19.
Berlino, Gennaio 1933
Quella notte s'era data voce alle ultime nevi invernali e la mattina successiva, quando Charlie s'alzò e guardò verso la Porta del Brandeburgo, fu accecato dal candore del sottile manto che copriva la piazza.
Leo, steso accanto a lui, strizzò gli occhi e mormorò: «Non ancora, ti prego.»
Charlie gli accarezzò la spalla. «Dai, andiamo a Tiergarten» gli sussurrò in un orecchio.
Si alzarono e Leo, dopo poche dolci carezze, tornò nella propria stanza per disfare il letto. Furono di nuovo insieme solo al café, dove si ritrovarono per fare colazione.
«Allora, qualche buona notizia?» esordì Charlie addentando il suo toast al quark. «Ci sono novità importanti?»
Leo, intento a leggere il giornale, prese tempo con la scusa del suo caffellatte. «Alla fine è successo» commentò infine poggiando la tazza di porcellana, «Contro ogni aspettativa.»
«Il cancelliere?»
«Domani» rispose Leo, «Probabilmente Hitler.»
Charlie finì il suo toast e s'accostò ad un uovo barzotto. «Buono così» borbottò tra sé, lungi dal riferirsi all'uovo.
«Non lo so» gli rispose Leo, ripiegando il giornale. «Non lo so più.»
Charlie ruppe il guscio e finì di mangiare la sua parte in silenzio. Per la prima volta aveva visto Leo tentennare, lui che viveva di politica.
«Speriamo almeno che finisca la violenza» concluse Leo, e si concentrò sulla marmellata all'arancia della sua brioche.
Terminarono la colazione con calma e raggiunsero il parco, perdendosi tra i tigli e gli aceri bianchi. Leo tremava non appena s'alzava un alito di vento.
«Hai bisogno di un nuovo cappotto» gli disse Charlie appoggiandosi a lui e stringendolo a sé.
Leo si guardò intorno, ma non vedendo nessuno si calmò. «Non posso permettermelo» rispose incerto.
«Non è un problema, lo pago io.»
«Mi hai già fatto un regalo un mese fa.»
«Non importa.»
Leo si scostò e lo spinse via. Charlie guardò preoccupato in fondo alla strada e vide una giovane coppia seduta su una panchina risparmiata dalla neve, e capì.
«Non abusare della tua eredità per me, baronetto» gli sussurrò Leo, e continuò a camminare.
«Non chiamarmi così, per favore.»
Mentre avanzavano verso la coppia, Charlie notò che erano due donne, all'incirca della loro stessa età. Nulla che gli interessasse, però c'era qualcosa di vagamente familiare, che catturava la sua attenzione. S'avvicinarono un altro po' e finalmente capì: le aveva già viste all'Eldorado più di una volta, compresa la sua ultima notte, prima che lo occupassero le SA. Riconobbe la ragazza dai capelli castani e dal completo color trifoglio. Sicuro di ciò, strinse la mano di Leo, che lo guardò supplice. "Ti prego, non farlo" gli dicevano i suoi occhi, ma non si tirò indietro.
Le due donne li guardarono. Trifoglio gli sorrise. Aveva un fare deciso, una figura volitiva e quasi spigolosa. L'altra ragazza, più minuta, si carezzò l'acconciatura corvina e mormorò qualcosa nell'orecchio della compagna.
Charlie sentì solo un: «Sì.»
Leo era livido in volto, ma cercava di nasconderlo. I suoi passi gli dicevano "Charlie Acton, ti darei un pugno" in codice Morse.
Trifoglio si alzò dalla panchina. «Scusate» disse loro, «Perdonate se v'interrompo.»
«Prego?» rispose Leo, piccato.
«Mi chiamo Erika Sholtz» si presentò Trifoglio mentre s'avvicinava anche la sua compagna e le si stringeva al braccio, «E lei è Dalila Klein.»
«È un piacere» rispose Leonhard distendendosi. Iniziava a capire anche lui.
«Io ti conosco. Ti abbiamo visto spesso all'Eldorado» gli rivelò schiettamente Erika.
«E con ciò?»
«Ci chiedevamo se voi ci poteste aiutare.»
Leo storse la bocca.
«In che maniera?» chiese Charlie incuriosito.
«No» intervenne Dalila prima che Erika potesse rispondere, «Ci chiediamo se ci si possa aiutare a vicenda.»
Leo lentamente annuì, senza proferir parola.
Erika, colto il silenzio, alla fine chiese: «Anche voi avete paura?»
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