55.

Berlino, Luglio 1944


Qualcuno bussò alla sua porta due giorni dopo, nel primo mattino; Agathe ormai li aspettava, tanto s'era fatta trascinare dalla paranoia. Andò ad aprire e si ritrovò davanti gli stessi tre agenti che le affollavano gli incubi giorno e notte.

«Salve, è un piacere rivedervi» esordì lei, cercando di nascondere il terrore dietro una patina di sfrontatezza.

«Signora Weinrich, ci faccia la gentilezza di seguirci al quartier generale» scandì meccanicamente il più alto di loro.

«Certamente, il tempo di prendere una borsa.»

«Impossibile.»

L'afferrarono e la spinsero in corridoio e di lì sul viale d'ingresso. Dalle finestre intorno qualcuno timidamente osservava, in strada vi era il regime del silenzio.

Agathe lasciò che la portassero nel quartiere di Mitte, attraverso Wilhelmstraße e di lì in Prinz-Albrecht-Straße, dominata dai palazzi dei corpi di sicurezza e polizia del partito. Una volta dentro al blocco di granito del civico 8, che un tempo era stato un hotel, la rinchiusero in una minuscola stanza spoglia e vuota, con uno scomodo sgabello come unico pezzo d'arredamento. La lasciarono lì per una buona mezz'ora, prima che un alto uomo dalla faccia slavata e dalle sopracciglia cespugliose entrasse a interrogarla. «Lei sa perché è qui?» le chiese.

«In realtà no, signore. Potrebbe farmi la gentilezza...?»

«Come mai non si è presentata a lavoro né oggi né ieri?»

«Ho chiesto la giornata libera al mio superiore per andare al ministero della guerra, a chiedere delle meritate spiegazioni.»

«Sì, è stata vista lasciare il quartiere di Wedding da diversi testimoni ieri mattina, e altri confermano la sua presenza in Tiergarten, mentre entrava nel Benderblock. Non ne ha ancora spiegato il motivo.»

«Ma come, non lo sapete? Accidenti...»

«Cosa dovremmo sapere, signora Weinrich? Me lo dica, la prego.» L'aguzzino la fissò intensamente, aggrottando la fronte arruffata.

Agathe si sentiva bruciare la pelle, come fosse penetrata da pungoli roventi. «Ma è ovvio, sbadati.»

«La smetta.»

«Di fare cosa?»

«La smetta e basta.» L'uomo fece una profonda pausa. «Continui.»

«Dicevo, è ovvio. Mio marito è in guerra ed è appena stato dato per disperso in Russia. Mi si dovevano delle spiegazioni, è il minimo, mi si doveva dire se c'è modo di recuperare il corpo, visto che l'hanno già dato per morto. Mi si deve una pensione adesso. Dico bene, agente? Lei mi può sicuramente aiutare.»

L'uomo la interruppe con un rovescio. «Mi dica la verità» riprese a chiedere poco dopo, «Cosa aveva intenzione di fare al ministero della guerra? Portava informazioni a chi? Per conto di chi? Sappiamo che cinque giorni fa lei ha ricevuto e ritrasmesso un ordine di preallarme per la riserva territoriale, da parte del generale Fromm. Il suo superiore è stato interrogato e giura di non essere stato interpellato a riguardo. Mi dica, lei è fedele al partito e al Führer, signora Weinrich?»

Agathe sputò per terra un grumo di saliva mista a sangue, non tanto perché dovesse veramente. «Non ho la più pallida idea di cosa stia parlando, signore, non ho badato al dispaccio, non avevo idea del suo significato.»

«E non ha nulla a che fare col suo assenteismo di ieri?»

«Assolutamente no, sono andata al ministero solo perché volevo giustizia per me e mio marito, giustizia come l'avete data ai nostri vicini di casa va bene lo stesso, a questo punto.» Agathe non aveva idea di cosa le stava prendendo, ma ormai aveva dato inizio a quella commedia, tanto valeva portarla avanti.

«Avanti, la mia gola è qui.»

L'uomo sospirò e si massaggiò le nocche offese. «Con chi ha parlato, al ministero?»

Agathe fece un profondo respiro e chinò il mento a nascondere il petto esposto. «Un impiegato rachitico, più occhiali che testa, che ha passato la mattinata a dirmi che dovevo tornare a casa. Gli ho detto "non ho la minima intenzione di andarmene" e lui ha fatto spallucce. Ma ci crede? È mai possibile riuscire a parlare con un burocrate di questi tempi? Mi ha detto "se suo marito è morto si metta l'anima in pace," mi dica lei se sono modi questi di trattare una signora.»

«E nel pomeriggio è rimasta sempre al ministero?»

