29.

Dover, Settembre 1940


Dire che trovava Dover esattamente come se la ricordava sarebbe stata la sua più grande menzogna. Quando era sceso dal treno la prima volta, in un freddo mattino di tardo Gennaio, nel '29, aveva trovato la città appena sul punto di svegliarsi, e fin lì, con le case e i palazzi assopiti nella brezza leggera resa frizzante dalla salsedine, nulla era cambiato. Ma le camionette delle pattuglie che sfrecciavano verso la costa o le ambulanze militari ai lati della strada, beh, quelle sì che sapevano di novità.

Charles era arrivato con lo stesso treno del suo primo viaggio, nemmeno un'ora prima, e non poteva fare a meno di confrontarsi col sé del passato: stavolta non c'era Dickie seduto di fronte a lui nella carrozza, troppo ingessato per dargli conforto, e nemmeno il vecchio Arthur Acton, pronto ad accoglierlo freddamente, grigio in volto come mai l'aveva visto, tutto imprigionato in un completo cinereo che faceva pendant col cielo.

A ripensarci, quel viaggio era stato una discesa all'inferno.

Stavolta seguì il fiume Dour attraverso la città da solo, senza chiedere di sua madre. All'epoca era già impazzita, probabilmente, anche se ancora non lo dava a vedere, anche se lui ancora non le aveva messo l'ultimo chiodo nella bara. No, quello lo aveva piantato col suo secondo viaggio a Dover, fatto sulla Silver Ghost che suo padre aveva comprato nel '18 per festeggiare il ritorno dalla Francia. L'aveva lasciata lì, proprio davanti alla biglietteria per i traghetti, dove si trovava ora. E pensare che erano passati otto anni, da quel biglietto per Amburgo in terza classe. Se solo Leo fosse stato lì, ora. Non chiedeva altro.

I gabbiani lo chiamarono coi loro stridii, e lui rimase per un po' a fissarli librarsi sopra la Manica. Era tentato di scendere in spiaggia, proprio lì, a due passi dal porto, togliersi le scarpe e immergere le caviglie nel mare. Aveva voglia di perdere tempo, tanto la sua giornata di licenza se ne sarebbe comunque andata tutta dietro a quel suo capriccio, ma c'era una tabella di marcia da rispettare. La salsedine gli bruciava le narici e gli dava, anche se solo per il tempo di un respiro, la sensazione di essere ancora vivo.

Si rimise in cammino lentamente, come una lucertola rimasta troppo all'ombra, faticando a mettere un passo dietro l'altro per infilarsi tra il castello e il porto e proseguire oltre, in direzione del faro. Non aveva alcuna intenzione di arrivare così lontano, sapeva perfettamente dove fermarsi: una stradina scavata sul fianco della bianca scogliera proprio a metà tra Langdon e Crab Bay, scoperta con suo padre in quel terribile giorno di Gennaio di ormai undici anni prima.

Si sforzò di ricordare cosa si erano detti, prima di affrontare la scogliera e ricongiungersi con la cara Eleanor, già accompagnata dalla figlia là sull'acciottolato scuro della spiaggia, ma proprio gli sfuggiva.

Ecco, giusto, come poteva aver dimenticato: suo padre non aveva detto niente. Anzi, nessuno dei tre uomini presenti – Arthur, Dickie e lui – aveva fiatato. Una lugubre, silenziosa processione verso le gelide acque d'Inghilterra.

Ormai era arrivato alla discesa, gli sussurrò il vento tirandogli i capelli.

«Eccomi, Sisifo, vengo a raccogliere il tuo masso» mormorò tra sé e sé.

Il fondo del sentiero diveniva più limaccioso man mano che si avvicinava alla meta, spingendolo malignamente proprio verso il ciglio dello strapiombo. Sarebbe stata questione di un attimo: un piede messo male e giù, via nel vuoto, con nulla a fermarlo, nemmeno una semplice corda. L'idea non lo spaventava per niente, dopotutto sapeva volare, aveva imparato pur di inseguire una debolissima, infantile speranza.

Le impietose raffiche soffiate dall'Olanda gli portarono il ribollire del mare, e finalmente sentì i ciottoli sotto la suola delle scarpe.

«Ciao, vecchio mio, come stai?» chiese all'acqua, «Sì, è molto tempo che non passo, le solite frasi fatte...»

Alzò lo sguardo verso il faro, poco lontano a Est. Da lì era impossibile vederlo, così come era impossibile vedere le tre bocche da fuoco dell'artiglieria costiera, nascoste in qualche trincea lì vicino. Pensò di nuovo a quel Gennaio, quando la guerra era un lontano ricordo relegato al continente e quelle scogliere erano ancora terra vergine per i cannoni. Ricordava il momento in cui aveva mosso il primo passo su quei massi, con suo padre alle spalle e sua madre e sua sorella davanti a lui, i polpacci nudi sotto le gonne scure – sollevate fin quasi al ginocchio – immersi nell'acqua fredda. Sua madre stringeva l'urna brunita come un neonato, e attendeva accanto a un anonimo paesano appoggiato alla murata d'una lancia tirata in secca.

