41.
A 50 km da Varsavia, Ottobre 1944
Ritardarono la partenza di tre giorni, in attesa del risolversi della situazione intorno a Varsavia. La città a ovest del fiume, tornata saldamente in mano agli occupanti, era ormai un cumulo di macerie silenziose. Al centro della riva orientale, nella periferia del rione di Praga, l'esercito sovietico era muto spettatore, immobile, indifferente. Dalla ripa fangosa, i due disertori li videro venire avanti, come pallide vacche al macello, smunti e provati. Donne, bambini e vecchi mutilati marciavano insieme agli uomini sconfitti sotto le insegne naziste. Dignitosamente, in ordine, i polacchi passavano il fiume attraverso uno dei ponti a Sud e abbandonavano la città, che intanto veniva rasa al suolo, casa per casa.
«Avanti, dobbiamo andare» gli ricordò Krämer.
Strisciarono sotto i piloni del ponte in cerca di un riparo. Avevano sprecato tutta la notte a cercare qualcosa che galleggiasse abbastanza per far loro da barca, ma finora non avevano avuto fortuna.
«E se attraversassimo a nuoto?» propose Krämer, disperato. La mancanza del Pervitin lo rendeva parecchio più stupido.
«Sei pazzo? Sarebbe un suicidio.»
«Allora torniamo indietro.»
Weinrich dovette ammetterlo, l'orso non aveva tutti i torti. L'unica altra opzione – e anche quella li avrebbe uccisi sicuramente – era attraversare il ponte. Guardò il compagno, e improvvisamente capì che, se lui voleva rivedere Agathe, non avevano altra scelta.
«Seguimi» disse al gigante. Risalirono la ripa e costeggiarono le carcasse dei vecchi carri leggeri distrutti e anneriti, tra le case in rovina e il fiume, risalendo la colonna sconfitta senza dare troppo nell'occhio. «Lasciamo le armi» ordinò, e insieme si unirono agli sconfitti. Avanzarono fino a tornare al fiume, sotto lo sguardo minaccioso delle sentinelle sovietiche, e furono sul ponte.
Krämer, al suo fianco, era visibilmente a disagio. «E se ci scoprono?» sussurrò.
«Sta' zitto, maledizione.»
«Weinrich, è stata una pessima idea. Torniamo indietro.»
«Sta' zitto, ho detto!»
Un uomo lì accanto mormorò qualcosa verso di loro, e le persone intorno iniziarono a fissarli. Albert pregò che non avessero riconosciuto la loro lingua.
«Weinrich... corriamo?»
Qualcuno lanciò un urlo, cui fece eco un altro stridulo grido di rabbia, e Weinrich si sentì tirare la camicia. Iniziò a sgomitare e alzò il passo. «Krämer!»
Il gigante gettò a terra una donna e la calpestò, ormai imbizzarrito. Weinrich spintonò un vecchio armato di stampelle e guardò la riva dall'altra parte, a non più di duecento metri da loro. Vedeva i soldati tedeschi, alla fine del ponte, schierati in parata. «Corri!»
Altre mani lo afferrarono, provarono a trattenerlo, inutilmente. I tedeschi s'allertarono e si fecero più vicini. La disperazione mutò in speranza, e Albert sorrise. I soldati urlarono qualcosa e spianarono i fucili, ma le grida in polacco coprirono i loro ordini. Un'altra mano afferrò la spalla di Albert, che si voltò e cacciò un pugno.
Qualcuno sparò. Le urla rabbiose divennero di terrore. Dalla riva destra risposero le raffiche brevi d'una mitragliatrice. Weinrich si liberò da ogni stretta e si lanciò verso il parapetto. Guardò verso l'acqua, dieci metri più in basso. Alcuni intorno a lui caddero.
Non pensò oltre, scavalcò il parapetto e saltò.
L'acqua era gelida, l'impatto fu duro. Krämer si tuffò subito dopo, atterrando a una spanna da lui e quasi affogandolo. Iniziarono a nuotare verso la riva destra, da dove erano venuti.
Intanto sul ponte la folla si disperse e i soldati s'affacciarono sul fiume sottostante. Dall'acqua si sollevarono spruzzi, il piombo fischiava sopra di loro. Weinrich s'immerse, pregando che le pallottole non lo raggiungessero. Quando tornò in superficie sentì Krämer, parecchio più dietro, urlare di dolore. Si voltò a cercarlo: il vecchio gigante, col volto che a malapena affiorava dall'acqua torbida, si lasciava alle spalle una scia di sangue.
«Weinrich!» urlò Krämer annaspando, e per un secondo finì sotto. «Weinrich!»
Weinrich tornò a guardare avanti e s'allontanò a bracciate, ignorando quasi con sollievo quell'agonizzante gorgoglio.
«Weeeinriiich!»
Le pallottole fischiarono ancora a sopprimere ogni grido, finché non calò il silenzio.
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