35.

Minsk, Luglio 1944


Il tenente comminò la sentenza all'alba. Verdetto: resistenza a oltranza. Mentre il grosso dell'armata provava a sfuggire alla sacca, loro sarebbero rimasti lì, a coprire la ritirata.

Il maldestro ufficiale, reso impacciato dall'inesperienza, provò a incoraggiarli: «Arriveranno a breve, quei porci rossi. State saldi e ricordate per cosa combattete: per la patria, per la grande Germania! Per la salvezza del popolo Ariano!»

Weinrich, tra i condannati, guardò Krämer. Entrambi intuivano che l'altro non credeva più a quelle parole.

«Quindi? Che facciamo?» chiese Weinrich non appena l'ufficiale si allontanò dalla trincea.

Krämer lo guardò come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo. «Secondo te? Fuggiamo.»

Weinrich sentì il coraggio mancargli e la presa allentarsi sul fucile che teneva in mano. «Non so se ne ho ancora la forza...»

Krämer s'allontanò dal parapetto della trincea e gli si piantò davanti. Weinrich poteva sentirgli l'alito caldo e pesante. Il gigante non disse nulla, alzò semplicemente l'indice e gli toccò il petto, sul taschino. Dove teneva ancora la foto di Agathe. «Tu sai per cosa lo fai» gli sussurrò, quasi in un ringhio.

Weinrich annuì e si morse la lingua. «Stanotte?»

Krämer si voltò a guardare il fronte. «Se non attaccano prima.»

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