Ora invece era solo su quella spiaggia, la sua solitudine rotta solo dal mare lievemente agitato, con nessuno a fargli da Caronte.

«Ti porto ancora sulla coscienza, su questo puoi contarci.»

Le onde risposero monotone, e Charles cominciò a camminare lungo la battigia, mettendo ordine nei suoi pensieri.

No, anche quella volta Caronte non li aveva accompagnati, lo ricordava bene: Arthur aveva congedato il paesano e aveva messo Charles e Dickie ai remi, perché sennò il canottaggio a cui erano costretti nel college in Scozia a che serviva?

«Allora, vediamo, cosa ho da dirti? Sì, non l'ho ancora trovato, eppure so che è lì da qualche parte. Lo so, è una strana sensazione, ma voglio dire, parlo con un cadavere, non penso proprio che delle sensazioni siano la parte più strana di me.»

Un'immagine perversa gli attraversò la mente e gli strappò un sorriso: "Papà, vado a letto con un uomo. Anzi, no, più diretto. Me lo faccio buttare in culo e mi piace anche." Sì, sarebbe stata una scena tremendamente divertente, vederlo schiumare immobilizzato nel suo letto, impotente già tra le grinfie della morte. Altro che colpo apoplettico.

«No, è troppo. Neanche lui se lo sarebbe meritato.» Fissò le onde. «Scusa, pensieri miei, lascia perdere.»

"Cretino, stai parlando da solo."

Avevano remato fino a un miglio dalla costa, abbastanza perché la barca iniziasse a rollare e Charles sentisse il vuoto al di sotto delle viscere. Eleanor, la madre che aveva accettato di ridurre un figlio all'esilio del collegio, che s'era impegnata a generare un altro pargolo per rimediare alle mancanze di un padre forse troppo assente, che mai aveva fiatato oltre il necessario, aveva scoperchiato quell'urna e ne aveva rovesciato il contenuto in mare, mentre l'inerzia dava il cambio alle ultime remate. Al suo fianco, Gwyneth singhiozzava come avrebbe singhiozzato per un cucciolo morto. A prua, Arthur tratteneva il respiro, gli occhi ridotti a due abissi. Dickie, con lui al banco, si aggrappava al remo e fissava ora gli scalmi ora quel vaso di Pandora, a disagio.

Così Henry Lewis Acton se n'era andato.

«Certo che a volte sono proprio patetico.»

Continuava a scrutare i gorghi marini e attendeva. Ma cosa pretendeva, una risposta? Come se le ceneri che avevano sparso là, tra quelle rocce e l'acqua alta, potessero stare ad ascoltarlo. Come se la corrente non le avesse lavate via, disperse chissà dove. Come se questo li avesse ripuliti dai loro peccati.

No, Charles Acton era un fottuto invertito e questo aveva distrutto la sua famiglia, non c'era altro da fare che ammetterlo e mettersi l'anima in pace. Cosa restava di loro? Una sorella lontana impegnata dalla sua, di famiglia, un aspirante suicida con la testa tra le nuvole, e tre tombe, ma solo due lapidi. Anche sua madre aveva insistito per far gettare i propri resti da quella scogliera, ma il vecchio Arthur, da quel che gli aveva detto il caro Fitzgerald, s'era rifiutato categoricamente, come suo solito.

«Cristo sanguigno» sbottò Charles rivolto al mare, «Non è mai cambiato.»

Un'onda s'alzò più alta, infrangendosi così vicina da bagnargli i pantaloni del completo. Il vento stava girando, forse avrebbe portato una schiarita.

«Esatto, Lewis. Se solo potessi... ti farei conoscere Leo.»

Sospirò, si voltò e batté i tacchi.

"Cretino, parli ancora da solo."

«Ora devo andare, mi aspettano a Hougcross e poi devo tornare al campo di volo. Non so, forse è meglio se cambio settore, anche questa volta mi sembra di aver fatto un altro buco nell'acqua. Non lo trovo, maledizione, inseguo quest'asso da non so quanto e mi basterebbe solo una conferma, ma... Al diavolo, sono petulante, come fai a sopportarmi?»

Le onde si calmarono un poco, l'insistente fischio olandese divenne quasi uno stormire. Si aspettava forse qualche altra risposta?

«Beh, tornerò. Alla prossima, fratello.»

Risalendo lungo il sentiero della scogliera, pur coi vestiti umidi e il solito groppo in gola che ultimamente lo tormentava, Charles sentì i suoi passi più leggeri. Intanto, il Sole usciva a dominare il cielo.

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