56.

Küstrin, Aprile 1945


Li destarono urla in russo e schiamazzi, quella mattina.

Albert aprì gli occhi e vide sopra di sé il berretto marrone d'un arcigno commissario che puntava loro contro la pistola. Istintivamente piegò la testa e cercò il fucile a una spanna da lui, ma sentì afferrarsi il braccio. Seguì la mano e vide Leonhard che con gli occhi lo implorava di non muoversi, e finalmente sveglio notò gli altri soldati tutt'intorno a loro. Si mise in piedi con lentezza e rimase in silenzio.

Il suo compagno s'irrigidì di fronte al commissario sovietico e, scattando sull'attenti, si portò una mano alla visiera. L'ufficiale parve chiedergli qualcosa, o semplicemente gli abbaiò contro, e lui gli rispose con poche parole.

In polacco.

Albert strabuzzò gli occhi e si mise sull'attenti anche lui. Non si mosse finché non vide Leonhard che prendeva fucile, bisaccia ed elmetto, e prontamente lo imitò. Si misero presto in marcia e si unirono ad altre pattuglie, procedendo lungo la riva.

«Che gli hai detto?» sussurrò Albert al compagno, confuso. «Sai il russo?»

«No» gli rispose Leonhard abbassando ancor più la voce, «Il polacco. Quel poco che mi hanno insegnato al Lager. Fai silenzio e seguimi.»

Li misero su una chiatta insieme a un'altra sessantina di fanti, e partirono in silenzio per la riva sinistra. Anche quella mattina il fiume era immerso nella nebbia, e i soldati erano irrequieti, lo si percepiva anche senza vederli. Albert avrebbe voluto chiedere a Leo dove li stavano portando, ma si vide bene dall'aprir bocca.

Poco a poco, in mezzo alla nebbia, arrivarono i rumori della battaglia, e qualcuno tra i soldati più giovani si lasciò andare oltre il parapetto, vomitando nel fiume le proprie paure.

Non fu così per Albert: in lui rinacque un istinto mai sopito, e si ritrovò di nuovo in Bielorussia; accanto a sé vide i compagni perduti, vide il volto livido e macilento di Krämer.

Ma era solo la nebbia.

Controllò proiettili e otturatore e sciolse le spalle, cercando di non pensare alla fame. A breve gli si sarebbe chiuso lo stomaco e non avrebbe più toccato cibo fino a sera, ma da molto tempo ci si era abituato.

Toccarono terra davanti a un'altra commissione militare, e Weinrich si aggrappò alla cintura di Leo per lasciarsi guidare in mezzo alla folla, superando lo smistamento e via verso il campo.

Camminarono per un chilometro buono prima di potersi fermare, e li attendevano due chilometri ancora e poi la battaglia. Ogni tanto qualcuno faceva qualche domanda, e Leonhard ogni volta rispondeva in polacco, che portava spesso i loro interlocutori ad allontanarsi.

Furono assegnati a un tenente sfregiato e arcigno, che prima della guerra doveva essere stato un bell'uomo. Non ci misero molto a notare che non indossava l'uniforme dell'Armata Rossa.

Non si preoccupò minimamente di chiedere da dove venissero e come fossero finiti là, o perché uno di loro non parlava e l'altro invece parlava parecchio male. Non gli interessava, fintanto che tenevano il fucile puntato nella direzione giusta.

Spiegò loro in maniera dannatamente sbrigativa che Žukov stava radunando le riserve, e che volenti o no anche loro avrebbero partecipato all'assalto frontale.

Fu il loro benvenuto nella I Armata Polacca.

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