4.

Bielorussia Orientale, nei pressi di Mahiljou, Aprile 1944


Il campanile della triste chiesetta dominava tutto il villaggio. Una posizione perfetta per fare la guardia, non fosse per il dannato vento che gelava incessantemente le ossa e per la pioggia che infradiciava tutto e non lo faceva dormire la notte. Aveva maledetto l'inverno ogni giorno fino a Marzo, e continuava ancora a farlo, tanto il cielo era infame, e pregava Dio di rivedere casa, ma oltre a quello non poteva far altro che sopportare. E attendere, steso sul pavimento, il calcio del fucile appoggiato alla spalla, l'occhio piantato nell'ottica diciotto ore al giorno, col sole o la bufera, attendere che qualche povero sciagurato mettesse la testa fuori sulla strada che tagliava il villaggio. Poveri dannati, lupi affamati e macilenti che si scannavano per ogni singolo palmo di terra, per ogni dannata razione, per gli ordini d'un dittatore, gettati nel fango, a condividere le tane di volpe coi cadaveri putrescenti dei propri compagni.

Lui almeno aveva avuto un po' di fortuna, superando il corso da tiratore scelto. Quando erano venuti a prenderlo per la leva, aveva pianto e avevano dovuto trascinarlo di peso lungo tutta la strada fino alla caserma. Quando gli avevano piantato il fucile tra le mani tremava come uno scemo di guerra, di quelli che smettevano di parlare e finivano internati, e dopo la prima giornata al fronte aveva bagnato la branda per dieci giorni. Ma ora era cambiato: provava solo un'insondabile apatia — una totale indifferenza — quando il ronzare continuo e indistinto delle mitragliatrici lo svegliava la notte; quando gli sbarramenti di artiglieria devastavano i quartieri per aprire la strada ai cingolati; quando gli aeroplani scendevano fischiando in picchiata per bombardare la ferrovia. Lui restava impassibile, il fucile premuto al petto, l'occhio fisso a sorvegliare la strada attraverso le spesse lenti dell'ottica 4x. Avrebbe rivisto casa? Forse sì, sicuramente sì, fintanto che eseguiva gli ordini e rimaneva a guardia del decrepito campanile, nascosto tra il legno scuro e la pietra grigia annerita da fumo e fuliggine. Doveva rivederla.

Un'ombra si affacciò da un vicolo, un fante si lanciò attraverso la strada.

Trattenne il respiro, compensò l'alzo e premette il grilletto.

Lo prese all'addome, e quello si accasciò rantolando sul fondo polveroso. Continuò ad agitarsi e lamentarsi, mentre tutt'intorno s'allargava la pozza di sangue, ma non lo finì: era un'esca perfetta per gli altri suoi compagni.

Weinrich tirò indietro l'otturatore del Kar 98k, facendo volare il bossolo d'ottone sulle assi di legno umido e marcio del campanile. Afferrò un piccolo gessetto che teneva accanto alle piastrine di proiettili sparse sul pavimento.

«Auf Wiedersehen, Kamerad» sussurrò, aggiungendo una tacca alla serie scritta sul muro: la settima di quella giornata.

S'infilò il gessetto nel taschino, e toccò per un attimo la fredda croce di ferro di seconda classe e la fotografia della sua piccola Agathe, che custodiva con gelosia. Poi tornò a poggiare entrambe le mani sul fucile e a guardare la strada.

Alla periferia, le mitragliatrici avevano ripreso a ronzare.

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