosa mi dice che una camomilla non sarebbe sufficiente a calmarle. Ebbene, questo discorso si applica in toto anche ai mostri a forma di volpe. Scarlett, se hai avuto l'accortezza di notare, era letteralmente impazzita."
Il ragazzo biondo, che doveva avere all'incirca diciotto anni, rispose accondiscendente: "Scarlett è stata presa di sorpresa, Iris. Le volpi normalmente nemmeno parlano. O sbaglio?"
"Ragioni a compartimenti troppo stagni, Winton - disse la ragazza - ti ricordavo più sveglio. Le basi della strategia prevedono il prendere di sorpresa. Non c'entra nulla che tu sia umano, semidio o volpe parlante."
Winton sorrise e ribattè: "Le basi della strategia. Io parlavo della claustrofobia di Scarlett."
"Le volpi sono tutte claustrofobiche, anche se sono parlanti o giganti... oh toh. Salve, Gabriel."
Gabriel si sentì improvvisamente chiamato in causa. Temette che di nuovo tirassero fuori la questione delle pareti di pietra, e invece si vide solo venire incontro la ragazza. Aveva capelli biondo scuro, elettrici per via dell'aria estiva, raccolti in una coda mezza sfatta, la maglietta arancione del campo abbinata, in modo singolare, a una gonna a vita alta e a leggings neri. Non esattamente l'abbigliamento sportivo per eccellenza. Ebbe il timore che fosse una delle figlie di Afrodite, ma gli occhi tradirono il suo genitore divino: erano grigi come l'acciaio.
Il suo compagno di discussione si avvicinò e fece un cenno con la mano a Gabriel. Assomigliava alla biondina per il colore dei capelli, ma i tratti del viso erano molto più affilati, gli occhi verdi e superava la ragazza di una spanna e mezza. Gabriel avrebbe tanto voluto ricordarsi i nomi di entrambi.
"Ehm... vi conosco?"
"Non conosci me." La ragazza tese una mano come per stringergliela, ma data la lentissima reazione di Gabriel, ci pensò lei a servirsi da sola di una sua mano. Gliela agitò vigorosamente. "Iris Collins."
"Noi ci siamo già presentati, ma suppongo tu non ricordi." aggiunse l'altro "Winton. Winton Collins. Della casa di Demetra."
"Il CAPOCASA della casa di Demetra. O forse pensavi fosse Marissa Beata Clarissa?"
"Chi?"
"Certo che non sei molto sveglio. Memo, con una parola più corta va meglio?"
"Iris." la rimproverò Winton "È qui da solo due settimane. Sii gentile."
Con un sorriso confuso Gabriel si permise un paio di secondi per riconsiderare la situazione. Erano la coppia più bizzarra che mai avesse incrociato, più bizzarri di Jazlynn e Jack Utoma. E a quanto pare aveva già anche conosciuto Winton, ma per quanto si sforzasse, non riusciva a collegarlo ad alcun ricordo precedente all'adesso.
"Ma fate tutti e due Collins di cognome?"
"Sì, siamo fratelli."
"Ma se lui è figlio di Demetra... come potete essere fratelli?"
"Siamo fratelli de iure. Adottivi."
"I nostri genitori sono mezzosangue."
La faccia di Gabriel appariva confusa e vagamente persa in pensieri molto più cupi della curiosità situazione dei fratelli Collins. Winton sapeva perché. Aveva sentito le voci che giravano nel Campo.
"Hey, Gabriel. Stasera vieni al falò?"
"Veramente non so se ne ho molta voglia."
"Come fai a non avere voglia di venire a vedere una cosa che non hai mai visto?"
Il suo ragionamento non faceva una piega e qualcosa gli suggeriva che i ragionamenti di Iris Collins non ne facessero mai.
"Dai, vieni. Potrai sederti con noi. Nessuno ti darà fastidio." propose Win. Anche l'espressione di sua sorella si addolcì e smise di essere così decisa e dura.
"Non ti daremo fastidio nemmeno noi. Non ci importa sapere cosa hai visto o no questo pomeriggio... e non dovrebbe interessare nemmeno agli altri. Prima di tutto nessuno dovrebbe essere lasciato solo. Questo è lo spirito del Campo."
"Ti divertirai." concluse suo fratello, dando per scontato che Gabriel fosse stato convinto dalla brillante parlantina di Iris "Ci vediamo dopo. Penso che il bagno si sia liberato."
In effetti un sonnolento e confuso figlio di Hypnos aveva appena varcato la soglia dei gabinetti, guardandosi attorno come se la luce del sole ferisse i suoi poveri occhietti. Le sfortune non vengono mai da sole... ma ogni tanto si fanno accompagnare da qualche piccola gioia. Gabriel sorrise e, asciugamano in spalla, entrò nei bagni.
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