30.
Sopra i cieli del Kent, Settembre 1940
«Arrivano. Forza ragazzi, un po' di vita.»
I due stormi, uno di fronte all'altro col solo obiettivo di annientarsi a vicenda, si scontrarono e si frammischiarono in un'orgia di scie bianche nel cielo già uggioso. In mezzo a quella bolgia, tutti cercavano lo stesso aereo – Charlie per primo, lanciato con l'avanguardia. In poco tempo fioccarono le prime perdite, mentre la preda si faceva attendere, e poi, finalmente, un segno.
«Eccolo! Ha le croci sulle ali!» gracchiò la radio. «È sopra di noi!»
«Vi vedo, vengo in aiuto» rispose Charles, e imbardò verso i compagni in pericolo.
«Levamelo di dosso!»
«Ti sono in coda, spostati a destra.»
Davanti a lui, il compagno eseguì, ma l'avversario sembrò prevedere la mossa. Charlie fece fuoco sul vuoto.
«Maledizione, mi prende!»
«Ci sono quasi, riprova.»
Lo Spitfire piegò di nuovo a destra, ma il Messerschmitt fu più veloce. L'aereo britannico iniziò a perdere quota, lasciando fumo nero dietro di sé, la carlinga sforacchiata giusto alle spalle dell'abitacolo.
Charles si maledisse e inseguì l'asso, ma un altro tedesco venne a disturbarlo. Abbatterlo fu dannatamente più facile, questione di minuti, sufficienti a far eclissare il suo vero obiettivo.
«Dove sei finito? Avanti...»
Il Messerschmitt bucò la coltre di nubi e gli saltò addosso.
Charles tentò un mezzo avvitamento e s'alzò.
Cameron lo chiamò alla radio: «Acton, ti sono dietro.»
Charlie si lanciò in picchiata, pregando che il carburatore non gli spegnesse il motore: per sua fortuna non lo fece. Il tedesco lo seguiva da vicino, tallonandolo. Charlie sentì i proiettili colpirgli la coda e gli alettoni.
«Cam, levamelo di dosso!» urlò alla radio.
«Resta calmo, ci sono.»
Charlie guardò nello specchietto sopra l'abitacolo. La raffica colpì di striscio l'impennaggio del suo inseguitore, che si disimpegnò e fuggì.
«Grazie, Cam» disse tirando un sospiro di sollievo.
«Di nulla, su di me puoi contare. Ti ha preso?»
«Niente di grave, sono ancora operativo.»
«Non ti esporre più, d'accordo?»
Gli scontri proseguirono ancora, con rapidi e calcolati ingaggi. L'asso tedesco, avvistato ancora una volta, si tenne a distanza quanto bastava per far gola ai piloti più irrequieti e inesperti, che cadevano così nella trappola tesa dai suoi compagni lì intorno. Ogni manovra si rivelò inutile, tanto da dover a malincuore rinunciare quando il caposquadra, a fatica sulla radio affollata, li richiamò in formazione.
«Sì stanno ritirando, signore.»
«Non li inseguite, siamo a corto di galloni.»
Alla fine della giornata, terminati i giri di pattuglia e recuperati i dispersi, contarono tre morti, contro quattro nemici abbattuti. Charles era in preda allo sconforto. Dato che Cameron non aveva preso niente, quella sera pagò lui da bere e, contro ogni aspettativa per uno scozzese, fu di manica larga.
«Quanto credi che durerà ancora?» gli chiese Charlie alla fine uscendo dal pub.
«Cosa? La battaglia? Siamo al giro di boa, credo.»
Charles guardò la luna in alto, piena e splendente. Date le poche luci della campagna, si poteva godere di quasi tutte le costellazioni. Avevano indubbiamente avuto serate migliori di quella, ma la vista avrebbe potuto portare conforto, fossero stati abbastanza sobri da godersela.
«Mi riferivo alla guerra. Come credi che finirà?» insistette.
Cameron s'appoggiò al muro di legno d'una camerata. «Ti dirò, non ne ho la più pallida idea.»
«Dimmi, Cam, tu hai qualcuno che ti aspetta, fuori di qua?»
«No. Non ancora, almeno. Altrimenti non sarei qui. Tu?»
Charlie s'appoggiò lì affianco contro il legno freddo e, al buio della strada sterrata, s'accese una sigaretta. «No. Non più, in realtà.»
«Come mai?»
Charlie si fermò per un attimo a pensare. Forse aveva fatto il passo più lungo della gamba? «Lei non era inglese» rispose infine, incerto se fidarsi o meno.
«Oh, e di dov'era? Irlanda?»
«No... Germania.»
Cameron non riuscì a trattenere un sospiro. «Lunga storia, eh? E sai che fine ha fatto?»
«Morta, probabilmente.» Charlie inspirò un'ultima boccata di fumo e passò ciò che restava all'amico.
Cameron accettò senza obiettare. «Cosa farai, quando tutto sarà finito, quindi?» gli chiese.
«Io... non ne ho idea. Probabilmente finirò segretario d'ambasciata come mio padre.»
«Dicevo della ragazza.»
Charles fu attraversato da un brivido.
«Tornerai nel continente a cercarla?»
«Io... non so. Penso di sì, ma ho poche speranze.»
«Dai, non può andarle così male. Sicuramente passa meno guai di noi.»
Charlie guardò il compagno mentre finiva la sigaretta.
«Non sono sicuro nemmeno di questo.»
«Scherzi? Di sicuro non rischia la vita ogni giorno come noi.» Cam gli diede una gomitata. «Giusto?»
Charlie non rispose.
«Giusto?»
Si sentì avvampare.
Cameron allontanò il braccio, e si lasciò sfuggire un semplice: «Oh.»
Charlie era lontano, a Berlino. Si chiedeva se lui fosse ancora in quel vecchio hotel o se fosse morto in Francia o in Polonia, ma non sapeva che rispondersi.
«Potresti finire arrestato» disse Cameron, riportandolo in Inghilterra. La sua voce sudava imbarazzo. «Potrei essere io a farti finire arrestato per queste indecenze, ne sei cosciente?»
Charlie non poteva vederlo, ma intuiva fosse diventato paonazzo. Non rispose, non disse nulla; non gli chiese nemmeno di non farlo. Rimasero lì, a fissarsi nei volti bui, in silenzio.
«Io vado a letto» borbottò Cameron dopo un po', «Ne ho bevuta una di troppo; domani avrò buchi su stasera, sicuramente.»
Charles allungò una mano, ma afferrò solo l'aria.
«Stammi bene, Charles. A domani.»
Charlie vide l'ombra allontanarsi, e rimase lì per un po', con la sola compagnia delle sirene antiaeree e delle stelle. Infine, mentre a Nord il cielo sopra la città s'infiammava e tuonavano e fischiavano le bombe distanti, si ritirò anche lui a dormire e, sperava, dimenticare.
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