23.
Berlino, Luglio 1934
Avvenne tutto una domenica mattina. Erano seduti sotto un acero, nascosti nel profondo della vegetazione. Ciononostante, Leo si manteneva distaccato – anzi, freddo. Era stato un bell'anno, tutto sommato, anche se ora evitavano di farsi vedere in pubblico troppo spesso in coppia, e Leo insisteva ad ogni occasione nell'accompagnarsi alle loro amiche, per dare meno nell'occhio.
Quella mattina però erano soli, seduti sul prato, all'ombra della chioma già prossima alla tavolozza d'autunno.
«Quindi...» esordì Charlie, tornando con malinconia a quel giorno in piscina, dove la chimica, tra i vapori dell'acqua, aveva iniziato le sue reazioni. «Cosa ci aspetta oggi?»
Leo brontolò, e allungò debolmente una mano a toccare le sue. Il dolore gli stringeva la gola. «Charlie... devi lasciare il lavoro» vomitò con un lamento.
«Perché? Lasciamo Berlino?» Charlie finse di non capire, si finse ottusamente speranzoso, ma dentro di sé già sapeva cosa il compagno stava per dirgli. «Mi porti in Pomerania, Leo? Mi porti nella tua villa di campagna e abbandoni questa vita mondana?»
Leo gemette, il cuore strappato dal petto e infranto. «No, Charlie, vorrei tanto ma no, non posso. Devi tornare in Inghilterra. Domani stesso.»
Charlie piegò la testa e si tirò un palmo più vicino all'amato. «E tu? Vieni con me, vero?»
«Certo, Charlie, solo... non ora. Devo risolvere alcune questioni, devo... devo procurarmi dei documenti, un passaporto. Per me, e per Erika e Dalila.»
«Va bene. Tutto pur di averti a fianco anche solo un altro giorno.» Charles s'avvicinò ancora d'un palmo e poggiò il mento sulla spalla del suo immortale eroe attico. «Leo, restami a fianco ancora un poco, e dimmi che mi ami, ti prego.»
«Quando saremo in Inghilterra, Charlie, promettimi una cosa.»
«Dimmi.»
«Promettimi che bacerai Dalila appena la rivedrai.»
Charlie guardò il suo amante. La loro pelle ardeva e chiamava amore, ma le guance di Leo erano umide di rugiada.
«Lo farò, Leo, lo giuro.» La rugiada sgorgò anche sulle sue, di guance. «Leo, ti amo.»
«Ti amo, Charlie.»
Lo baciò sui capelli bruni, lo baciò sulla nuca, gli asciugò le guance umide, ma non andò oltre. Entrambi s'alzarono e tornarono verso l'hotel, separandosi quel tanto per poter ricomporsi. Solo Leo ci riuscì.
Cupo in viso, Charles rientrò per primo, ma rimase nella sala comune abbastanza per vedere il concierge avvicinarsi a Leonhard, appena rientrato, e avvisarlo con discrezione che c'era per lui una chiamata urgente dall'ambasciata inglese.
Leo guardò Charlie, poco distante, ed entrambi raggiunsero il telefono. Leo afferrò la cornetta che gli venne porta.
«Sì?» chiese con calma.
Non aggiunse una parola, ma più il tempo passava più si faceva pallido.
«Grazie, Fitz. Ti devo un favore» disse con voce roca.
Poggiò la cornetta e guardò Charlie, che non aveva il coraggio di chiedere, e disperato lasciava domandar per lui gli occhi ancora umidi. Le ginocchia di entrambi erano lì lì per tradirli.
«Röhm è morto» sibilò. Null'altro.
Quella sera, sui cuscini della camera 685, fecero – per l'ultima, struggente volta – l'amore.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top