42.

Berlino, Ottobre 1942


Elise bussò alla sua porta un martedì mattina, e quando Agathe andò ad aprirle, le si gettò al petto, in lacrime. «Hanno arrestato Otto» le disse, «Lo aspettavano all'entrata della fabbrica. Mi hanno appena avvisata alcuni suoi compagni.»

«Come è potuto accadere? Non abbiamo fatto nulla di sbagliato, siamo stati così attenti.»

«Non lo so. Qualcuno deve averci tradito, non me lo so spiegare.»

«E adesso? Devi nasconderti, o scappare.»

Elise si staccò, s'asciugò gli occhi tondi e si rassettò il vestito. «Non ho dove andare, e sicuramente non mi basterà il tempo. Ma tu... spero che ti abbiano tenuta fuori da questa faccenda.»

Agathe improvvisamente fu colta da un conato di paura, dal senso di colpa d'una promessa infranta.

«Se te lo chiedono, tu non sai nulla, non sai nemmeno il mio nome» proseguì Elise. «Promettimelo.»

Agathe esitò.

«Promettimelo!»

«Sì.»

Elise la abbracciò. «Staremo bene, Agathe. Tu pensa a te ora, fai che tutto vada per il meglio.»

«Lo farò, Elise. Continuerò la vostra lotta, anche da sola se devo. Non vi dimenticherò»

«Ti sono grata, Agathe, sei una cara amica.»

Fu l'ultima volta che si parlarono.

Vennero a prenderla quello stesso giorno; senza troppa gentilezza bussarono con terrificante calma e lei li fece entrare. La portarono via in silenzio e misero la casa a soqquadro, spulciando sotto ogni singolo tappeto e sopra ogni libreria. Portarono via tutto.

Bussarono anche alla porta di fronte, e Agathe si sentì perduta. Andò ad aprire, e tre agenti in borghese la salutarono con un sorriso gentile. «Buongiorno, signora. Vorremmo farle qualche domanda, possiamo entrare?»

«Certamente» rispose lei, ma la voce le tremava.

Si accomodarono in cucina e le chiesero se conosceva i suoi vicini, se li frequentava, con che regolarità, se sapeva che avevano messo in atto un tradimento contro la patria Germania e avevano operato per danneggiare il partito nazionalsocialista e il Führer, se sapeva che possedevano alcuni libri proibiti, se anche lei ne possedeva.

A ogni domanda un pezzetto di gentilezza andava via con le loro parole, e quel poco di coraggio con cui aveva aperto la porta moriva.

Riuscì a fatica a negare ogni accusa e a fare come Elise le aveva detto, ed era così sfatta e turbata che nemmeno riconobbe la sua firma, quando le diedero da firmare un verbale che a stento lesse con un filo di voce. Mentre scriveva, uno degli agenti sparì in camera da letto e iniziò a fare un gran baccano, ma lei non osò controbattere.

Poco dopo quello tornò, il collo taurino gonfio come una vescica sotto il viso largo. «Ho visto due fedi di là. Suo marito dov'è?»

Agathe cercò la sua ultima briciola di forza. «In Russia, secondo l'ultima lettera che mi ha scritto. È tiratore scelto, sa? Ed è anche decorato.»

«Dovrebbe esserne orgogliosa, suo marito si starà sicuramente comportando da eroe.»

«Lo è.»

«Lei sa che potrebbe aiutare molto la nazione, consegnando i suoi gioielli? Ogni grammo di metallo conta. Ognuno deve fare la sua parte.»

«Quelle due fedi sono l'unica cosa che mi resta di mio marito» si difese lei, «Ma... se lei mi dice che possono aiutare le consegnerò quanto prima.»

I tre agenti sorrisero, ma erano sorrisi di diavoli.

Agathe li accompagnò alla porta, e quando furono fuori dal palazzo tirò un lungo sospiro di sollievo e s'accasciò al suolo, esanime.

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