20.
Berlino, Maggio 1933
«Non so come ho fatto.»
«Ma come ti è passato per la testa di uscire di casa, di restare in giro fino a tardi...»
«È stato orribile.»
«Poteva finire molto peggio, ma come ti è venuto in mente? E stavano solo bruciando libri.»
«Tra quanto bruceranno le persone?»
«Agathe...»
Agathe si massaggiò le tempie e buttò giù il latte caldo. Casa sua all'improvviso sembrava claustrofobica, eppure guardare la porta, pensare di uscire dalla cucina, di affrontare già solo quel corridoio comune ancor più claustrofobico... le metteva apprensione.
«Posso chiederti una cosa?»
«Cosa?»
«Mi accompagni a lavoro oggi?»
Albert lasciò le gallette nel piatto. Non le aveva toccate, a malapena aveva bevuto il caffè.
«Certo» le disse, «Tanto non ho granché da fare.»
«Grazie.»
«Penso andrò in chiesa, dopo.»
«Speri che il pastore Kofler abbia qualcosa da fare per te?»
«Sempre.»
Agathe annuì, Albert annuì a sua volta. Non sapendo che dire, le porse le gallette, ma le si era chiuso lo stomaco.
«Mettile via, se non le vuoi.»
«Certo.»
Ancora silenzio, ancora sguardi persi sul tavolo vuoto.
«Agathe...»
«Sì?»
«Niente. Prendi il cappotto, forza, andiamo.»
«Hai i soldi per il tram?»
Albert s'alzò dalla sedia. «Mhm.»
Agathe sospirò.
«Sì.» Albert andò in corridoio a prendere cappotti e cappelli. «Andiamo ora.»
Si alzò, si appoggiò alla sedia, cercò la forza del compagno, si aggrappò al suo braccio con tanta forza da far male.
«Sicura di non poter chiedere la giornata libera?»
«No.» Finalmente trovò l'equilibrio, indossò il cappotto, si sistemò i capelli per l'ennesima volta da quando si era alzata. «Non possiamo permettercelo.»
Albert annuì, e sommessamente le aprì la porta.
«Lo so, comunque» le disse prima di uscire, «Neanche a me piace tutta quest'aria che tira.»
Agathe annuì ancora e gli concesse un rapido bacio sulla guancia. Avrebbe voluto stringerlo, ma qualcosa la tratteneva e perse l'attimo.
Fuori, in strada, Albert annusò l'aria. «C'è odore di pioggia» le disse.
Agathe, già stanca, aveva perso il senso dell'olfatto.
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