28.
Kent, Settembre 1940
L'ufficiale gettò il cappello per terra in mezzo all'anello di piloti, che sussultarono all'impatto. «Otto morti e dodici Spitfire persi in una sola ora, maledizione! Li chiamate risultati?»
«Quanti obiettivi abbattuti, signore?» Charles, davanti a tutti gli altri sopravvissuti, aveva esaurito il coraggio con quelle poche parole.
«Uno.» L'ufficiale – un capitano – era livido, intonato al blu dell'uniforme.
Nella platea di avieri, stretti nel piccolo centro di comando, nessuno fiatava.
«Oggi abbiamo perso sette eccellenti piloti e un ottimo caposquadra» proseguì il capitano, «Perché abbiamo sottovalutato la situazione. A tutti è concesso sbagliare, ma a noi costa caro ogni volta. So che la responsabilità sulle vostre spalle vi schiaccia, ma so anche che ogni compagno caduto aumenta non di poco quel peso... perciò trovatemi quell'asso tedesco che ci sta massacrando, consideratelo un obiettivo prioritario e affrontatelo insieme, uniti, e portatemi la sua testa.» Il capitano alzò una mano e la platea si disperse. Charles, in prima fila, rimase immobile con gli occhi piantati sulle mappe appese al muro. Sentiva lo sguardo del superiore su di sé, finché questi non scosse il capo e se ne andò.
McAvoy gli batté una mano sulle spalle e lo colse di sorpresa. «Andiamo» gli disse, «Ti offro qualcosa da bere.»
«Ma... oggi hai vinto tu.»
«Per questa volta non fa niente. Certo che sei proprio un imbecille.»
Il robusto giovanotto si sistemò il ciuffo fulvo prima di spingerlo verso la porta e accompagnarlo al pub dell'aeroporto.
«Be', allora, a Victor Lewis, il miglior caposquadra che i Vigor abbiano mai avuto» proclamò McAvoy non appena ebbero l'alcool, alzò il boccale e bevve.
Charles era ancora stordito: si sentiva gli occhi del superiore ancora piantati addosso, e non poteva fare a meno di pensare a quel dannato asso tedesco. Possibile che non riuscisse a prenderlo?
«Hai di nuovo rifiutato la promozione?» chiese McAvoy dopo alcuni sorsi di dolce birra scura, grattandosi il naso importante. Aveva un tremendo accento scozzese, che Charles ogni tanto faticava a capire.
«Sì, Cam. Non voglio diventare istruttore.»
«Perché non ti prendi una licenza, allora? Invece di farci trasferire di nuovo in un altro squadrone.»
Charles bevve. In fondo, non lo sapeva nemmeno lui il perché. O meglio, lo sapeva, ma non poteva mica dirlo. L'unica cosa che avrebbero capito era che non voleva tornare a casa, e questo era vero, ma non era il punto. La voce gli uscì sorda e piatta quando domandò: «Perché dovrei? Non mi serve.»
«Sei il pilota più anziano, qui in mezzo. Hai bisogno di una pausa.»
«Non ho bisogno di una pausa, Cam. Ho bisogno di compagnia, e di rimanere in volo.»
«Tua sorella come sta?»
«Bene, è tornata a Hougcross qualche giorno fa. Spero non ci resti molto.»
«Dovresti andare a trovarla, ora che è qui.»
«Penso proprio non sia il momento. Ogni uomo serve, no?»
«Be', al diavolo. È solo retorica. Se te ne vuoi andare per un giorno, non devi fare altro che chiedere, ti accompagno io.»
«Ci tieni così tanto a vedere Hougcross o c'è qualcos'altro che ti interessa?»
«E tu? Ci tieni così tanto a passarti in rassegna tutta la Raf?»
«Fottiti, Cam.»
Cameron gli fece un mezzo sorriso e Charles, in cuor suo, si riscaldò.
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