«Certamente, dove sarei dovuta andare? Ho cercato di parlare con uno dei militari al terzo piano. Un pover'uomo senza una mano e con una benda sull'occhio, sono sgattaiolata alle sue spalle e l'ho fermato prima che si unisse a una riunione, credo. Era pieno di ufficiali, ma non me ne intendo, mi capisca. Gli ho chiesto come potevo sapere in che unità serviva mio marito, ma mi ha liquidato infastidito e mi hanno portato fuori dal Benderblock. Sembrava agitato, a pensarci. Scalpitava.»

«Lo conosceva? Sapeva almeno il nome dell'ufficiale?»

«No, ma quanti soldati senza una mano e un occhio potranno mai esserci? Sicuramente pochissimi al giorno d'oggi.»

«Le ho detto di smetterla.»

Agathe sorrise, mostrandosi conciliante. «Perché? Ho fatto qualcosa di male?» chiese innocentemente.

«Lei sarebbe una perfetta stella del cinema, signora Weinrich. Mi dica, conosce l'ideologia sovietica? Ha mai militato o ha conoscenti o parenti che abbiano militato nel partito comunista prima del 1933?»

«Ma come, signore?» chiese Agathe mettendo il broncio. «Ho passato tutta la mia vita in un orfanotrofio, prima di incontrare il mio Albert.»

«Quindi è logico chiederle se sa scrivere.»

«Ovviamente. Cosa si permette di insinuare?»

L'agente starnutì. «Sa che i suoi vicini scrivevano volantini di protesta contro il Führer, invitando il popolo alla sedizione?»

«Davvero? Io... Oh, buon Dio, ecco perché.» Agathe deglutì, avvertendo d'essere all'atto finale. «No, non lo sapevo. Erano molto riservati, a malapena sapevo si chiamassero Otto ed Elise. Mio marito conosceva Otto poco di più, lo accompagnava di tanto in tanto all'associazione per veterani del quartiere.» Guardò l'agente alto davanti a lei, e quello non batté ciglio. «Praticamente non ho mai avuto modo di parlare con loro, mi creda.»

L'uomo le si avvicinò, allungò una mano verso la sua mascella, forse per colpirla di nuovo, ma all'ultimo si trattenne. «Sa che anche sul suo posto di lavoro sono stati trovati volantini piuttosto simili? Sa spiegarmi il perché, se i due non sono più in circolazione?»

«Siamo un ufficio postale, signore. Smistare la posta è quello che facciamo.»

L'uomo strinse il pugno; le articolazioni scricchiolarono. «Per ora abbiamo finito» le comunicò con asprezza avvicinandosi alla porta. «Lei per il momento resterà qui, a completa disposizione della Geheime Staatspolizei.»

Agathe si guardo intorno. «Come qui? Intende... proprio qui?»

«Sì» rispose l'aguzzino, più glaciale della stanza, e uscì.

Agathe rimase al buio al centro della camera, seduta sullo scomodo sgabello. Lì per lì, rimase incerta sul da farsi, se abbandonarsi alla disperazione o lasciarsi prendere da una risata isterica.

***

«Ti giuro, è una fastidiosa gara al rialzo di sarcasmo. E sto perdendo, per giunta.» Rupert Lehmann si accese una sigaretta e controllò la scarsa folla che camminava per Prinz-Albrecht-Straße. Ogni tre civili vi era un milite delle SS, contò. «È una donna odiosa, dovrei picchiarla.»

«Fallo, allora, cosa aspetti?» gli chiese Klaus-Heinrich Schmidt, che fumava accanto a lui e contava i minuti alla fine della giornata. «Cosa te lo impedisce?»

«Vorrei prima essere certo che sia una rossa, per pestarla. Preferirei evitare, se si dimostrasse una vera ariana.»

Smith sbuffò e soffiò dal naso, il collo già spesso innaturalmente gonfio. «Lo è, credimi.»

«Heinrich, la segui da due anni. Provamelo.»

«È lei che scrive quei volantini, ne sono sicuro. Inoltre guardale la mano. Sono sicuro che non ha mai partecipato ad una raccolta del ferro o dell'oro. Guardale la mano, dico.»

Rupert gettò ciò che restava della sigaretta per terra. «Ma sì, hai ragione. E che altro? Non ha figli, giusto?»

«No, in casa viveva da sola.»

«Male. Comunque resta che i volantini di Wedding non hanno impronte digitali e quelli dattilografati sono un puttanaio indecifrabile.»

Klaus-Heinrich lanciò anche lui il suo mozzicone e lo seguì sul marciapiede. «Ma vedrai che le sue impronte usciranno fra le tante, e questo basta.»

«Già, questo basterà.»

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