16.

Berlino, Settembre 1933


Spesso sedevano ai tavolini sorvegliati dai neri elefanti, rinfrescati dal rumore e dalla presenza della fontana. Tra un drink e l'altro, la sera, Charlie a volte si soffermava ad ammirarla, come se la sola visione potesse, secondo qualche sua logica imperscrutabile, rivelargli ogni attimo del passato di quell'oggetto.

«Sai, ero già qui quando hanno installato questa fontana, un paio di anni fa» gli rivelò Leo una volta, vedendolo assorto e meravigliato, inebriato dall'alcool.

«Pensavo fosse più vecchia» gli rispose Charles senza distogliere lo sguardo dalle statue degli animali.

«Mi dispiace deluderti. Però dà di che parlare: è stata il dono d'un eccentrico Maharaja venuto da non so quale parte dell'India, rimasto qui per qualche settimana e... beh, non è lui il punto della questione.»

«E sarebbe?»

«Sarebbe che vi era questo ragazzetto al suo seguito, non so che ci facesse in mezzo a tanti dignitari indaffarati. Un giovanotto persiano davvero grazioso...»

Charles si voltò a guardarlo, inclinò la testa e si morse il labbro.

«...E inesperto.»

Ecco, ora sentiva il sapore del sangue.

«M'è stato molto utile all'epoca, per risolvere un favore... chiestomi da uno della cricca proprio di Von Papen, ora che ci penso.»

«Dove vorresti arrivare?»

«Ti si è spaccato il labbro...» indugiò per un lungo momento, «...caro.»

«Non importa.»

«Dicevo, era un ragazzo amabile, e mi disse una volta, in un terribile inglese, a dir la verità... che le parole a volte escono così stentate, che rimaner muti non è più una scelta, ma un obbligo.»

Prese un tovagliolino di stoffa dal tavolo e tamponò il labbro di Charles.

«E anche se durano poco, alcuni attimi valgono tutta una vita, ed è così difficile non apparire stupidi, quando ciò che conta non è tanto quanto si dice...»

Charles prese il fazzoletto e sfiorò le dita del suo amato.

«...Ma ciò che si fa.» Leo allontanò la mano e si rizzò a sedere, agitandosi come si trovasse d'improvviso scomodo. Si guardò per un po' intorno. Sembrava a disagio. «E le parole risultano superflue» concluse.

«Leo, io...» provò a ribattere Charles, ma in quel momento, mentre ancora si tamponava quell'inutile, dimenticabile taglietto, mentre assaporava il calore d'una carezza affettuosa così audace, lì davanti a quella platea, ecco, era come aveva appena detto: parole futili, tanto banali da risultare superflue.

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