34.
Non lontano da Calais, Settembre 1940
Raggiungere la riva fu più difficile del previsto. L'acqua era gelida, ma a quell'ora del mattino, quanto meno, era sopportabile. Charles era spossato, tenuto a galla solo dal giubbetto di salvataggio; a spronarlo a continuare vi era solo un puntino nero sulla sottile spiaggia vuota.
Le onde erano a tanto così da travolgerlo, man mano che la figura s'avvicinava. Charles ingoiò l'acqua salata e tossì, finì per immergere la testa, ma riuscì ancora a portarsi avanti; Si spinse in superficie e vide l'avversario avanzare a grandi passi in acqua, poi finì di nuovo sotto e coi piedi sfiorò il fondale limaccioso.
Una mano gli afferrò la giubba e lo tirò su. Insieme, ansimando, raggiunsero la riva e si sdraiarono sulla fina sabbia asciutta.
Charlie tossì ancora. «Sono un dannato idiota, vero?» chiese in tedesco.
«Sì, sei il più grande idiota al mondo, dopo di me.»
«Leo?» domandò debolmente, sospirando incerto, carico di speranza.
Il tedesco s'appoggiò su un gomito e si tolse la cuffia di cuoio. Nell'uniforme grigia era magnifico come sempre; pareva nulla fosse cambiato da quel giorno sotto l'acero in Tiergarten. «Charles Acton, sei un dannato pazzo. Potevi affogare» sussurrò Leo alzandosi e sistemandosi i capelli.
Charlie si mise a sedere, si sfilò il giubbetto e finalmente si tolse la cravatta. L'uniforme blu era zuppa e pesante sulla pelle tremante. Si guardò intorno: non v'era un centro abitato nel raggio di miglia, non una singola casa. Non sapeva dire se ciò fosse bene o male.
«Solo tu potevi seguirmi fino in Francia e non abbattermi. Mi hai spezzato un'ala.» Leo gli diede una mano ad alzarsi. «Ti sei ricordato degli ussari, vero?»
«Come potevo non farlo. Ti ho cercato da quando è iniziata la guerra, in patria sei famoso.»
«Tu sei davvero l'inglese più fuori di testa che conosca. Davvero sono famoso? C'è un premio sulla mia testa?»
«Mi aspettavo qualche lettera.»
Leo si rabbuiò, lo prese per le spalle e lo guardò fisso negli occhi.
«Te ne ho inviate... una sola, lo ammetto.»
«E non ti sei nemmeno preoccupato di spiegarti.»
«Dovresti odiarmi.»
«Non ci riuscirei mai.»
«Charlie...»
Lo baciò, dando pace a una fame che lo divorava da sei anni. Avevano le labbra salate e fredde.
Leo lo spinse via, lasciando che quel ricordare il passato durasse solo un momento. Aveva gli occhi tristi e le labbra serrate. Lo abbracciò. «Mi dispiace.»
A Charlie si riempirono gli occhi di lacrime. «Va tutto bene.»
Leo si staccò.
«No che non va bene! Guardaci, siamo nemici, ora. Dovrei ammazzarti. C'è una guerra in corso, da questa parte del canale, e non c'è nulla che...»
Charlie cercò di nuovo le sue braccia.
«Siamo soli, Leo, nessuno può farci male. Possiamo sparire, fuggire in Provenza, o tentare la fuga in Spagna.»
«Sei un dannato sognatore, Charles, ed è un miracolo se non ti sei già fatto ammazzare.»
«Leo, io ti amo ancora. Sei l'unico che io abbia mai amato.»
«Charlie, mi sono sposato.»
La notizia lo colpì come un calibro .303 al cuore.
«Sposato? Quando...? Con chi?»
«Con Erika.»
«Perché? Tu la...?»
A quell'insinuazione Leo s'infiammò e s'allontanò d'un passo, profondamente ferito da una tale accusa. «No! Non l'ho mai amata!» urlò. Gli prese il volto tra le mani e lo strinse a sé. Entrambi erano sul punto di piangere. «Non ti ho dimenticato, Charlie; ti amo ancora. Ma dovevo aiutare un'amica.»
«E non potevi fuggire in Inghilterra?»
«Hanno arrestato Dalila.» Le lacrime iniziarono a bagnare la sabbia, e a perdersi nella moltitudine del mare. «L'hanno presa perché ebrea. Nessuno l'ha più vista. Abbiamo provato a cercarla... ma ormai era troppo tardi.»
Charlie ribolliva di rabbia. «E quindi sei rimasto.»
«Perdonami, avevo troppa... Charlie, anch'io ti amo ancora.» Leo si separò e si asciugò il viso. «Ora devi andartene. Mi si spezza il cuore, ma devi andartene, prima che vengano a prenderci. Non ci metteranno molto.»
«Ti prego, torna in Inghilterra con me, possiamo...»
«Come, idiota d'un inglese? Attraversando il canale a nuoto? Non posso, Charlie, non posso. Ho troppa... vorrei avere la tua fiducia, davvero, vorrei averla. Perdonami, ho perso ogni speranza indossando quest'uniforme. Io... Charlie, va', maledizione, nasconditi nella campagna e tieniti lontano da tutto questo. Vattene, ti prego, e ricorda quanto mi stai a cuore.»
Charlie tremava ancora, chiuso in quegli abiti umidi, legato a quella terra. Si asciugò anche lui gli occhi e guardò le invisibili coste d'Inghilterra. Lo divorava una terribile sensazione che voleva solo ricacciare da dove era venuta, perché sapeva che il suo immortale eroe attico non lo meritava: si sentiva tradito. Sarebbe stato umano, eppure non si sentiva di odiarlo; anzi, voleva solo stringersi a lui e chiedergli scusa, ammettere che era colpa sua, che non doveva fuggire così, da codardo, senza di lui.
«Sei un maledetto bastardo, Leo, un bugiardo e un codardo. Mi hai fatto soffrire così tanto e mi hai negato ogni minima parola.» Charlie si cavava ogni parola con un'indicibile fitta di dolore, senza che il suo amato rispondesse. «Mi hai lasciato completamente solo per... non lo so nemmeno io per cosa... e ora... e nonostante tutto io... io non riesco a odiarti. Riesco solo a dirti che ti amo ancora, dannato tedesco...»
Tornò con lo sguardo su Leo, e vide che gli puntava contro la pistola.
«Togli quell'arma, Leo. Non sono pericoloso.»
«Sì che lo sei, ora.» gli rispose lui in un inglese provato dagli anni. Aveva gli occhi sbarrati e guardava oltre, verso le dune che chiudevano la spiaggia.
Charlie si voltò: una pattuglia di fanti tedeschi stava superando il crinale e scendeva lungo le sterpaglie.
«Non lo sono mai stato» bisbigliò, sentendosi improvvisamente impotente.
I fanti puntarono i fucili.
Charles tornò a guardare Leo. «Non farmi portare via, ti prego.»
«Alza le mani, Charlie, andrà tutto bene, te lo prometto.»
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